giovedì 9 ottobre 2014

Su un romanzo di Patrick Modiano

Un nome, una storia, il sentimento di un'assenza

Un nome rintracciabile su alcuni registri o in un elenco di deportati, qualche fotografia, un annuncio su un quotidiano, poche parole nel ricordo di una cugina: è tutto ciò che di Dora Bruder sembra sia rimasto. Tutto ciò che uno storico normalmente si sarebbe sentito di utilizzare. Come personaggio Dora Bruder quasi non esiste. Sappiamo molto poco di lei, della sua vicenda, che con la guerra è presa nel vortice della persecuzione antisemita e può quindi apparire simile a quella di tante altre vittime, ma racchiude una sua singolarità irripetibile. Dora Bruder era nata a Parigi nel 1926 da genitori ebrei originari dell'Europa centrale, di Budapest il padre, di Vienna la madre: non sappiamo come ha vissuto la sua infanzia, dove è andata a scuola, chi erano le sue amiche, quali fossero i suoi pensieri, i suoi affetti.
La trappola mortale comincia a stringersi intorno a lei nel 1940; il 9 maggio di quell'anno entra in un collegio tenuto da suore; il giorno dopo, come è noto, la Germania nazista dà inizio alle operazioni militari contro il Belgio, l'Olanda, la Francia... Nel dicembre 1941 la ragazza quindicenne approfitta di un'uscita domenicale per darsi alla fuga; alla sera non torna dalle suore. Nel marzo 1942, Ernst Bruder, suo padre, è arrestato e internato nel campo di Drancy. In aprile Dora torna ad abitare con la madre. Deve essere scappata di nuovo, perché a giugno viene fermata dalla polizia. Rivede la madre, ma non è detto che le sia stata riconsegnata, come appare invece da un documento. Forse Dora non ha neppure avuto la possibilità di tornare a casa: due giorni dopo è spedita al campo delle Tourelles, trasferita a Drancy in agosto, ritrova il padre e, un mese dopo, fa parte con lui di uno stesso convoglio per Auschwitz.
Un nome, dei dati anagrafici, un vago profilo: in tal modo sono identificabili molte tra le vittime delle tragedie che hanno segnato il Novecento, dallo sterminio degli ebrei alla pratica del terrore nei paesi comunisti. A volte i dati anagrafici con l'aggiunta di alcuni elementi sia pure scarsi sembrano dare corpo a una presenza viva: si intravede un destino individuale, si indovinano propensioni o simpatie, si notano le scelte compiute dal soggetto, che si stacca così dalla folla innumerevole dei personaggi generici e delle comparse. Di fronte a casi tanto sfuggenti lo storico si blocca, pensa di dover cedere il passo al romanziere: deve dire ciò che è stato, non può dare l'illusione del quadro definito quando dispone solo di pochi elementi.
 
Patrick Modiano è un romanziere. Nelle sue opere, non punta in genere a una ricostruzione fedele dei fatti cui sembra riferirsi. Gli episodi e i personaggi immaginari abbondano; gli elementi verificabili, i dati corretti non hanno un ruolo determinante. Per Dora Bruder Modiano si pone a quanto pare su un terreno diverso. I personaggi principali della storia sono realmente esistiti; in parte il romanzo racconta proprio la storia dell'indagine compiuta dall'autore; la parte dell'invenzione libera è assai ridotta. […] Il libro ha il carattere di una narrazione che intreccia tre linee di svolgimento. La prima, quella centrale, ha un fondamento documentario e per questo si apparenta a un racconto storico: riguarda la vicenda di Dora Bruder. Sappiamo che Modiano ama partire nelle sue fantasticherie da elementi solidi, forti, di documentazione oggettiva. La storia di Dora Bruder, i dati anagrafici, le annotazioni nei registri scolastici o nelle carte di polizia, le foto, la testimonianza della cugina corrispondono al riferimento oggettivo che nelle opere di Modiano funge spesso da base di partenza: qui il peso dei fatti verificabili è anche maggiore; più che una base di partenza la storia della giovane ebrea è il motivo centrale della narrazione.

Per altri aspetti, Dora Bruder è un romanzo e, pur restando tale, non tradisce nell'insieme la verità storica, ma sa conferirle dimensioni nuove in termini di risonanza emotiva.
Una seconda linea è rappresentata dai frequenti richiami all'esperienza personale dell'autore. Modiano è nato nel 1945, sa bene di essere vissuto in tempi molto più tranquilli e normali. Racconta spesso episodi della sua vita che si prestano al confronto. Cerca di ritrovare il carattere dei luoghi che Dora Bruder o suo padre hanno conosciuto. Ricorda di essere stato in quei luoghi e riferisce di averli visitati. Parigi in particolare diventa una città che reca il segno di un'assenza. Il romanziere esagera? Non proprio: raggiunge l'effetto di far sentire che la persecuzione degli ebrei è entrata nella vita di uomini come lui, come noi: si è snodata nelle strade che noi continuiamo a percorrere, in luoghi che si sono caricati per noi di memorie ben più familiari e rassicuranti. La vicenda di Dora Bruder è sottratta all'eccezionalità assoluta che essa sembrerebbe comportare per via dell'appartenenza al dominio sacro del genocidio. 
 
La terza linea di svolgimento narrativo è data dalla evocazione del contesto. Qui riscontriamo nel romanziere un'abitudine tipica degli storici. Modiano conosce bene il periodo dell'occupazione tedesca in Francia. Si è distinto in passato per posizioni che insistevano sull'ambiguità dei rapporti umani in quel tempo. Non è portato a contrapporre eroi positivi a figure diaboliche. Ancora una volta nel libro assume posizioni per lui nuove. Esalta Dora Bruder come una resistente: “A sedici anni, lei aveva tutti contro, senza sapere perché. Altri ribelli, nella Parigi di quegli anni, lanciavano bombe sui tedeschi, sui loro convogli e i luoghi di riunione. Avevano la sua stessa età. I volti di alcuni di loro figurano sull'Affiche rouge e, nella mia mente, non posso fare a meno di associarli a Dora”. Straordinario omaggio: quel manifesto affisso sui muri di Parigi riproduceva le foto segnaletiche di resistenti ebrei o stranieri fucilati dai tedeschi come banditi. L'evocazione del clima e del contesto permette a Modiano di riempire molti vuoti: il profilo esile della vicenda singolare che emerge dai documenti si trasforma così in una traccia che suggerisce una serie di notazioni giuste e pertinenti, che dà luogo a parallelismi, che fa nascere il desiderio di ricordare altri casi, altre vittime travolte nelle stesse circostanze o in altri momenti da un analogo destino.
Nella letteratura sull'esperienza dei campi, esiste un personaggio commovente che non ha neppure un nome certo. Veniva chiamato Hurbinek dagli altri prigionieri: “Era un nulla, un figlio della morte, un figlio di Auschwitz”. Compare nella Tregua di Primo Levi: “Nulla resta di lui: egli testimonia attraverso queste mie parole”. Dora Bruder si è insinuata nella mente di Modiano per la sola forza del suo nome, che figurava nella lista dei prigionieri partiti per Auschwitz con un convoglio e tornava in un articolo di giornale. Ora quel nome è associato a una storia. Un'impronta resta di lei, il sentimento di un'assenza, la traccia di un sorriso, perché no, come nell'ultima fotografia che le è stata scattata: un sorriso che dava al volto “un'espressione di mesta dolcezza e di sfida”: e un mistero che Modiano ha saputo avvertire.

Patrick Modiano 
Dora Bruder 
traduzione dal francese di Francesco Bruno, Guanda, Parma 1998 [1997]
La recensione è uscita sull'Indice del settembre 1998. 

 

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