Gino Castaldo
Scompare Pete Seeger “padre” di Dylan e Springsteen
È morto a 94 anni. Tra i suoi successi “If I had a hammer” e la rielaborazione di “We shall overcome”
la Repubblica, 29 gennaio 2014
Addio a Pete Seeger, vecchio guerriero del folk, morto nel sonno a 94
anni nell’ospedale di New York dove era ricoverato da alcuni giorni. Il
buon caro vecchio Pete era una figura molto prossima all’idea che
potremmo farci di un santo laico. O almeno questo è quello che emanava:
purezza, integrità, dedizione, empatia con tutti gli esseri viventi che
soffrono. Era un uomo dolce ma determinato, amabile ma feroce nella sua
convinzione estrema, uno di quegli uomini che non riescono a stare in
pace sapendo che da qualche parte qualcuno sta male e con questo
principio aveva iniziato a far musica, lasciando studi e agiatezza della
colta borghesia del New England in cui era nato per schierarsi a fianco
dei diseredati. Era il suo modo di cercare giustizia in un mondo che di
giustizia ne offriva poca, lui stesso ripetutamente vittima del furore
maccartista, processato, condannato, boicottato in ogni modo per le sue
simpatie di sinistra. Cosa che non gli ha impedito di essere una delle
più influenti e carismatiche figure del Novecento americano.
Il suo
verbo era il folk, la musica del popolo, e fu spinto a cantarlo dal
pioniere della ricerca sul campo Alan Lomax, a fianco di Leadbelly,
Woody Guthrie, Burl Ives. Con la sua voce gentile e persuasiva, è stato
probabilmente il massimo divulgatore di cultura popolare e non solo di
quella americana. Era già attivo negli anni Quaranta, ma arrivò al
successo quando creò il gruppo dei Weavers, con i quali raggiunse un
clamoroso successo di classifica nel 1950 con Goodnight Irene. Ma,
tanto per capire che tipo era, i Weavers li lasciò quando gli altri
membri accettarono di incidere un jingle pubblictario per una marca di
sigarette. Divulgatore ma anche autore o coautore di altri pezzi celebri
come Turn turn turn, Where have all the flowers gone, If I had a hammer
(conosciuto in Italia come Datemi un martello, anche se la versione di
Rita Pavone l’aveva trasformato in un pezzo frivolo, privo del senso
originale). Fu anche lui, sempre grazie a Lomax e a una visione
internazionalista del folklore, a scoprire quella che sarebbe diventata
una delle più famose canzoni di tutti i tempi, ovvero The lion sleeps
tonight. Era un canto zulu, di Solomon Linda (che morì povero e ignaro
del successo planetario che la sua composizione aveva avuto), e Pete
Seeger la ripropose come Wimoweh, anche se la sua versione, grazie alle
purghe maccartiste, non ebbe alcun riscontro, come accade invece ai
Tokens che col titolo di The lion sleeps tonight ne fecero un singolo
vendutissimo.
Ma il momento di massimo fulgore toccò a Seeger quando
la sua musica incontrò il movimento dei diritti civili nei primi anni
Sessanta. La sua versione di We shall overcome (uno spiritual
tradizionale, di cui si vantava di aver cambiato la frase We will
overcome nella più cantabile We shall overcome), diventò l’inno della
marcia su Washington di Martin Luther King nel 1963. La fede nella sua
missione non l’aveva mai persa e quando qualche anno fa l’andammo
trovare nel suo eremo tra i boschi di Beacon, a nord di New York, ci
aveva raccontato che quando qualcuno gli chiedeva se una canzone era
buona o no, lui continuava a ripetere: «Buona per cosa?». Era il periodo
in cui la sua figura era tornata al centro dell’attenzione del mondo
della musica grazie all’omaggio di Bruce Springsteen e le sue “Seeger
Sessions”. Ma lui rimase schivo. «Springsteen?» diceva, «un brav’uomo». E
nulla di più. Era insieme alla moglie Toshi, dalla quale dal 1944 non
si era mai separato, e che è scomparsa poco prima di lui, nel luglio
dello scorso anno.
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