Molti pensano che le cose del mondo siano governate dalla Fortuna e da
Dio e che gli uomini non possano correggerle con le proprie facoltà, e
perciò non vi è rimedio alcuno ad esse. L'Autore è solo in parte propenso a
questo giudizio. Esistendo anche il libero arbitrio
dell’uomo, la Fortuna secondo lui è arbitra della metà delle
nostre azioni, mentre l’altra metà la lascia a noi, alla nostra virtù. La
Fortuna è come uno di quei fiumi sempre in piena che alluvionano le
campagne modificando l’orografia del terreno. Anche se è un fenomeno
potente, tuttavia gli uomini in tempo quieto possono prendere
provvedimenti con ripari ed argini, in modo che, quando si verifichi la
piena, l’acqua venga incanalata e non procuri gravi danni. Così è
la Fortuna e volge il suo impeto dove la virtù non è preposta a
resisterle. Considerando l’Italia la regina delle alluvioni si vedrà che
è del tutto priva di argini e canali, ben diversamente da Germania,
Francia e Spagna. Si vede un giorno un Principe avere successo e il
giorno dopo rovinare senza aver mutato la sua condotta. Questo nasce
dalle ragioni già esposte, e cioè un Principe tutto appoggiato sulla
sorte rovina come quella cambia. È felice chi si accorda coi tempi, è
infelice chi non lo fa. Gli uomini pervengono al fine che è loro innanzi
variamente. Perché si vede che due persone agendo diversamente l’una
dall’altra pervengono al medesimo fine, e due, facendo le stesse cose,
vedono l’uno arrivare e l’altro no? La qual cosa nasce dalla qualità dei
tempi in accordo o no col loro procedere. Ma non si trova un uomo così
prudente da sapersi accomodare alla sorte, sia perché non può deviare
dalla strada indicatagli dalla natura sua, sia perché essendo stato
sempre fortunato nella sua via, non si può persuadere di cambiarla di
punto in bianco; e perciò rovina. L'Autore pensa che sia meglio essere
impetuosi che rispettosi, perché la fortuna è donna ed è necessario per
tenerla a bada batterla ed urtarla. E come la donna la fortuna è
usualmente amica dei giovani, perché sono meno rispettosi e più
aggressivi.
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Il Principe
capitolo XXV
Quanto possa nelle umane cose la fortuna, e in che modo se gli possa ostare.
Non mi è incognito, come molti hanno avuto e hanno opinione, che le
cose del mondo siano in modo governate dalla fortuna, e da Dio, che gli
uomini con la prudenza loro non possino correggerle, anzi non vi abbino
rimedio alcuno; e per questo potrebbono giudicare che non fusse da
insudare molto nelle cose, ma lasciarsi governare dalla sorte. Questa
opinione è suta più creduta ne’ nostri tempi per la variazione delle
cose grandi che si sono viste, e veggonsi ogni dì fuori di ogni umana
coniettura. A che pensando io qualche volta, sono in qualche parte
inchinato nella opinione loro. Nondimanco, perchè il nostro libero
arbitrio non sia spento, giudico potere esser vero, che la fortuna sia
arbitra della metà delle azioni nostre, ma che ancora ella ne lasci
governare l’altra metà, o poco meno, a noi. Ed assomiglio quella ad
fiume rovinoso, che quando ei si adira, allaga i piani, rovina gli
arbori e gli edifici, lieva da questa parte terreno, ponendolo a
quell’altra; ciascuno gli fugge davanti, ognuno cede al suo furore,
senza potervi ostare; e benchè sia così fatto, non resta però che gli
uomini, quando sono tempi quieti, non vi possino fare provvedimenti e
con ripari, e con argini, immodochè crescendo poi, o egli andrebbe per
un canale, o l’impeto suo non sarebbe sì licenzioso, nè sì dannoso.
Similmente
interviene della fortuna, la quale dimostra la sua potenzia dove non è
ordinata virtù a resistere, e quivi volta i suoi impeti, dove la sa che
non sono fatti gli argini, nè i ripari a tenerla. E se voi considererete
l’Italia, che è la sede di queste variazioni, e quella che ha dato loro
il moto, vedrete essere una campagna senza argini, e senza alcun
riparo. Che se la fusse riparata da conveniente virtù, come è la Magna,
la Spagna, e la Francia, questa inondazione non avrebbe fatto le
variazioni grandi che l’ha, o la non ci sarebbe venuta. E questo voglio
basti aver detto quanto all’opporsi alla fortuna in universale. Ma
restringendomi più al particulare, dico, come si vede oggi questo
Principe felicitare, e domani rovinare, senza vederli aver mutato natura
o qualità alcuna. Il che credo nasca prima dalle cagioni che si sono
lungamente per lo addietro trascorse; cioè, che quel Principe che si
appoggia tutto in sulla fortuna, rovina come quella varia. Credo ancora,
che sia felice quello, il modo del cui procedere suo si riscontra con
la qualità de’ tempi, e similmente sia infelice quello, dal cui
procedere si discordano i tempi. Perchè si vede gli uomini nelle cose
che gl’inducono al fine, quale ciascuno ha innanzi, cioè gloria e
ricchezze, procedervi variamente, l’uno con rispetti, l’altro con
impeto; l’uno per violenza, l’altro per arte; l’uno con pazienza,
l’altro col suo contrario; e ciascuno con questi diversi modi vi può
pervenire. E vedesi ancora duoi respettivi, l’uno pervenire al suo
disegno, l’altro no; e similmente duoi equalmente felicitare con due
diversi studi, essendo l’uno respettivo, l’altro impetuoso; il che non
nasce da altro, se non da qualità di tempi che si conformino o no col
procedere loro. Di
qui nasce quello ho detto che duoi, diversamente operando, sortiscano
il medesimo effetto; e duoi equalmente operando, l’uno si conduce al suo
fine, l’altro no. Da questo ancora dipende la variazione del bene;
perchè se a uno, che si governa con rispetto e pazienza, i tempi e le
cose girano in modo che il governo suo sia buono, esso viene
felicitando; ma se li tempi e le cose si mutano, egli rovina, perchè non
muta modo di procedere. Nè si trova uomo sì prudente, che si sappi
accordare a questo, sì perchè non si può deviare da quello, a che la
natura l’inclina; sì ancora perchè avendo sempre uno prosperato
camminando per una via, non si può persuadere, che sia bene partirsi da
quella; e però l’uomo rispettivo, quando gli è tempo di venire
all’impeto non lo sa fare; donde egli rovina; che se si mutasse natura
con li tempi e con le cose, non si muterebbe fortuna. Papa Iulio II
procedette in ogni sua cosa impetuosamente, e trovò tanto i tempi e le
cose conformi a quel suo modo di procedere, che sempre sortì felice
fine. Considerate la prima impresa che fece di Bologna, vivendo ancora
Messer Giovanni Bentivogli. I Viniziani non se ne contentavano, il Re di
Spagna similmente con Francia aveva ragionamento di tale impresa; e lui
nondimanco con la sua ferocità ed impeto si mosse personalmente a
quella espedizione, la qual mossa fece star sospesi e fermi e Spagna, e i
Viniziani; quelli per paura, quell’altro per il desiderio di ricuperare
tutto il Regno di Napoli; e dall’altra parte si tirò dietro il Re di
Francia, perchè vedutolo quel Re mosso, e desiderando farselo amico per
abbassare i Viniziani, giudicò non poterli negare le sue genti senza
ingiuriarlo manifestamente.
Condusse
adunque Iulio con la sua mossa impetuosa quello che mai altro Pontefice
con tutta l’umana prudenza non avria condutto; perchè se egli aspettava
di partirsi da Roma con le conclusione ferme, e tutte le cose ordinate,
come qualunque altro Pontefice arebbe fatto, mai non gli riusciva.
Perchè il Re di Francia avria trovate mille scuse, e gli altri gli
arebbero messo mille paure. Io voglio lasciare stare le altre sue
azioni, che tutte sono state simili, e tutte gli sono successe bene, e
la brevità della vita non gli ha lasciato sentire il contrario; perchè
se fussero sopravvenuti tempi che fosse bisognato procedere con
rispetti, ne seguiva la sua rovina; perchè mai non arebbe deviato da
quelli modi, a’ quali la natura lo inchinava. Conchiudo adunque, che,
variando la fortuna, e gli uomini stando nei loro modi ostinati, sono
felici mentre concordano insieme, e come discordano sono infelici. Io
giudico ben questo, che sia meglio essere impetuoso, che rispettivo,
perchè la Fortuna è donna; ed è necessario, volendola tener sotto,
batterla, ed urtarla; e si vede che la si lascia più vincere da questi
che da quelli che freddamente procedono. E però sempre, come donna, è
amica de’ giovani, perchè sono meno rispettivi, più feroci, e con più
audacia la comandano.
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