mercoledì 12 giugno 2013

L'Italia di Jean-Baptiste Corot

Laura Larcan
La doppia vita di Corot il grande precursore
Sulla mostra "Corot e l'arte moderna. Souvenirs et Impressions" 27 novembre 2009 - 7 marzo 2010 ospitata al Palazzo della Gran Guardia a Verona.
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     L'Italia. Il primo lungo soggiorno italiano, fra il 1825 e il 1828 che gli stimola uno stile precocemente realista, cercando nelle vedute di Roma e nella campagna laziale, sempre di piccolo formato, di restituire con efficacia sulla tela l'atmosfera limpida e cangiante con una tecnica immediata basata su larghe masse di colore. E' qui che Corot scopre l'essenza del paesaggio, ancora prima di aderire alla scuola di Barbizon (quel gruppo di artisti francesi che decideranno tra il 1830 e il 1847) di soggiornare presso la foresta di Fontainebleau per sperimentare la pittura dal vero nel cuore della natura).

     A Roma Corot non cerca la storia o l'eco del passato, ma vuole la luce, quella chiarezza che accende i colori trasformandoli in strumenti diretti della sua stesura pittorica. E comincerà a dipingere secondo la sua sensibilità, en plein air, anche se può impiegarci giorni e giorni per concludere la composizione. Ancora un secondo soggiorno in Italia, nel 1834, viaggiando tra Firenze, Genova, Venezia e i laghi lombardi, quando la sua arte si traduce tutta nel registrare "impressioni" luminose di quei luoghi. Fino al terzo, nel 1843, tra Torino, Genova, Roma e dintorni, periodo di nuove intuizioni.
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      Scorrendo le tele in mostra, che non perdono mai di vista i riferimenti alla sua Italia come esperienze artistiche, si coglie un graduale passaggio dalla chiarezza del primo soggiorno, che tanto piaceva a Emile Zola, ad una modulazione più accentuata delle gamme cromatiche, mentre le figure accentuano l'effetto atmosferico e i contorni appaiono sempre più atmosferici e sgranati.
      Soluzione stilistica che tanto amerà Renoir. Come riporta il curatore Pomarède nel saggio del catalogo della mostra, nel rievocare il celebre "Porto di La Rochelle" [...] invidiava ancora nel 1918 la maniera in cui Corot era riuscito a dare "il colore alla pietra", definendolo "il grande genio del secolo" e "il più grande paesaggista mai vissuto". Renoir, continua Pomarède, che ricordava i consigli dispensati da Corot di "non essere mai sicuri di ciò che si fa fuori" e di "rivedere sempre l'opera in studio", confidava d'altronde a suo figlio, il cineasta Jean Renoir: "Ho capito subito che il più grande era Corot. Lui non scomparirà mai. Si sottrae alle mode come Vermeer di Delft".

la Repubblica, 24 novembre 2009




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