Marianna Rizzini
Ciao democrazia diretta. Il caso sardo e il ripudio grillino dello sfogatoio web
Il Foglio, 8 gennaio 2013
In principio fu l’assemblea. Come quella del liceo,
come quella di un film di Nanni Moretti: l’assemblea come idolo. Ma ora
anche i Cinque Stelle, che all’assemblea perenne avevano eretto un
altare simbolico, si stanno accorgendo che il cosiddetto “problema di
metodo” è di merito: la democrazia diretta non può essere così
minuziosamente diretta, pena l’inconcludenza (e, più che altro,
l’irrilevanza). Capita infatti che in Sardegna Beppe Grillo –
padre-padrone, sì, ma dal suo punto di vista per fortuna – salvi gli
attivisti da se stessi, negando alle fazioni litiganti l’uso del simbolo
per le regionali, nonostante i risultati delle politiche (Cinque Stelle
primo partito nell’isola).
E capita che, sempre in Sardegna, la deputata di M5s
Emanuela Corda dica parole che mesi fa sarebbero state infilzate dai
compagni parlamentari in streaming: “…Avrei voluto abbandonare il
tavolo. Temo che alcuni abbiano scambiato il Movimento per uno sfogatoio
dove poter fare il proprio comodo, senza curarsi del fatto che, in
certi contesti, occorra rispettare delle elementari regole di buona
educazione… ‘Uno vale uno’ non significa che chiunque possa irrompere in
un’assemblea e metterla a soqquadro. Non significa che ‘uno vale
l’altro’ e che chi urla di più ha infine ragione”. E’ il re nudo, un
tempo neppure guardabile dai neoparlamentari grillini (pena la crisi
prematura d’identità). Ma è soprattutto l’ultima pietra lungo la via
della disillusione: dalla democrazia diretta, dalla democrazia del Web,
dall’idea che il Web che vomita qualsiasi suggestione epidermica sia
panacea e rigenerazione. Visti poi i recenti incidenti da malaugurio
twitteriano d’ogni provenienza (contro Pier Luigi Bersani in ospedale e
contro la studentessa malata, viva grazie a esperimenti su animali) una
parte dei Cinque Stelle eletti si è detta: ma questo è troppo. Troppo
anche per un Web ideale da pianeta Gaia (quello di Gianroberto
Casaleggio).
“Non siamo pronti… c’è troppo livore, troppa
incoscienza, troppo protagonismo nell’esternare ai quattro venti un
malessere che è figlio primariamente delle nostre debolezze”, ha detto
Emanuela Corda, e a questo punto ci si chiede che cosa l’abbia finora
trattenuta dal denunciare una realtà lampante fin dal primo giorno di
permanenza dei Cinque Stelle sulla ribalta nazionale, e dal trarne le
conseguenze: la maleducazione è acuita proprio dal fatto di sentirsi
legittimati dall’esistenza teorica della democrazia diretta (“uno vale
uno” dunque io comando come te e comunque non comandi tu). Lo specchio,
agli occhi di molti eletti, quotidianamente alle prese con le orde di
“fan” anche insultanti sui social network, non rimanda più l’immagine
dei cittadini candidi, migliori di chiunque possa lontanamente essere
accomunato per status o pensiero alla fantomatica “casta”. Ma lo
specchio, agli occhi degli attivisti, rimanda l’immagine di uno spreco:
ma come, dite no a qualsiasi accordo sulla legge lettorale? Ma come, non
vi presentate dove eravate primo partito? E infatti ieri, sul Web, era
profluvio di critiche contro i parlamentari a Cinque Stelle sardi, rei,
per la base, di mancata “consultazione” e “compattazione” dei gruppi
locali (commento più gentile: “Dalle stelle alle stalle”).
Ed è il pavimento che va in pezzi sotto ai piedi, per chi,
emerso dal web grazie a un clic, si ritrova perennemente inchiodato da
un clic (ne sa qualcosa l’ex grillino poi espulso Antonio
Venturino, bersaglio, su Facebook, degli indignati della pizza: se un
eletto proprio deve mangiarla, la pizza, che almeno sia margherita, ché
la capricciosa costa troppo). Grillo ha tolto il simbolo e basta
(“partecipare non è obbligatorio”, ha detto ieri), ma il fatto scatena
dietrologie. “E’ una mossa per non perdere in vista delle Europee”,
dicevano ieri, smentiti dai vertici a Cinque Stelle che annunciano liste
in Abruzzo, gli osservatori anche benevoli che continuano a vedere in
Grillo un pensoso stratega politico (peccato che Grillo continui a
restare prima di tutto un attore).
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