Miguel Gotor
Paolo Mieli e il terzismo come categoria storica
“I conti con la storia”, il nuovo saggio del presidente di Rcs libri
la Repubblica, 2 gennaio 2013
L’espressione «uso pubblico della storia» fu utilizzata per la prima
volta nel 1986 da Jürgen Habermas nel corso di un dibattito sul tema
delle responsabilità tedesche nella Shoah. Egli se ne servì per
distinguere il lavoro scientifico dello storico dal dibattito pubblico
sui mezzi di comunicazione di massa, privilegiando la dimensione
etico-civile del primo a discapito del secondo. Nel corso degli ultimi
trent’anni, a seguito della rivoluzione tecnologica che ha
caratterizzato in modo particolare il settore dei mass media, questa
distinzione in negativo è andata sfumando e si è affermata un’accezione
positiva del concetto che includerebbe tutto ciò che di storico è
veicolato al di fuori dei luoghi deputati alla ricerca scientifica: dai
giornali alle televisioni, ai monumenti, alle cerimonie pubbliche.
Tra
i principali artefici dell’uso pubblico della storia in Italia è
certamente l’attuale presidente di Rcs libri Paolo Mieli, ex direttore
deLa Stampa e del Corriere della Sera, che svolge da anni un ruolo di
filtro e di mediazione fra il grande pubblico e la ricerca storica.
All’inizio egli ha adempiuto a questa funzione rispondendo alle lettere
del Corriere al posto che fu di Indro Montanelli, poi vestendo i panni del
recensore di libri di storia. Il suo ultimo volume I conti con la
storia. Per capire il nostro tempo raccoglie per l’appunto un’ampia
selezione di articoli e rappresenta una sorta di biblioteca ideale e di
guida alla lettura utile non solo al grande pubblico, ma anche agli
studiosi della materia che spazia dall’antica Grecia al fascismo, da
Spartaco a Gramsci, dall’Inquisizione al Risorgimento, da Bismarck alla
guerra civile spagnola. È interessante soffermarsi sui criteri generali
adottati da Mieli nella scelta dei libri da recensire e dunque da
divulgare presso un pubblico di non specialisti perché ciò aiuta a
riflettere sui meccanismi di funzionamento dell’uso pubblico della
storia in Italia, una delle principali coordinate su cui oggi opera lo
storico della contemporaneità, all’incrocio tra il mondo della politica e
quello della comunicazione. La prima costante è la centralità del tema
della memoria e della sua contraddittorietà. Mieli è consapevole che
storia e memoria sono due binari paralleli destinati a correre insieme
senza però incontrarsi mai. Resiste quindi alla retorica imperante della
memoria condivisa e si schiera a favore dell’utilità di un benefico
oblio valorizzando la “messa a distanza” critica del passato, mettendone
in luce la complessità.
La seconda costante è la centralità della
vittima come testimone di un trauma, il nuovo eroe del racconto storico
di oggi. Mieli, sulla scorta di alcune suggestive riflessioni del
filosofo Mario Perniola, nota come le odierne civiltà della colpa
tendano a trasformare la politica in etica dilatando enormemente le
categorie di responsabilità. L’ipertrofia della morale, però, produce il
trionfo del cinismo e della spudoratezza: se ognuno di noi è moralmente
corresponsabile di tutti i mali del mondo, allora non lo è più nessuno e
si produce una generale autoassoluzione in cui il politico si limita a
cambiare il nome alle cose piuttosto che proporsi di cambiarle
veramente.
La terza costante è la centralità del revisionismo come
battaglia ideologica, in particolare contro il paradigma interpretativo
di derivazione gramsciano-azionista della storia d’Italia. In effetti,
la stragrande maggioranza dei libri recensiti da Mieli che riguardano i
principali nodi della storia nazionale, dalla Riforma protestante
all’Inquisizione romana, dal Risorgimento alla Resistenza, dal fascismo
all’antifascismo, è funzionale a cogliere quest’obiettivo che tende a
valorizzare le zone grigie dell’agire umano, il momento della
contraddizione a discapito di quello della decisione. L’ultimo ventennio
di uso pubblico della storia sui giornali è stato dominato da questo
canto “terzista” che si è ormai trasformato a sua volta in un canone da
rivedere perché ha esaurito la sua funzione di puntellare sul piano
ideologico e di moderare su quello politico l’egemonia culturale del
berlusconismo. Proprio questa è la principale ricchezza del libro di
Mieli: da un lato, serve come non mai a «capire il nostro tempo», ma
dall’altro ci dice che un’intera stagione è ormai giunta al tramonto.
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