Paolo Valentino
Claudio Abbado, il ragazzo di Berlino
Corriere della Sera, 12 dicembre 1995
BERLINO - A dieci anni era “impazzito per Bela Bartok”. E quando
tornava da scuola, con un gessetto preso in classe, scriveva sul muro di
casa in via Fogazzaro: VIVA BARTOK. C’era la guerra, era il 1943, e i
nazisti occupavano Milano. Meno di un secolo prima, i giovani patrioti
risorgimentali avevano riempito i muri della citta’ con VIVA VERDI, uno
slogan politico in barba agli scherani di Cecco Beppe. Che anche dietro
Bartok ci fosse qualche messaggio d'opposizione? La Gestapo lo pensò
subito, “e vennero dal portiere per chiedergli: ma chi lo ha scritto? E
poi chi è questo Bartok, forse un partigiano?”.
E invece Bartok
era Bartok. Ma l'ardore musicale del bambino era rischioso lo stesso,
“perché in quel periodo mia madre aiutava veramente i partigiani, aveva
aiutato a scappare Sergio Solmi, il poeta, abbiamo nascosto anche il
figlio di amici ebrei che si erano rifugiati in Svizzera, e noi dovevamo
dire a tutti che era nostro cugino; venne arrestata per questo e si
salvò solo perche’ aveva incontrato un tenente delle SS italiane che
era stato allievo di suo padre, Guglielmo Savagnone, il mio nonno
siciliano”. Un avo con la corda pazza questo Nonno Guglielmo, “un
personaggio straordinario”.
Quella cattedra all’ Università di Palermo se l'era dovuta
conquistare fuori d’ Italia: “Non ricordo se alla fine del liceo o all'inizio dell'universita’ , di sicuro aveva preso a schiaffi un
professore ed era stato cacciato da tutte le scuole del Regno. Così
aveva studiato in Germania, a Lipsia, si era laureato diventando un
grandissimo esperto di papirologia ed era tornato a Palermo a
insegnare”. Ma questo, Claudio Abbado, lo ha scoperto dopo, e il suo
lungo viaggio verso la cultura tedesca è stato in realta’ “un ritorno”.
Un giorno con Abbado nel tempio dei Berliner Philharmoniker. Il giorno
dopo un nuovo trionfo con la versione concertata dell'“Otello”
verdiano, prima tappa dello Shakespeare Zyklus che dominera’ la “Szene”
berlinese fino a giugno. Sono passati sei anni esatti da quando i
maestri dell’ orchestra piu’ democratica del mondo hanno scelto Claudio
Abbado come successore di Herbert von Karajan.
Per lui, cresciuto nel mito di Wilhelm Furtwangler, la
materializzazione di un sogno. “Il momento più commovente di questi
anni . ammette semplicemente . me lo ha regalato Elisabeth, la vedova di
Furtwangler. Aveva ascoltato un nostro concerto a Lucerna e sapeva che
dovevamo suonare a Ginevra, cosi’ mi ha scritto una lettera: “...Come
successore di mio marito, la invito ad abitare a casa mia”. Ecco, per me
questa frase e’ stata straordinaria, essere il successore di
Furtwangler”. Non poteva andare in modo diverso per un musicista che,
ancora diciottenne, si era sentito predire da Arturo Toscanini: “Avrai
molto successo”. Avvenne a Milano, nella casa del grandissimo in via
Durini. Claudio Abbado, figlio d’ arte, suonava anche con l’ orchestra
da camera fondata dal padre violinista. “I miei genitori frequentavano
Toscanini perche’ l'insegnante di mio padre era Enrico Polo, il cognato
di Toscanini e allievo di Joachim, il più grande amico di Brahms. Una
sera si decise di suonare in casa Toscanini. Così ho diretto dal
pianoforte un concerto di Bach. E Toscanini mi disse quella frase”.
Andava a vederlo alla Scala, “mi ricordo le prove con lui sempre molto
duro che trattava malissimo gli orchestrali, “cani” era la sua
espressione ricorrente. Toscanini aveva una personalità fortissima,
sapeva imporre una disciplina d'orchestra. Ma io già allora apprezzavo
di più Furtwangler, dava un significato più profondo a ogni nota,
sapeva sollecitare una partecipazione più democratica”. Quarant'anni
dopo la scomparsa di Furtwangler, Claudio Abbado siede al posto del suo
mito.
E continua la tradizione che vuole ai Berliner direttori che siano un
po’ anche padri: “E’ vero, l’ orchestra ha sempre avuto queste figure
che stanno per tanto tempo, quasi una vita, e che stabiliscono con gli
orchestrali un rapporto umano molto profondo. Abbiamo fatto per esempio
questa tourne’ e in treno attraverso la Germania, una vecchia
tradizione. Si viaggia, si suona, si mangia, si scherza, si fa tutto
insieme. Uno dei violini compiva 65 anni, si chiama Westphal ed è forse
l'orchestrale piu’ carismatico, allora gli hanno dedicato dei
quartetti per festeggiarlo, capisce? Dei quartetti su un treno. Voglio
dire che c’è ai Berliner il senso di una grande famiglia: il direttore
deve aiutare gli orchestrali non soltanto sul piano musicale ma anche
su quello umano. Se ci sono problemi familiari sono problemi di tutti”.
E allora è vera la storia che lei fa anche lo psicologo. Abbado
sorride con i denti grandi e l'aria vagamente fanciullesca che i suoi
62 anni non riescono a cancellare: “Sì, ma questa è una cosa che mi
tiro dietro da quando ero molto giovane. Ero taciturno, anche a scuola, e
i coetanei mi venivano a confidare delle cose. E' vero anche adesso,
tante volte parliamo di problemi che magari sono legati alla musica ma
che comunque appartengono alla sfera personale”. C'erano molte
possibilità, al momento di decidere la successione di von Karajan. Ma
il prescelto fu Abbado, perché? “Fu decisiva la terza sinfonia di
Brahms che mi avevano invitato a dirigere per il Festival di Berlino. L'orchestra aveva soprattutto voglia di fare piu’ musica moderna, piu’
musica francese, allargare il suo repertorio. E’ quello che poi è
successo, ma non solo, perché abbiamo anche realizzato il progetto dei
cicli: adesso abbiamo Shakespeare, prima abbiamo avuto Faust e il mito
greco. Dunque abbiamo diversificato il modo di suonare, da un lato
continuando la tradizione di questo suono caldo, bello, che è stato il
marchio dei Berliner per il romanticismo, e dall’altro creando per la
musica contemporanea, dalla scuola viennese a oggi, un modo di suonare
più moderno. E poi abbiamo lavorato molto anche sulla musica barocca”.
Lasciamo i Berliner. Di Claudio Abbado si dice fra l'altro che non
lavora volentieri in Italia. “Questa è una leggenda, io lavoro
moltissimo in Italia. Sono stato a Reggio Emilia ancora in ottobre e
novembre con i giovani della Mahler Jugend Orchestra. Abbiamo provato
pezzi di Schonberg, i Caminantes di Nono: grandi messaggi per la pace.
Lei mi chiedera’ perche’ Reggio Emilia o Ferrara, ma perché lì come in
altre città dell'Emilia si varano iniziative che vengono copiate in
tutto il mondo”. Che il cuore di Claudio Abbado batta a sinistra non è
questo omaggio all’ Emilia rossa a rivelarcelo. Ma lui bolla come
“ridicole” le etichette: “Quando dico che la Regione Emilia fa delle
cose straordinarie, per me conta zero il fatto che sia amministrata
dalle sinistre”.
E però rifarebbe tutto, “come suonare nelle fabbriche, aprire la
Scala agli studenti e ai lavoratori, cose che ho fatto perche’ le
ritenevo giuste non perche’ fossero di destra o di sinistra. Quando
protestavo contro la guerra del Vietnam insieme a Maurizio Pollini o
contro i colonnelli greci, tutti facevano titoli sui musicisti rossi,
però quando protestai contro i carri sovietici a Praga esponendomi
personalmente con Kubelik e con Daniel Barenboim, nessuno disse nulla
perché non faceva comodo né a sinistra né a destra. Rifarei tutto.
Faccio un altro esempio: io ho diretto molta musica di Luigi Nono, che
considero un grandissimo compositore, eppure la reazione era sempre la
stessa, Nono e’ comunista. Pensi che una volta a Vienna mi sono trovato
un musicista dei Wiener il quale, alla fine della Settima di Bruckner,
mi disse: “Meraviglioso, non mi sarei mai aspettato che un italiano di
sinistra come lei potesse dirigere Bruckner in modo così profondo”, poi
scoprii che ai tempi era stato un fervente nazista”. Il cuore dell'attività di Abbado rimane all'estero, prima a Vienna ora a Berlino.
Un “esilio” sufficiente a confrontare, a cercare di capire quale sia
il “male oscuro” che sembra divorare la cultura in Italia: “La cultura
rende ricco un Paese, anche economicamente. Non è vero che in Germania o
in Austria si fa di più per la cultura perche’ sono più ricchi, e’
vero il contrario, sono più ricchi perche’ si fa di più per la
cultura. Ricordo un esempio viennese al tempo del cancelliere Kreisky:
si doveva decidere se costruire un pezzo di autostrada oppure se
potenziare la nuova stagione operistica e teatrale. Scelsero Opera e
Teatro, in Italia sarebbe avvenuto il contrario. Siamo un paese
ricchissimo, e invece di valorizzare le nostre potenzialità ci perdiamo
in beghe provinciali, in contrapposizioni assurde tra Nord e Sud”.
E’ difficile abbordare l’ argomento, ma Claudio Abbado sa sciogliere
subito l'imbarazzo: i rapporti con Riccardo Muti, la rivalita’ vera o
presunta con l’ altra grande stella della direzione d’ orchestra
italiana. “La nostra rivalita’ ? Un'altra leggenda. L’ ultima volta che
ci siamo visti è stato a Vienna a cena da amici e come sempre ci siamo
fatti matte risate su questa menzogna, costruita dai media, dalle case
discografiche: qualcuno aveva un accendino quella sera, con la sigla di
una casa discografica; ecco, e’ stata la nostra battuta, qualcosa che
funziona nelle case discografiche. E' un altro assurdo. Io trovo che
Milano debba essere ben felice di avere un direttore come Muti alla
Scala, ce ne fossero tanti altri bravi come Riccardo”.
Eppure anche le leggende attingono alla Storia. Notazione puramente
personale: per quanti sforzi faccia nell’ accreditare un idillio con il
direttore della Scala, Claudio Abbado non ci convince. Ma avete invitato
Muti ai Berliner? “Certo. Ci sono gli “Amici dei Berliner” che vengono
invitati molto democraticamente e vengono regolarmente: Zubin Mehta,
Daniel Baremboim, Pierre Boulez, James Levine, Simon Rattle e Seiji
Ozawa. Anche Riccardo e’ stato invitato. Fra l’ altro c’è l’ Europa
Konzert diretto ogni anno da me o da un direttore ospite, ecco Riccardo
e’ stato invitato proprio per questo concerto. L’ orchestra è andata a
parlare con lui chiedendogli ovviamente di dirigerlo anche durante la
stagione. Ma lui ha cancellato”. Tutto qui? “Io devo dire un’ altra
cosa, che ho messo qui a Berlino un limite agli onorari, una cosa della
quale mi sono tutti molto grati. E’ un tetto piu’ basso di ciò che
ricevo altrove e che ho imposto a me stesso sul contratto con i Berliner
insieme alla clausola che nessuno ricevesse piu’ di questo compenso”.
Il discorso rimane sospeso. Bussano alla porta del camerino. E’ una
giovane soprano, pronta per l’ audizione. Abbado deve congedarsi. Ma c'è un progetto, il progetto della sua vita? No, dice il maestro. E ci
regala l'ultimo aneddoto: “Quando avevo sette anni ho sentito i
Notturni di Debussy alla Scala diretti da Guarnieri, un’ esperienza
magica. Da allora ho sempre pensato di realizzare questa musica. E un
giorno l'ho fatta. Ecco, io vado avanti per sogni, che poi diventano
idee, progetti. Uno dei miei sogni e’ il “Tristano”. Ma a me piace
lavorare a lungo su una cosa, scavarla, maturarla, sul “Boris Godunov”
per esempio ho lavorato vent’ anni”.
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