Gian Carlo Caselli
Il pentito storico
“Roby il pazzo” che annientò Prima Linea
Il Fatto, 10 gennaio 2014
La notizia delle morte di Roberto Sandalo riporta alla memoria la
sconfitta del terrorismo “rosso”, iniziata nel 1980 quando – tra le
giostre di piazza Vittorio – finisce in manette Patrizio Peci, capo
della colonna torinese delle Brigate Rosse. Con le sue rivelazioni, Peci
consente di individuare i responsabili di tutti gli omicidi,
gambizzazioni”, rapine e sequestri commessi a Torino (e non solo) dalla
sua banda. Innesca inoltre una reazione a catena che porta ad
un’infinità di altri pentimenti, determinando il crollo verticale delle
Br. Una banda armata non meno sanguinaria era “Prima linea”. Peci parla
anche di un “piellino” torinese aspirante brigatista ed in pochi giorni
costui viene identificato in Roberto Sandalo, detto “Roby il pazzo”, ex
membro del servizio d’ordine di Lotta Continua. Peci sa tutto perché è
un capo. Sandalo no, ma è ugualmente a conoscenza di informazioni
decisive. Pl infatti era un’organizzazione più movimentista, più
slabbrata rispetto alle verticistiche e catacombali Br. Per questo anche
un quadro non di vertice come Sandalo è in grado di fornire
informazioni che disarticolano da cima fondo l’organizzazione fino a
disintegrarla. E al pari di Peci, Sandalo ebbe il merito di essere il
primo anello di una catena infinita di altre collaborazioni.
Tra le migliaia di notizie fornite, Sandalo rivelò anche che fra i capi
di Pl vi era un tal Comandante Alberto, presto identificato in Marco
Donat Cattin, figlio del senatore e ministro Carlo. Sandalo parlò anche
di alcuni suoi incontri con il senatore, che gli aveva riferito di
colloqui con il presidente del consiglio Cossiga in ordine alla
posizione del figlio Marco. Nell’adempimento dei nostri doveri
istituzionali inviammo gli atti alla Camera (Commissione per i
procedimenti di accusa). L’ipotesi era di violazione del segreto per
consentire la fuga di un terrorista.
ALLA FINE di un tormentato iter il Parlamento bocciò la proposta di
messa in stato d’accusa davanti alla Corte costituzionale con 535 voti
contro 370 e il caso venne chiuso. In una intervista rilasciata anni
dopo ad Aldo Cazzullo (7 settembre 2007), Cossiga dirà che aveva tenuto
(essendosi saputo che Peci aveva fatto il nome di Marco Donat Cattin)
questo comportamento: “Presi su di me la grana. Verificai la notizia e
avvertii il mio ministro che suo figlio era ricercato. Va detto che non
sapevo di quanti e quali reati si fosse macchiato il ragazzo; ignoravo
che fosse nel gruppo che aveva assassinato il giudice Alessandrini. E
chiesi a Donat-Cattin di dire al figlio di consegnarsi e raccontare
tutto quanto sapeva”. Ora, poiché – lo ripeto – inviare il fascicolo al
Parlamento era stato semplicemente doveroso (gli estremi per farlo
c’erano proprio tutti, che poi gli elementi non siano stati considerati
sufficienti in sede politica, è ovviamente un altro discorso),
francamente non sono mai riuscito a capire perché Cossiga se la sia
presa così tanto con me e non abbia mai nascosto di avermela giurata.
Va ancora ricordato che i segretissimi verbali di Patrizio Peci,
comprese le parti in cui si racconta del “piellino” Sandalo e di Marco
Donat Cattin, finirono sui giornali (il vice capo dei Servizi di allora
fu incarcerato). In forma integrale il 3,4 e 5 maggio 1980 su Il
Messaggero. In parte il 7 maggio su Lotta Continua, dove mancavano però
alcune pagine, segnalate con la scritta: “A questo punto nel verbale
manca un foglio”. Ma per la pagina di Marco Donat Cattin (n. 50 del
verbale Peci), la scritta inserita da Lotta continua era diversa, perché
– fingendo un refuso – si parlava ironicamente di mancanza di... “un
figlio”. E tuttavia, questi venne individuato a Parigi dagli uomini del
generale Dalla Chiesa, uno dei quali (un investigatore eccezionale, nome
di copertura “Trucido”) si era appostato per giorni e giorni in
metropolitana fingendosi suonatore ambulante. Arrestato ed estradato per
gli omicidi commessi, Donat Cattin deciderà di collaborare ampiamente. E
dire che all’inizio, ascoltando il racconto di Sandalo sul senatore
Donat Cattin e Cossiga, confesso che restammo perplessi.
TUTTO SEMBRAVA un po’ surreale, in particolare il fatto che il senatore
(ricevendo in vestaglia, nella sua casa torinese, il Sandalo) gli avesse
indicato un suo segretario – tal Fantasia – a cui fare riferimento. A
quel nome, “Fantasia”, mi si chiuse lo stomaco, perché temevo che “Roby
il pazzo” stesse proprio lavorando di fantasia, prendendosi gioco di
noi. E invece no, il segretario Fantasia esisteva davvero, così come
erano vere tutte le altre circostanze riferite da Sandalo. Certo è che
avvertimmo fin da subito nubi cupissime all’orizzonte a fronte di
ipotetici scarsi vantaggi per le indagini. Perché, oltrepassare certi
limiti fa sì che il cordone sanitario del potere scatti inesorabile ogni
volta che ci si inoltra lungo sentieri “scomodi”, dove chi indaga
seriamente rischia. Il potere in genere non è molto sportivo, accetta a
fatica di essere chiamato in causa. Ma sono cose che imparerò ancor
meglio quando deciderò, come procuratore di Palermo, di occuparmi senza
sconti di mafia e politica.
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