Claudio Vercelli
Mah, che dire, al di là dei ricordi in parte oramai sbiaditi, comunque ingialliti benché non per questo cancellati? Ricordi, nel caso mio, traslati dal tempo anche se all'epoca ero già nato. La vicenda cilena fu molto vissuta, nel mentre si consumava il golpe ma anche negli anni successivi. Poiché da subito, oltre a dare il segno brutale della disintegrazione di un sogno tanto intenso quanto illusorio - quello di una rivoluzione "democratica", quasi azionista, se dovessimo usare i nostri paradigmi culturali e politici, dove la parte "buona" della borghesia, quella cosciente e "riflessiva", di cui Allende si era candidato ad essere la punta di diamante, traghetta una collettività verso "equilibri più avanzati" - comunicò all'opinione pubblica internazionale che il tradimento poteva rivelarsi consustanziale ad una democrazia. Il bacio di Giuda nella versione contemporanea, in altre parole. L'orrore per figure come Pinochet derivava non solo dal riscontro di ciò che stavano facendo, e avrebbero continuato a fare pressoché indisturbati, ma anche dalla consapevolezza che per potere tradire avevano dovuto e voluto giurare fedeltà ad un assetto istituzionale del quale erano parte a pieno titolo. Si sa che nel novero dell'alta ufficialità cilena, spaccata al suo interno, Pinochet era considerato un "lealista", risolvendosi a partecipare al golpe solo in prossimità di esso, più per paura di essere scavalcato dai suoi pari che non per una profonda convinzione sulla sua necessità politica in quel preciso momento. Non di meno, i golpisti si mossero quando una parte della Democrazia cristiana cilena diede il suo assenso, condizionato al fatto che non si trasformasse in un redde rationem. Le cose seguirono poi il loro corso, che fu dettato da una miscela di feroce rivalsa sociale (quella di una parte della borghesia che intendeva impedire qualsiasi processo redistributivo), di repressione belluina, con la distruzione di qualsiasi forma di dialettica politica e di creazione di un nuovo ceto medio - il vero, grande risultato dei golpisti, in ciò imbeccati dai Chicago Boys - che costituì la chiave del duraturo successo del regime pinochettista, declinato solo con la fine degli anni Ottanta, nel periodo delle "grandi transizioni". In Italia, allora, ne temevamo qualcosa, se si pensa anche solo alla traiettoria razionalmente delirante di un personaggio come Feltrinelli, alla paura che lo accompagnava del pari ad un'ombra, al timore che serpeggiava in molti "ambienti" rispetto alla ripetibilità della soluzione greca e così via. Le bombe e la strategia della tensione stavano lì a dimostrare non tanto la materiale praticabilità di una deriva golpista quanto la capacità di condizionamento che il fantasma di essa, ossia il solo evocarla, esercitava sulle forze politiche e sulle organizzazioni collettive democratiche. Queste dinamiche, insieme alle scelte scellerate delle Amministrazioni statunitensi nel "cortile di casa", che nel decennio successivo si sarebbero ripetute nel Centro America, con il brutale ridimensionamento della presenza politica e civile delle componenti amerindie (penso in particolare al Salvador e al Guatemala), non ci hanno permesso di formulare un giudizio definitivo sul "radicalismo" (più che sul socialismo) di Allende e dei suoi uomini. Ovvero, il Cile di Allende, trasformato poi in un vero e proprio laboratorio del neoliberalismo mercatista, dal quale presero esempio Thatcher e Reagan, continua ad esser ricordato essenzialmente come istanza affettiva e riscontro emotivo. Un bel film statunitense, di nove anni dopo il golpe, "Missing", fotografa e racchiude questo approccio, risolvendolo in un senso di sconsolata malinconia: quella per il figlio scomparso poiché assassinato, quella per la fine di un esperimento che si sarebbe rivisto, fatte le debite proporzioni e le molteplici differenze, come copia populista con il Venezuela di Chavez, quella per una democrazia menzognera nell'incarnato di alcune Amministrazioni di Washington (la prece di Billy Carter fu solo parentesi, non risarcimento). Della visionarietà dell'allendismo ma anche dei suoi molti limiti - hanno parlato a loro tempo, tra gli altri, Regis Debray, così come sagaci considerazioni dal vivo erano quelle che Alain Touraine consegnò quasi nel mentre - poco si continua a sapere. Così come un personaggio ricco di ispirazione ma anche politicamente contraddittorio quale fu Salvador Allende Gossens, animato da un interiore furore prometeico, abile nel tessere rapporti ma debole sul piano delle alleanze strategiche, uomo politico di lungo corso ma comunque di minoranza, quindi destinato ad essere in qualche modo emarginato se non spodestato, rimane l'immagine del martire. Qualche idiota per questo forse arriva a contrapporre il 1973 al 2001. E' tutto dire.
Michelle Bachelet saluta la presidente de Senato, Isabel Allende (2014) |
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