Alberto Riva
“Laddove, in questi nostri tempi difficili, scorgiamo una speranza per un futuro migliore in zone semi-sconosciute, è nostro dovere additarle, indicandone le possibilità. È per questo motivo che ho scritto questo libro”. Fuggiva dall’Europa annichilita dal nazismo l’ebreo viennese Stefan Zweig quando, nel 1941, pubblicò Brasile, terra del futuro, che Elliot riporta finalmente in libreria (traduzione di Vincenzo Benedetti, pp. 244, euro 18,50) restituendoci un magnifico e straziante reportage di viaggio dell’autore di Il mondo di ieri e della Novella degli scacchi. Non mentiva, Zweig, in quella sua dichiarazione d’intenti, sebbene lui la speranza l’avesse già persa per sempre. In Brasile, nella piccola casa che aveva scelto come rifugio nella montagnosa Petropolis, a pochi chilometri da Rio, lo scrittore si sarebbe infatti suicidato la notte del 23 febbraio 1942 insieme alla sua giovane seconda moglie Lotte Altmann.
Nel suo ultimo, acutissimo diario di viaggio (il cui titolo si è appiccicato al destino brasiliano come una promessa a volte realizzata altre invece tradita), Zweig non si era soffermato solo su Rio, ma aveva parlato anche di San Paolo, allora già metropoli (“Per descriverla bisognerebbe essere cultori di statistica e di economia politica”) e del Nordest, dove cinquecento anni prima il portoghese Pedro Álvares Cabral era attraccato con le sue caravelle: “Bahia rappresenta per il nuovo mondo ciò che per noi europei sono le metropoli millenarie, Atene, Alessandria e Gerusalemme: un luogo sacro della civiltà”.
Zweig volge lo sguardo indietro: “Oro, zucchero, caffè, gomma o legname: sino a oggi in ogni secolo il Brasile ha rivelato sempre nuovi aspetti della sua ricchezza e offerto nuove sorprese”. Poi si lascia andare a riflessioni che oggi risulterebbero quantomeno controcorrente: “Alcune cose singolari che rendono Rio così colorita e pittoresca sono purtroppo già minacciate. Anzitutto le favelas, i villaggi negri all’interno della città. Li vedremo ancora da qui a un paio d’anni?”. Ma sarebbe stato felice, Zweig, di sapere che la sua preoccupazione era infondata? In numero assai esiguo ai suoi tempi, le favelas oggi a Rio sono circa settecento e non accennano a diminuire. Altre volte invece lo scrittore ci azzecca, come quando indica i tram e si chiede: “E scompariranno anche i vecchi bondes, le carrozze tranviarie aperte e saranno sostituite da vetture chiuse, moderne?”. Profetico: l’attuale amministrazione ha fatto sparire, non si sa bene per quale idea di futura speculazione turistica, l’intera flotta dei bondes che risalivano la collina di Santa Teresa nel centro della città e rappresentavano il mezzo di trasporto più popolare e meno caro del mondo: 25 centesimi di euro la corsa.
http://ilmiolibro.kataweb.it/recensione/catalogo/2315/lultimo-viaggio-straziante-e-profetico-di-stefan-zweig/
John Dos Passos, Sulle vie del Brasile, Donzelli 2012
«I fiumi scorrono nel verso sbagliato. Le
montagne sorgono nei punti più inopportuni. La regione orientale è
afflitta da siccità perenni. Le malattie tropicali rappresentano una
minaccia per lo sviluppo urbano. La principale risorsa del Brasile sono i
brasiliani».
Rio, San Paolo, la nascita di Brasilia, le favelas, l’architettura modernista, l’incipiente urbanizzazione, e poi l’Ovest impervio, il Rio delle Amazzoni, il Mato Grosso – da nord a sud, da est a ovest, non c’è regione che Dos Passos non abbia visitato e raccontato ai suoi lettori, nei tanti reportage firmati per «Life», la celeberrima rivista americana, a cavallo di un quindicennio, tra il 1948 e il 1962. Un arco di tempo che vide cambiare il volto del Brasile, alle prese con un rivolgimento economico, politico e sociale che l’avrebbe trasformato nel paese che oggi conosciamo. Ma Dos Passos non è solo un testimone d’eccezione dell’impatto del Brasile con la modernità, è una delle prime penne d’America che si alimenta di una dichiarata empatia con quella terra e soprattutto con i suoi abitanti. Sono infatti proprio loro la principale ricchezza del Brasile. Dai capi di Stato agli imprenditori in ascesa, dagli indiani delle foreste ai lavoratori delle miniere, non c’è incontro che Dos Passos non inscriva nel percorso di espansione su cui il Brasile si è appena incamminato. Ecco perché oggi, mentre il paese si afferma tra le superpotenze mondiali, le pagine di Dos Passos ci svelano l’essenza più recondita e le radici profonde dei mille luoghi e delle mille culture che lo compongono.
(presentazione editoriale)
Esiste inoltre un libro di Tullio Ascarelli, Sguardo sul Brasile, A. Giuffrè, Milano 1949
Rio, San Paolo, la nascita di Brasilia, le favelas, l’architettura modernista, l’incipiente urbanizzazione, e poi l’Ovest impervio, il Rio delle Amazzoni, il Mato Grosso – da nord a sud, da est a ovest, non c’è regione che Dos Passos non abbia visitato e raccontato ai suoi lettori, nei tanti reportage firmati per «Life», la celeberrima rivista americana, a cavallo di un quindicennio, tra il 1948 e il 1962. Un arco di tempo che vide cambiare il volto del Brasile, alle prese con un rivolgimento economico, politico e sociale che l’avrebbe trasformato nel paese che oggi conosciamo. Ma Dos Passos non è solo un testimone d’eccezione dell’impatto del Brasile con la modernità, è una delle prime penne d’America che si alimenta di una dichiarata empatia con quella terra e soprattutto con i suoi abitanti. Sono infatti proprio loro la principale ricchezza del Brasile. Dai capi di Stato agli imprenditori in ascesa, dagli indiani delle foreste ai lavoratori delle miniere, non c’è incontro che Dos Passos non inscriva nel percorso di espansione su cui il Brasile si è appena incamminato. Ecco perché oggi, mentre il paese si afferma tra le superpotenze mondiali, le pagine di Dos Passos ci svelano l’essenza più recondita e le radici profonde dei mille luoghi e delle mille culture che lo compongono.
(presentazione editoriale)
Esiste inoltre un libro di Tullio Ascarelli, Sguardo sul Brasile, A. Giuffrè, Milano 1949
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