Umberto
Terracini (1895-1983), è stato uno dei protagonisti della scissione di Livorno
del 1921 dalla quale nacque il Pci, partito nel quale ha militato tutta la
vita; la sua strenua opposizione al fascismo gli è valsa diciassette anni di
prigionia, trascorsi tra carcere e confino; la sua firma compare in calce alla
Costituzione della repubblica italiana (è stato infatti presidente
dell’Assemblea costituente dal febbraio del 1947 fino alla conclusione dei suoi
lavori).
I
brani che seguono sono tratti da una lettera che Terracini invia alla fine del
1976 – periodo caratterizzato da una grave crisi economica molto simile
all’attuale, nel quale la sinistra è impegnata in un duro dibattito interno su
come debbano essere ripartiti i costi sociali della recessione – all’amico Leo
Valiani (1909-1999, comunista in gioventù, poi azionista e all’epoca vicino al
Pri), il quale, in una precedente missiva, lo aveva criticato per i suoi attacchi
rivolti a Giorgio Amendola, sostenitore della politica dei “sacrifici senza
contropartite” di cui la classe operaia avrebbe a suo dire dovuto farsi carico
per far uscire il paese dalla spirale recessiva:
“Per me il problema – argomenta Umberto – è di non
svuotare di ogni suo ultimo contenuto di classe il partito e la sua azione, il
che non significa che esso non debba assumere posizioni adeguate alla
situazione economica, adottando anche misure che sono tipiche del sistema visto
che poi in definitiva nel sistema ci siamo. […] Sono ben consapevole che dalla crisi si può uscire, e con
difficoltà, solo facendo pagare il prezzo
alle grandi masse lavoratrici [il corsivo è mio]. È sempre stato così da
quando l’economia imperante è la capitalistica. Ma una cosa è il riconoscere le
leggi del sistema e capacitarsi che non è ancora possibile infischiarsene;
altra cosa è farsene i banditori. Per il partito il compito dovrebbe essere
quello di limitare al massimo il prezzo che devono pagare i lavoratori, che è
da sempre la politica che hanno condotto, più o meno bene, i partiti dei
lavoratori. Anche il Partito socialista ai suoi tempi lontani”.
Ciascuno valuti il livello di modernità di queste parole.
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RispondiEliminaSi scrivevano spesso Terracini e Valiani? C'è stata una risposta di Valiani alla lettera proprio sul tema dei sacrifici? La scelta dell'austerità da parte del Pci non è successiva?
RispondiEliminaStando al materiale documentario conservato presso l'Archivio Terracini di Acqui Terme e il Fondo Valiani della Fondazione Feltrinelli di Milano, quello che ho citato senbrerebbe essere l’unico scambio epistolare politicamente significativo tra i due. Sarebbe stato sicuramente molto interessante poter leggere un'eventuale ulteriore risposta di Valiani ad Umberto.
EliminaLa linea dell’austerità adottata dal Pci è di poco successiva (1977, mentre la lettera citata è del dicembre 1976); nel 1978 verrà poi la svolta dell’Eur della Cgil.
Le posizioni di Amendola che Terracini critica possono essere viste come una sorta di premessa teorica a quella linea politica. Ecco cosa scrive Amendola a proposito della questione dei “sacrifici senza contropartite”:
“la contropartita non è qualcosa che altri dovrebbero concedere […] ma il raggiungimento di obiettivi che prima di tutto interessano i lavoratori: la salvezza del paese e la continuazione del suo progresso […] di sacrifici cioè compiuti dai lavoratori per i lavoratori, per la nazione, di cui la classe operaia è, ormai, forza dirigente” (G. Amendola, Coerenza e severità, «Politica ed economia», n. 4, 1976).