Maria
Antonietta Macciocchi
Voltaire
il femminista
L'amore
più grande fu per la marchesa Emilie du Châtelet. Che però, dopo
16 anni, lo lasciò
Corriere
della Sera, 15 febbraio 1995
L'ortografia dei nomi propri è stata corretta rispetto all'originale
... Le eroine di Voltaire si delineano su due
distinti universi, quello delle opere e quello dell' esistenza e della
corrispondenza, ma ogni universo interviene a modellare l'altro, mescolando
vizi e virtù. Nel romanzo e nelle tragedie le donne hanno avventure
grottesche e deliranti, subiscono violenze e vandalismi, ma si battono, spesso
eroiche, senza cedere, e con ardore prediligono la giustizia e la ragione. Sono
sultane, principesse, schiave, meretrici o regine. Appartengono a razze diverse
o lande lontane. Stanno negli harem e nelle corti del sultano, o sui campi di
battaglia. Eppure sono legate tra loro da un solo filo, quello dell'avventura
umana o della sventura, come per Cunegonda, l'amata di Candide, o come Zaire,
la schiava del Sultano di Gerusalemme. Nell'esistenza di Voltaire emergono
creature dall'intelligenza solare, dallo scilinguagnolo brillante, dalla
cultura che non conosce confini tra le lettere e le scienze, con salotti
parigini dove la sapienza è densa quanto in Sorbona. Voltaire pensava che la
cultura ornasse di una dimensione più alta e anche più sensuale la bellezza
femminile. "Le donne sono capaci di tutto ciò che noi facciamo - scriveva - e la sola differenza tra loro e noi è che loro sono più amabili".
Certo, non le venerava tutte. E incrociò gli amori alle battute ironiche
contro dame possenti, delle quali talora ricercava i favori e talora si
beffava. Come la favorita di Luigi XV, la marchesa di Pompadour. Vedendola un
giorno mangiare una quaglia, improvvisò questo beffardo epigramma: "E una
quaglia grassottella e, detto tra noi, mi sembra un po' quaglietta. Ma lo dico
piano piano, bella Pompadouretta". Quanto a Caterina, imperatrice di
Russia alla cui corte fu ricevuto con onori, la rispettò per la cultura, ma
non esitò a trattarla da civetta quando l'imperatrice accolse con analoghi
favori Federico Grimm. Strapazzò persino il mito della Francia, Jeanne d' Arc,
in una commedia salace dove, più che la santità, l'oggetto della satira è
la bigotteria o la fobia sessuale della pulzella. "Il più grande dei suoi
rari lavori fu di conservare intatto per un anno il pulzellaggio".
Voltaire ironizza sull'idea di Jeanne che la Francia sarebbe stata vinta se
lei avesse perduto il suo "gioiello", protetto anche dall'angelo custode saint Denis. E così irride a un certo punto: "Lei portava sotto la sua
gonnella, tutto il destino di Francia e d'Inghilterra". All' origine del
riso di Voltaire, scrive Bertrand Poirot-Delpech, c' è un atteggiamento del
pensiero, agli antipodi del "bello spirito" perché esso non esiste
che attraverso la lotta... Voltaire sa che il ridicolo uccide a lungo andare...
La sua ironia ci insegna a non farci ingannare. (Cito dalla prefazione del
libro Il riso di Voltaire, con testi riuniti e presentati nel 1994 dalle ottime
Editions du Félin, a Parigi). Nel 1732 si erainnamorato di Gabrielle Emilie le
Tonnelier de Bréteuil, nota ai posteri come la marchesa
du Châtelet, moglie di un marchese comandante delle
truppe reali che stava piu' sui campi di battaglia che vicino alla colta
consorte. Voltaire l'assale dicendo che "lei ha un cuore capace di
amicizia al di sopra delle meschinerie delle donne e delle calunnie di uomini e
donne". In Emilie, si ricongiungono genio e fascino. La marchesa rappresenta
per Voltaire un ideale filosofico valido per tutte, dove "è lo spirito
che dona grazia a una donna". Non che Voltaire non avesse conosciuto l'
amore prima di Emilie. Tra il 1713 e il 1748 aveva avuto
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Emilie dans les mémoires de son valet: un épisode
Sébastien Longchamp
Emilie dans les mémoires de son valet: un épisode
Sébastien Longchamp
Cependant quelques jours après, au moment où elle était dans son bain, elle sonna ; je m’empressai d’accourir dans sa chambre, ma sœur, occupée ailleurs, ne s’y trouvait point alors. Madame du Châtelet me dit de prendre une bouilloire qui était devant le feu, et de lui verser de l’eau dans son bain, parce qu’il se refroidissait.
En m’approchant, je vis qu’elle était nue, et qu’on n’avait point mis d’essence dans le bain, car l’eau en était parfaitement claire et limpide.
Madame écartait les jambes, afin que je versasse plus commodément et sans lui faire mal l’eau bouillante que j’apportais. En commençant cette besogne, ma vue tomba sur ce que je ne cherchais pas à voir ; honteux et détournant la tête autant qu’il m’était possible, ma main vacillait et versait l’eau au hasard : Prenez donc garde, me dit-elle brusquement, d’une voix forte, vous allez me brûler. Force me fut d’avoir l’œil à mon ouvrage, et de l’y tenir, malgré moi, plus longtemps que je ne voulais. Je n’étais pas encore familiarisé avec une telle aisance de la part des maîtresses que je servais.

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