Oggi "Il Foglio" ha ripreso (a tradimento) un
articolo di Gotor del 2009 sul
linguaggio utilizzato da Bersani, che egli definisce «bersanese»: l’articolo
sorprende per la sua incredibile attualità. Bersani pur avendo intuito la necessità
di codici linguistici differenti, non riesce comunque a compiere il salto.
Dice
Gotor:
La lingua di Bersani è peculiare
perché non sceglie di mescolare l’alto e il basso – ossia di percorrere la
strada del mistilinguismo di tutta una tradizione letteraria italiana che va da
Dante Alighieri a Carlo Emilio Gadda – ma preferisce usare solo il sermo
humilis, quello dei toni gergali e quotidiani, dei dialettismi
orgogliosamente esibiti, delle parole tronche e strascicate, della
sentenziosità proverbiale che ricorda da vicino il populismo linguistico degli
esordi di Umberto Bossi e di Antonio Di Pietro.
Interessante è la classificazione
delle metafore bersaniane
Un gruppo di
metafore è tratto dal mondo contadino, quello che popolava le aie delle cascine
della bassa padana fino alla metà del secolo scorso: «la raccolta non la fai
quando semini», «il consenso è come una mela sul ramo: balla, balla ma cade
solo se c’è il cestino» […]. Un secondo insieme di immagini rimanda al
laborioso mondo artigianale delle officine e delle botteghe con i loro antichi
mestieri: un partito si costruisce «a forza di cacciavite», «la lama si affila
sul sasso», «facciam l’amalgama», «bisogna trovare la quadra» [..].Il terzo
gruppo di espressioni figurate riguarda il mondo delle osterie e quello delle
bocciofile: «ci hanno levato la briscola», «siamo rimasti col due in mano»,
«non possiamo portare vino annacquato».
(A ciò aggiungerei l’ormai
evidente compiacimento con il quale Bersani imita Crozza che imita Bersani)
La domanda sorge spontanea non solo
all’autore del pezzo, ma a tutti noi:
Ma come parla
Bersani? E soprattutto, perché parla così? Naturalmente, l’interessato ha la
risposta pronta e quindi ricorda: «Io negli anni Settanta parlavo in un modo
che oggi mi fa quasi schifo: fra il politichese e l’ostrogoto. Ho fatto uno
sforzo, adesso credo alla nobiltà della metafora, che consente a tutti di
capire». Insomma, saremmo davanti alla studiata scelta di un registro
comunicativo originale, che avrebbe lo scopo di raggiungere il maggiore numero
di persone possibili, offrendo loro la possibilità di identificarsi pienamente
con l’interlocutore, a prezzo di rinunciare a qualunque intento
pedagogico-formativo. Se fosse così, una simile opzione avrebbe un indubbio
vantaggio, ossia quello di produrre nell’ascoltatore un curioso effetto di
regressione che predilige la nostalgia per il buon tempo antico.
Peccato che
Oggi gli italiani non parlano più
in questo modo e i luoghi e i mestieri richiamati da Bersani sono quasi
materialmente scomparsi insieme con i microcosmi sociali di riferimento: la
bocciofila, la cascina, l’osteria, la bottega sartoriale, l’officina. E dunque
ne scaturisce un risultato paradossale perché la realtà non corrisponde al
linguaggio e il linguaggio quindi non riesce a descriverla compiutamente, ad
afferrarla in un progetto. Il candidato alla segreteria del Pd sembra
rivolgersi a una platea di cattolici e socialisti dell’Ottocento, ma il
pubblico che lo ascolta si sente come estraniato, quasi fosse in un museo
davanti a un quadro di Pellizza da Volpedo.
E qui Gotor ha afferrato il
nocciolo della questione: non basta sentire l’esigenza di una buona
comunicazione perché questa si compia: ci vuole una cosa che a Bersani – come
del resto alla maggior parte dei politici manca: il talento. La comunicazione
– piaccia o non piaccia – è un’arte che non si impara. Se poi a questa mancanza
si associano quelle ben più grave di non avere il coraggio di rischiare e di
rimanere radicato ad un elettorato – che nella migliore delle ipotesi è in via
di estinzione e nella peggiore esiste solo ormai nell’immaginazione dei
politici – e quella di non avere la minima empatia verso la gente comune (nel
senso di intuirne necessità reali, sentimenti e stati d’animo), il disastro è assicurato. Conclude Gotor in
maniera fin troppo benevola: Bersani
proprio del passato sta facendo
un uso smaliziato e consapevole con l’ambizione di chiamare a raccolta un
elettore sommerso, quello delle primarie, che deciderà il suo futuro politico.
Ciò può forse bastare a Bersani per motivare un pezzo di partito e per
rafforzare il recinto del proprio elettorato tradizionale, ma certo non gli
sarà sufficiente se vorrà davvero vincere la sua partita, ossia raggiungere
pezzi di società (si pensi soltanto alla piccola e media impresa) che oggi non
votano il Pd. Per riuscirvi, però, «’sta roba qui» non dovrà essere solo di
sinistra, ma soprattutto riformista e non guardare al passato e basta, bensì
anche al presente e al futuro degli italiani. Bisogna trovare ancora le parole
per dirlo, ma come dicevano gli antichi: rem tene, verba sequentur.
Che dire? Nel frattempo Gotor ha cambiato opinione...
RispondiEliminaGotor sembra un'anguilla. Chissà se oltre a scivolare tra gli scogli riuscirà anche a distinguersi in qualcosa, da un punto di vista politico intendo
RispondiEliminaè come per molti artisti: le loro opere sono splendide, dense di significato, pregnati... basta non sentire parlare gli autori... L'analisi di Gotor è originale ed incisiva: peccato che l'autore sia proprio Gotor.
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