Da “Fassina chi?” a Goldrake la politica scopre il “renzese”
Dopo la rottamazione, il lessico spiazzante del sindaco
la Repubblica, 23 gennaio 2014
INNANZITUTTO l’inglese, o quello che a spizzichi e bocconi assomiglia
all’inglese: «Cool», «smart», «finish», «game over», «job act». Du yu
spik «renzese»?
«Venendo qua - questo si è potuto ascoltare dal
leader del Pd la scorsa settimana - ho incontrato una signora che mi ha
preso in giro: “Oh Renzi, falla finita con questi nomi strambi!”. Questa
dunque la conclusione del breve racconto: la signora «ha ragione»;
insieme a una promessa: «Basta anglicismi».
Quest’ultima parola,
«anglicismi», suona in verità piuttosto colta, perciò colpisce. Di norma
il lessico del personaggio è piano, molto colloquiale, anzi per certi
versi un modello di quotidianità che qualche volta sconfina nella
bullaggine: «Fassina chi?», «li asfaltiamo», «lo rivolto come un
calzino». Già più elaborate formule di offesa e difesa quali: «Deve
farsi vedere da uno bravo», inteso un medico; come pure, ma su twitter, a
proposito di un utente sconsiderato: «Spero che chi lo ha fatto, dopo
aver parlato, abbia posato il fiasco», nel senso dell’ubriachezza
molesta.
Questa lingua tutto sommato lineare e non di rado
contundente - si pensi alla contagiosa energia della «rottamazione» ha
tutta l’aria di essere una delle ragioni del successo di Renzi. Ecco
comunque il giudizio complessivo che su di lui ha espresso qualche
giorno fa un grande esperto del ramo comunicazione, Silvio Berlusconi:
«È moderno, non è un politico tradizionale, è brillante, telegenico, ha
la battuta pronta, usa un linguaggio comprensibile dalla gente, e
insomma è un avversario temibile da non sottovalutare».
Ciò detto,
tutto sommato il «renzese» rimane ancora un oggetto da approfondire. Di
sicuro, com’è ovvio, vi si colgono tracce di fiorentinismo come quando,
per la verità senza rendersi conto che il microfono era aperto, ha
definito il povero Bersani «spompo». Per poi correggersi: «Dài, m’è
scappata un’espressione che era anche d’affetto».
Ora, è inutile
soffermarsi su quanto sia stata decisiva Firenze per l’italiano. Ma come
tutte le cose importanti, ganze o meno che siano, la fiera e
consapevole impostazione municipale gioca a doppio taglio. Così per
taluni riecheggia, più che Dante, la commedia di Pieraccioni e
Panariello, mentre per altri, come Antonio Martino, assegna a Renzi un
sovrappiù di eloquenza «che fa sembrare oro colato qualsiasi
sciocchezza».
Sempre proseguendo un’indagine necessariamente
empirica, un’ulteriore caratteristica che colpisce è quella dei giochi
di parole, tipo «serve un partito pensante, non pesante», oppure «il Pd
non esiste, ma resiste», o anche «Berlusconi non è da imprigionare, ma
da pensionare», «dico Andreatta e non Andreotti» e così via.
Uno dei
pochi studiosi che si è avvicinato alla materia, il professor Giuseppe
Antonelli, dell’Università di Roma, ha notato slogan «visivi», parecchie
contrapposizioni ad effetto e riferimenti pop «spinti molto a fondo».
Abbastanza persuasiva è la valutazione di fondo, secondo cui Renzi
condivide e fa sua «l’intuizione secondo cui è la cultura televisiva a
fondare la nostra identità nazionale». E in qualche modo, si può
aggiungere, anche quella generazionale.
Ecco perciò Goldrake,
Sanremo, Miss Italia, il mago Zurlì, il mago Otelma e l’innominato
Califano che conclude «tutto il resto è noia», ognuno dei quali chiamati
a raccontare significati e rafforzare concetti. Da questo punto di
vista gli esempi sono abbondanti.
La battuta in «renzese», d’altra
parte, è prodigiosamente rapida, forse anche troppo. Ma a detta di
Antonelli ce ne sono di «già impacchettate» che secondo le logiche del
marketing tendono a inglobare diversi pubblici. Per cui il leader del Pd
punta sui giovani non solo con una comunicazione calda «dài, ragazzi!» -
ma richiamando anche, per dire, l’allenatore Pep Guardiola, mentre il
richiamo a Bartali è dedicato alle zie e ai nonni.
Lo sport, o meglio
il calcio, è infine una chiave fondamentale, tanto che
nell’inarrestabile chiacchiera renziana rasenta quasi l’ossessione. Il
campo della politica si risolve identificandosi pienamente nel campo da
gioco in una continua e rutilante evocazione di maglie, panchine, calci
di rigore, «io sono trapattoniano» per dire che gioca in difesa, «se mi
avete dato la fascia da capitano - questo nel discorso della vittoria
alle primarie - non farò passare giorno senza lottare su ogni pallone».
L’altro giorno, dopo l’incontro con Berlusconi, ha superato se stesso
chiedendo ai suoi: «Vi è piaciuto il cucchiaio?». Che sarebbe un gol
segnato con un pallonetto - là dove il virtuosismo sfiora l’evanescenza,
ma qualche punto porta a casa.
Nessun commento:
Posta un commento