venerdì 7 giugno 2013

Heidegger e Arendt: un romanzo

Paolo Di Paolo
recensisce Mille volte mi hai portato sulle spalle, di Martino Gozzi,  pagine 157 euro Feltrinelli
l'Unità, 7 giugno 2013

IL PASSATO È OSTILE: SI OPPONE ALLA NOSTRA VOLONTÀ DI COMPRENDERLO, DI RICOMPORLO. Ci s’immerge in esso se è remoto armati degli strumenti più sottili e ottimistici, ma non basta. Anche il più attrezzato degli storici deve arrendersi all’idea che la sua indagine sarà tutto sommato un fallimento.
Lo spessore dell’oblio, l’opacità dei gesti, dei pensieri tutto è infinitamente ostile alla luce che proviamo, da qui, a gettare su un evento lontano. Così lo sceneggiatore Ernesto Lizza, nel tentativo di mettere in piedi un film sull’amore fra Hannah Arendt e Martin Heidegger, scopre nonostante la quantità di fonti che ha a disposizione di non sapere nulla. Di non poter capire nulla. «Sentiva che i veri problemi della sceneggiatura erano radicati molto più in profondità», «non erano di sintassi e neppure di struttura». È come se il passato quella specifica zona del passato si rifiutasse alla sua volontà di comprensione. «Perché Hannah Arendt aveva teso la mano a Martin Heidegger?»: perché, in sostanza, la geniale intellettuale ebrea, dopo anni di lontananza dovuti alle persecuzioni antisemite, si riavvicina al grande filosofo che aveva aderito al nazismo? «Che cosa mancava?» si chiede Lizza riflettendo sulla sceneggiatura. «La storia che aveva raccontato era in bianco e nero: prima c’era la passione, poi la rottura e infine il riavvicinamento, dopo quasi vent’anni di silenzio. Ma nessun sentimento era puro come l’alcol (...). La rabbia era sempre mescolata all’affetto. L’amore alla paura. Il rancore all’attaccamento. La delusione al rimpianto. I sentimenti erano grumi di materie impure e impossibili da separare».
Ernesto Lizza arriva a tale constatazione per una via personale, intima. Il confronto con un nonno novantenne, Ettore un confronto imprevisto e acceso che riguarda una figura misteriosa, Mario Barcellona: ex partigiano e militante politico, coetaneo di Ettore e più tardi amico di suo figlio Ferruccio, che nel frattempo è morto di tumore. Ernesto chiede lumi a suo nonno, e scopre che fu la presenza di Mario a scavare per ragioni di militanza politica un fossato fra Ettore e Ferruccio. Così come ha investigato il rapporto fra Arendt e Heidegger, adesso Ernesto vuole investigare questo oscuro passato familiare. È altrettanto difficile: intraprende un viaggio verso la Germania sulle tracce dei protagonisti della sceneggiatura, ma in realtà cerca Mario Barcellona, che da decenni è emigrato. Si trova davanti un uomo vecchio dalla memoria ormai molto fragile, quasi polverizzata, inattendibile. Questo viaggio e il confronto con il nonno fanno deflagrare le poche certezze che Ernesto ha sul proprio lavoro: comincia perfino a chiedersi se abbia senso, raccontare quella storia d’amore lontana. In una lettera di Arendt al suo maestro Heidegger, aveva letto questa frase: «Mi presento a te con l’antico senso di sicurezza e l’antica richiesta: non dimenticarmi».
Così Martino Gozzi, con Mille volte mi ha portato sulle spalle, ha scritto un romanzo sul rapporto fra memoria e oblio, che non è mai assoluto questo Ernesto è costretto a verificare, anche con dolore ma sempre «relativo» alla nostra capacità di dimenticare, all’ostinazione di non dimenticare; all’oblio dei singoli e delle collettività, che cancella o imprevedibilmente salva; alla memoria, alla somma dei ricordi nostri e del mondo, sempre così malcerta, fragile, esposta al nostro stesso tradirla. Con tono lieve, il trentenne Gozzi si confronta con temi radicali del Novecento: lo fa da dopo, da un presente (privato e pubblico) grigio e smorto, in cui il passato sembra la cosa più viva, perfino la più vitale.

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