mercoledì 14 ottobre 2015

Librai e librerie: l'anima e la passione di un mestiere

Francesco Matteo Cataluccio
Piccola filosofia dei librai e delle librerie
post pubblicato su facebook il 14 ottobre 2015





 
Ci sono dei mestieri che caratterizzano profondamente chi li fa. O meglio: a forza di praticarli si diventa congrui ad essi. Uno di questi, ad esempio, è il fioraio. Un mestiere che mette costantemente a contatto con clienti che entrano nel negozio per soddisfare dei sentimenti nobili (di gioia o di dolore). Avete mai incontrato un fioraio antipatico? Se lo è, dopo un po’ cambia mestiere. C’è un rapporto con gli acquirenti di fiori e piante che non può che essere improntato alla gentilezza, all’amore e la competenza per le cose che si vendono, alla simpatia anche verso l’avventore più difficile.

Il mestiere del libraio, padrone o commesso che sia, è come quello del fioraio (e infatti, uno dei migliori librai che conosco, ha una libreria che si chiama”Centofiori”). Ma la straordinaria varietà delle merci che si vendono in una libreria, lo obbligano ad uno sforzo in più di professionalità gestionale e competenza. Il libraio, c’è poco da fare, deve essere prima di tutto uno che sa. Poi, una persona che ha gusto, che sa selezionare le cose migliori, che capisce, o intuisce, cosa serve al cliente.
Si dice spesso che le librerie sono dei luoghi che incutono timore a chi non c’è mai entrato, che respingono perché fanno sentire inadeguati di fronte a tanta offerta di sapere. E’ certamente un po’ vero, e tanto si può fare (e si sta facendo) per cambiare queste cose. Ma rimarrà sempre, inevitabilmente, qualcosa di sacrale in una libreria. “Una casa senza libri è come un corpo senz’anima”, diceva Cicerone. Figuriamoci un negozio che ne contiene migliaia! Da questo aspetto non si scappa: le librerie saranno sempre dei luoghi dove si prelevano tasselli dell’infinito mosaico dell’anima. Il timore è quindi comprensibile, ma bisogna superarlo per accedere alla caverna dei tesori. Il libraio (oltre all’educazione della scuola e della famiglia) è proprio la persona adatta a far capire che i libri sono cose delicate e preziose, ma fondamentali per la nostra felicità e libertà. Il libraio è una specie di sacerdote laico di una religione mille volte attaccata, e troppo volte, soprattutto nell’ultimo secolo, dichiarata estinta, ma fondamentale per dare un senso e un piacere alla nostra vita E’ il pizzicagnolo che vende un cibo che soltanto i pazzi, o le persone in malafede, possono considerare non necessario.
In alcune lingue si scrive Libro con l’iniziale maiuscola (per indicarne uno solo: la Bibbia) e libri, o addirittura libretti, per indicare tutti gli altri. Le librerie, oltre ad avere varie edizioni e traduzioni del Libro (e di altri Libri di altre religioni) sono piene di libretti. Questo già basterebbe a sdrammatizzare la faccenda. Perché i libri sono legati anzitutto al piacere, al godimento della lettura. La promessa di un piacere deve saper trasmettere il libraio, anche quando sta vendendo un libro difficile e complicato (ma se è un vero grande libro, sarà sempre anche un libro divertente).
Ricordo bene il primo libraio che conobbi. Stava in una libreria formata da uno zig zag di piccole stanze, nel vecchio quartiere di Santa Croce, dove andavo a prendere i libri di scuola e qualche altro volume che mio padre mi lasciava comprare. Teneva un lapis tra la basetta e l’orecchio, come un salumaio. Prendeva il libro in mano con molta delicatezza. Passava il palmo della mano sulla copertina, come se dovesse lisciare il pelo di un animale domestico. Poi lo apriva e, ficcandoci dentro il lungo naso, ne aspirava profondamente l’odore. Poi ti guardava di sottecchi e con un sorrisetto ti diceva: “Hai preso un gran bel libro”. Ogni volta lo stesso rito: ti affidava qualcosa di prezioso, ti consegnava un pacchetto che ti avrebbe cambiato la vita. E si ricordava sempre quel che ti aveva venduto: la volta successiva ti chiedeva se ti era piaciuto o se t’era servito a capir qualcosa di più del mondo.
Una passione così l’ho ritrovata poi negli agenti rateali Einaudi (la cosiddetta “banda Cerati”). Bussavano alla porta di casa tua, come se fossero dei rappresentanti di un’allegra setta mormonica. Aprivano il loro folder e ti squadernavano sul tavolo la loro preziosa mercanzia. Di ogni libro sapevano fornirti una chiave e delle allettanti promesse.
C’erano poi i librai della libreria Feltrinelli (dove i miei genitori ci avevano aperto un conto): erano dei simpatici amici che ti aiutavano con passione a trovare cosa, spesso in modo incerto, cercavi. Lì regnava il carnevale esagerato del sessantotto: vendevano anche poster con leader barbuti, opuscoli infuocati, manuali per improbabili guerriglie e persino, per pochi giorni, barattoli di vernice “per dipingere i poliziotti”. Quelle librerie erano lo specchio di quel tempo caratterizzato più dall’azione che dalla riflessione e la lettura. Ma tante persone hanno iniziato ad avvicinarsi ai libri proprio in quelle strane, affollate, librerie dove si parlava di politica come di calcio dal barbiere.
Da molti anni, tutte le inchieste sul mercato dei libri, ribadiscono che, nelle motivazioni di acquisto di un libro, sta abbondantemente al primo posto il “passaparola”. Altro che pubblicità o recensioni! C’è un percorso di consigli basati sulla fiducia e l’affetto che legano gli acquirenti di libri. E in questo percorso sta al centro il libraio. Quante volte, ad esempio, si sente dire in libreria “Avrei bisogno di un libro per una signora di mezza età appassionata di storia antica; saprebbe consigliarmi un titolo”. Il libraio è il motore fiduciario dei tanti che, per le più svariate ragioni, non sanno come orientarsi in un negozio pieno di variopinti volumi. Ma persino di coloro che, pur lavorando con i libri, non possono inevitabilmente essere aggiornati su tutto ciò che viene pubblicato, soprattutto in campi lontani dai propri interessi.
Quand’ero uno studente liceale, e stavo scoprendo il fascino nuvoloso del teatro, iniziai per caso a frequentare un piccolo negozio in riva all’Arno, accanto al Ponte Vecchio. La burbera signora claudicante che lo gestiva mi fece conoscere Beckett, Racine, Witkiewicz, Artaud, Marlowe, Pinter, tirando fuori con complicità quei libretti dagli scaffali e spiegandomi con pazienza e passione il loro valore. Quando compravo troppi libri e non mi bastavano i soldi, mi prestava quelli in esubero. Si costruì così un affezionato cliente, un amico, un complice.
Tra il libraio (anche quando non è il padrone dell’esercizio) e il cliente deve esserci appunto complicità. Il senso della trasmissione di idee, sensazioni, piaceri, sogni. Chi vende un libro (persino un manuale di giardinaggio) vende una promessa, non deve mai dimenticarlo. Per questo il libraio, pur nel dovere commerciale di avere un vasto assortimento e di esaudire qualsiasi richiesta, è necessario che sappia orientarsi bene nella produzione e selezionare i libri di valore. Non può tradire la fiducia del cliente e non può sbagliarsi nel capire di cosa abbia veramente bisogno.
All’inizio del bel romanzone, come non se ne leggevano da tempo, L’ombra del vento, dello spagnolo Carlos Ruiz Zafòn, è descritta la visita di un ragazzino, figlio di un malinconico venditore di libri rari e usati, al Cimitero dei Libri Dimenticati: “Un tempio tenebroso, un labirinto di ballatoi e scaffali altissimi zeppi di libri, un enorme alveare percorso da tunnel, scalinate, piattaforme e impalcature: una gigantesca biblioteca dalle geometrie impossibili”. E il padre dice al figlio che quello è una specie di santuario: “Quando una biblioteca scompare, quando una libreria chiude i battenti, quando un libro viene cancellato dall’oblio, noi, i custodi di questo luogo, facciamo in modo che arrivi qui. E qui i libri che più nessuno ricorda, i libri perduti nel tempo, vivono per sempre, in attesa del giorno in cui potranno tornare nelle mani di un nuovo lettore, di un nuovo spirito. Noi li vendiamo e li compriamo, ma in realtà i libri non ci appartengono mai. Ognuno di questi libri è stato il miglior amico di qualcuno”.
Alcuni anni fa, il direttore editoriale di una prestigiosa casa editrice (recentemente diventata di sua proprietà), inviò una lettera a tutti i principali librai per accompagnare il dono in anteprima di un romanzo che parlava di una libraia. Al di là del valore del libro, trovo che questa pratica dovrebbe (senza inflazionare e quindi rendere inefficace la cosa) essere adottata quando si tratta di un libro speciale che merita davvero attenzione. Il libraio, ogni tanto, deve aver modo di rendersi conto più direttamente, e in modo meno estemporaneo di quanto non facciano le lettere novità, di ciò gli viene offerto di vendere. Fanno bene perciò gli editori che organizzano periodici incontri tra chi i libri li sceglie e li fa e chi li vende al pubblico.
Le librerie devono essere luoghi un po’ diversi dal mondo che sta fuori. Per questo a volte intimoriscono, ma bisogna che sia così. Se è vero, come le ricerche di mercato testimoniano, il negozio dove si vendono i libri è così essenziale per valorizzare la merce che vi è contenuta, sta al libraio personalizzarlo, renderlo, a cominciare dalla vetrina e dalla soglia, qualcosa che non respinge ma anzi invita a entrare. E’ questo un fenomeno che i bravi librai, persino quelli che possiedono un minuscolo locale, conoscono benissimo. L’occhio allenato capisce subito se in una libreria c’è l’anima e la passione del suo proprietario o del suo inserviente. Se c’è quest’atmosfera, sarà piacevole curiosare tra i banchi e gli scaffali e gli eventuali consigli del libraio saranno credibili.
Una città di antiche tradizioni democratiche e librarie come Amsterdam, le librerie sono delle belle e piacevoli nicchie, spesso molto colorate, dove il libraio ti si fa incontro come un amico: già molti decenni fa ci si poteva sedere a leggere e magari bere un tè e mangiare un dolce. Sarà anche per questo che i libri olandesi, anche graficamente, sono bellissimi.
Democrazia e libri sono storicamente sempre andati, nel bene e nel male, strettamente congiunti, tanto che è quasi banale sostenere che le librerie, nei paesi liberi, sono dei veri e propri presìdi di democrazia e civiltà (e i librai hanno quindi una bella responsabilità!). E la bellezza, come sosteneva Fedor Dostoevskij (che era convinto che solo essa ci salverà), fa parte integrante del valore di un libro come del luogo dove lo si espone e si vende.
Nelle librerie di Praga, Varsavia, o Mosca, fino alla metà degli anni ottanta, si respirava subito un’atmosfera opprimente, sciatta, vuota. A Mosca, soprattutto, ti colpiva la bruttezza e la pesantezza dei volumi, l’odore stantio della colla di pesce che teneva precariamente assieme le pagine di libri dove il censore e l’addetto alla propaganda avevano pesantemente lavorato a togliere dalle righe la freschezza e l’energia della libertà delle idee e delle opinioni. E anche i commessi erano persino più scortesi che negli altri negozi, quasi avessero la coscienza di non aver nulla di buono da vendere. I più furbi facevano lauti guadagni vendendo sottobanco i pochi libri interessanti, stampati in esigue tirature, e quindi tanto più agognati dai lettori e dai trafficanti del mercato nero. I veri libri erano clandestini: stampati, o ciclostilati, in edizioni poverissime ma ricche di idee. C’erano poi i libri normali, ma stampati dalle case editrici dell’emigrazione, il cui possesso poteva costare l’arresto e un sacco di seri fastidi. Questi libri si acquistavano nei posti più strani e improbabili (e i librai rischiavano la galera). A Cracovia, la libreria più fornita era una sbocconcellata panchina dietro una quercia, sotto il Castello, dove un piccolo signore, con la sigaretta sempre accesa e l’aria circospetta, teneva un borsone da ginnastica gonfio di libri che facevano la felicità dei lettori. La mia libraia, a Varsavia, tirava fuori da sotto l’ampia gonna i libri “proibiti” che le avevo ordinato, assieme a succulente salsicce e barattolini di miele. Ma come, inspiegabilmente, succede a tutti gli esseri umani, la mancanza innescava la spasmodica richiesta e il bisogno. La censura e la penuria favorivano così un desiderio insaziabile e mai si lesse tanto in quei paesi come in quegli anni.
Anche quando una libreria è un grande spazio, o è addirittura inserita in un centro commerciale, come uno dei tanti tasselli di un’enorme e variegata offerte di merci, occorre che chi varca quella soglia abbia la sensazione di trovarsi in uno spazio diverso da tutto il resto. La tentazione a rendere tutto omogeneo per acquietare il cliente è certamente forte, ma se non si dà la sensazione che lì si vendono dei libri, una “merce speciale e straordinaria”, si fa perdere il senso stesso di quell’eventuale acquisto. E anche l’inserviente di quel settore deve avere qualcosa di diverso, deve essere molto più coinvolto nella merce che vende: deve possedere una professionalità quasi maggiore di coloro che lavorano in una normale libreria, proprio perché il suo pubblico è più generico e casuale.
Le librerie non debbono mai imbarbarirsi. Alcuni anni fa, a Milano, c’era una libreria stretta e lunga, in una grande via commerciale. Aveva un bellissimo soppalco, quasi un rifugio di Peter Pan, dove si arrampicavano i bambini e trovavano colorite seggioline e scaffali bassi con libri tutti per loro. Mia figlia ci stava ore, mentre io curiosavo tra i banchi al piano di sotto, e la trovavo col nasino immerso in un volume illustrato o a chiacchierare con occasionali amichetti dei personaggi delle storie che stavano leggendo. Dovevo portarla via a forza: lì ha imparato ad amare i libri e ad aver confidenza con le librerie. Un giorno chiusero quella simpatica libreria, per aprirne una più grande, su tre piani, dall’altro lato della strada. La libreria stava nel sottosuolo (negli altri piani: la cancelleria e qualche best-seller e, più in alto, i dischi e le videocassette), senza finestre e con poca aria. Ma la cosa più grave è che su una parete del piccolo spazio dedicato ai bambini avevano messo un grande schermo televisivo dove venivano proiettati a ciclo continuo cartoni animati. Così i poveri genitori che, nei giorni festivi, portavano fuori i figli anche per sottrarli ad un eccessivo rimbambimento davanti al televisore domestico, se ne ritrovavano uno più grande in libreria, col risultato che i bambini non guardavano più i libri. Oggi, dopo molte proteste, lo schermo è stato tolto ed è un piacere vedere tutti quei bambini star là seduti a leggere i loro libri.
Il libraio, o la catena di libreria, possono riempire i loro negozi di tutte le cose che vogliono: dalla cancelleria alle cartoline, ai CD di musica e cinema, ai pupazzetti e i cioccolatini per gli innamorati, alle bottiglie di vino pregiato, ai tè aromatici, agli oggetti elettronici, ai lavori d’artigianato locale. Ma devono sempre ricordarsi di essere dei librai e che le altre merci non possono nascondere i volumi. Chi entra nel loro negozio per comprarsi un CD, deve uscire anche con un libro, che lo ha colpito passandoci accanto o gli è stato consigliato per associazione di idee con l’oggetto che ha comprato: un disco di tanghi, ad esempio, non può lasciarsi dietro invenduto un racconto di Borges, un saggio sulla cultura argentina, un romanzo di Sabato, o un’ affascinante raccolta dei testi dei tanghi col testo a fronte, un libro con le strisce di Mafalda, una guida al fascino inesauribile di Buenos Aires, o un volume di Corto Maltese.
Il più grande difetto che può avere un libraio è di essere uno snob. La vera cultura non si è mai identificata con una setta di pochi eletti. Il libraio che disprezza i suoi clienti non è adatto a fare questo bellissimo mestiere. Un mestiere che è veramente un servizio, nel senso più alto della parola: un servizio alla memoria e alla cultura. Ma anche un servizio alla gioia e al piacere. Le lunghe e festanti code davanti alle librerie in attesa della mezzanotte per poter acquistare l’ultimo romanzo della saga di Harry Potter ci fanno capire (a noi che questo genere di code le abbiamo fatte solo per un concerto rock, o un’opera lirica, per un film o uno spettacolo teatrale) che il libro è ancora capace di appassionare larghe fette di pubblico e di giovani. Giovani che sapranno amare e rispettare i libri, se non verranno rovinati dalla scuola che fa loro leggere i romanzi e poi li sottopone a test, ricostruzioni grafiche delle strutture narrative del testo e altre scempiaggini che fanno pensare che la letteratura sia soltanto una cosa di studio. Ci sono però anche tanti bravi insegnanti che accompagnano i loro studenti in libreria, iniziandoli a riconoscere quel luogo come uno spazio amico.
I librai delle grandi librerie e degli esercizi inseriti nei centri commerciali, dovranno essere sempre più librai e non annacquare lo spirito identitario forte di una categoria tra le più importanti per la difesa della cultura. La vasta offerta, le campagne promozionali, la capacità di attrarre soprattutto i giovani con la contemporanea proposta di altre merci (musica, film ecc.), sono la grande possibilità di allargare il mercato degli acquirenti di libri. A patto però di mantenere alta la professionalità e la qualità del rapporto con il cliente.
I librai-proprietari delle piccole librerie dovranno difendersi dalla concorrenza accentuando ancor di più questi aspetti dell’identità, essere imbattibili sui servizi offerti al cliente e, soprattutto, dedicare una parte del loro esercizio alla specializzazione: individuando meglio, nella propria zona, i clienti potenziali, attirando in libreria (con presentazioni e altre iniziative) coloro che cercano libri per poter migliorare la propria professionalità. Il sogno dell’educazione permanente, proprio nel momento in cui il sistema scolastico conosce una crisi profonda, si sta realizzando, in modo strisciante, per molte categorie professionali: l’aggiornamento continuo, per poter svolgere bene il proprio lavoro, attraverso l’acquisto di libri e riviste (internet soddisfa infatti solo in parte questo bisogno) è ormai una necessità per molte persone. Le piccole librerie devono attrezzarsi a essere dei poli di servizio.
Sia il libraio proprio l’amico simpatico e disponibile, che non dà fregature e rispetta l’acquirente, il curioso, o anche soltanto quello che ha dato lì l’appuntamento alla fidanzata perché fuori piove (cosa ormai impossibile nella quasi totalità degli altri esercizi commerciali). Un libraio così non avrà nulla da temere dalla concorrenza fredda e seriale dell’edicola e anzi, se starà con le antenne ben attente, potrà anche sfruttare le suggestioni che un libro comprato con un giornale può suscitare (non sono stati infrequenti infatti i casi, negli ultimi anni, di persone che, acquistato in edicola, un classico, o un capolavoro di uno scrittore, o una raccolta di poesie, abbiano poi cercato in libreria altri libri di un autore scoperto così e apprezzato). Lo stesso discorso vale per l’acquisto di libri su internet (utilissimo soprattutto per i volumi rari o stranieri): il rapporto umano con il libraio, la possibilità di compulsare fisicamente il volume, e il vantaggio di poterlo immediatamente confrontare con altri vicini, rimarranno per molto tempo ancora insostituibili.




Nessun commento:

Posta un commento