mercoledì 21 settembre 2016
Non a caso
Un colpo di dadi non abolirà mai il caso
Stéphane Mallarmé
“Sarà un caso?”: una delle domande retoriche più sciocche del lessico pubblico contemporaneo, prediletta da chi vuole immaginarsi padrone dell’ordito occulto che governa le cose umane. Un interrogativo che presuppone una complicità ammiccante con l’ipotetico destinatario e una risposta obbligata: “No certo, non può essere solo un caso”. E un grappolo di locuzioni contigue e altrettanto odiose: “non a caso”, “non può essere un caso” (sentita anche nella versione più fanatica: “mi rifiuto di credere che sia solo una coincidenza”). Il caso infatti è psicologicamente oneroso e inaccettabile. Non appaga il bisogno di trovare una trama e un colpevole, o almeno un responsabile. E’ l’ossessione del mondo disertato dagli dèi che non può rassegnarsi all’insignificanza. L’abuso di “sarà un caso?” vede il mondo pericolosamente affollato di coincidenze sospette. Invece la coincidenza esiste, è una probabilità statistica come le combinazioni dei dadi. “Sarà un caso che sia uscito proprio quel numero?”: certo che sì. Più rassicurante immaginare la realtà come il frutto di un’intenzione coerente, come accade nel complottismo, versione degradata della credenza in un disegno provvidenziale. (Pier Luigi Battista, La fine del giorno, Milano, Rizzoli 2013; frase in epigrafe aggiunta)
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