Considerazioni sui fatti di Pontelandolfo e Casalduni
Nuovo Monitore Napoletano, 23 marzo 2014
I
fatti di Pontelandolfo e Casalduni avvenuti nell’agosto del 1861 sono
fra i più noti della lotta al brigantaggio e sono stati sovente
sfruttati da certi propagandisti e pubblicisti con intenti politici di
critica all’Unità d’Italia. Come
insegnava fra gli altri il grande Max Weber, le scienze umane devono
escludere ogni considerazione ideologica, estetica, etica ecc.,
limitandosi a fornire un’analisi obiettiva dell’oggetto esaminato. Il
sottoscritto pertanto non si prefigge d’esprimere qui un giudizio morale
o politico sugli accadimenti suddetti, ma solo e più modestamente di
provare a riportarne una sintesi con meri fini divulgativi, essendo già
stati trattati esaurientemente da alcuni studiosi.
Si
può premettere che queste vicende, contrariamente a ciò che sostengono
taluni, non sono per nulla rimaste “nascoste” ossia “occultate”. Al
contrario, dei fatti di Pontelandolfo e Casalduni parlarono già nel
secolo XIX studi sul brigantaggio, come ad esempio quello celebre di
Marc Monnier, nostalgici del regno borbonico quale Giacinto De Sivo,
memorie autobiografiche, articoli di giornale d’ogni tendenza ecc. L’onorevole
Giuseppe Ferrari ne discusse in Parlamento, nella seduta alla Camera
del 2 dicembre 1861, dopo aver visitato personalmente Pontelandolfo il 1
novembre dello stesso anno.
Praticamente
in contemporanea a questi accadimenti e negli anni immediatamente
posteriori, mentre la lotta al brigantaggio continuava, questi fatti
erano conosciuti, liberamente divulgati, discussi in prospettive
differenti. Naturalmente, anche la storiografia scientifica del
Novecento li ha affrontati. Ad esempio, lo storico Franco Molfese li riferisce nella sua opera Storia del brigantaggio dopo l’Unità,
pubblicata a Milano nel 1964 e che viene ritenuta tutt’ora, per
quantità delle fonti esaminate e per bravura e capacità nel comporre un
quadro complessivo ed equilibrato, il miglior saggio mai scritto sulla
repressione del fenomeno brigantesco dopo il 1860. È
sufficiente conoscere le fonti primarie ottocentesche, oppure la
storiografica accademica novecentesca, per sapere che di quel che
accadde in questi due paesi del Beneventano si è sempre scritto
pubblicamente e liberamente. Non
ci si trova dinanzi ad un evento tenuto segreto ed infine smascherato
in anni recenti, ma di un avvenimento conosciuto e studiato praticamente
dal momento in cui si compì fino ad oggi. Ciò premesso, si può passare
ora a fornire una rapida sintesi delle vicende.
Il
7 agosto del 1861 un gruppo di briganti, aventi per capobanda Cosimo
Giordano, fece irruzione a Pontelandolfo, approfittando
dell’allontanamento di volontari della Guardia nazionale.Secondo
alcune fonti, sarebbero stati invitati dall’arciprete Epifanio De
Gregorio e da un gruppo di canonici. In ogni caso, dopo il loro ingresso
in paese si diedero al saccheggio, incendiarono abitazioni e pubblici
registri e devastarono uffici ed edifici dell’amministrazione.Furono
bruciati gli archivi comunali e la biblioteca e venne gravemente
danneggiata la grande collezione d’arte del giudice Giosuè De Agostini,
ospitata nel suo palazzo signorile. Fu assalita la corriera postale e
vennero derubati i suoi passeggeri. Si ebbero anche diversi assassini
d’abitanti. Fra
la cittadinanza, parte simpatizzò con i briganti, parte fuggì o fu
vittima delle violenze, parte ancora rimase neutrale ovvero non ebbe
alcun ruolo attivo.
Le
autorità, avvisate dell’accaduto ma ignare delle dimensioni della banda
brigantesca e dell’appoggio datole da parte della popolazione, decisero
d’inviare un reparto di militari in perlustrazione.L’11
agosto 1861 giunse così a Pontelandolfo il luogotenente Luigi Augusto
Bracci alla testa di 40 bersaglieri del 36° reggimento, con il rinforzo
di 4 carabinieri. Entrati in paese senza aver compiuto alcun gesto
ostile, anzi inalberando una bandiera bianca in segno di pace e cercando
solo d’acquistare viveri, furono assaliti dai briganti e da alcuni
cittadini. I
soldati, dinanzi ad un numero soverchiante di nemici, ripiegarono prima
all’interno d’una torre medievale (il simbolo di Pontelandolfo, ultimo
resto d’un castello del Trecento), poi cercarono scampo in direzione di
Casalduni.
Durante
tale ritirata finirono però in un’imboscata e, serrati da ogni
direzione da forze preponderanti, s’arresero. Cinque erano caduti in
combattimento, un sesto era stato ucciso in precedenza, due erano
riusciti provvisoriamente a nascondersi. Nonostante
avessero alzato bandiera bianca, i militari superstiti vennero tutti
trucidati, tranne un sergente che venne risparmiato perché aveva
promesso che non avrebbe più combattuto contro Francesco II. Il
tenente Bracci fu torturato per circa otto ore, prima di venire ucciso a
colpi di pietra. La testa gli fu tagliata e venne infilzata su d’una
croce, posta nella chiesa di Pontelandolfo. Una sorte analoga toccò a
tutto il suo reparto, i cui soldati finirono uccisi a colpi di scure, di
mazza, dilaniati dagli zoccoli di cavalli ecc.
Sei
militari, già gravemente feriti, furono massacrati a colpi di mazza. Un
cocchiere si segnalò per il suo comportamento, facendo passare e
ripassare dei cavalli al galoppo sopra i corpi dei soldati, alcuni
moribondi, altri solo feriti ma impossibilitati a muoversi perché
legati.
Fu
allora inviato un altro reparto militare, questa volta di ben maggiore
forza, comandato dal tenente colonnello Pier Eleonoro Negri e costituito
da 400 bersaglieri. Quando
entrarono a Pontelandolfo, il 14 agosto del 1861, questi soldati, che
già sapevano della strage dei propri commilitoni arresisi, videro che i
loro stessi corpi erano stati smembrati ed appesi dai briganti come
trofei in diverse parti della località, con il capo mozzo del tenente
Bracci che era stato conficcato su d’una croce, come si è detto sopra.
A
questo punto iniziò la rappresaglia, che coinvolse certamente persone
innocenti e vide l’incendio d’entrambi i paesi, Pontelandolfo e
Casalduni.
Rimangono
da precisare le dimensioni della rappresaglia, con il numero delle
vittime e gli stessi danni materiali. Questo deve essere fatto sulla
base di ciò che è possibile provare dalle fonti, altrimenti cessa
d’essere storia e diventa romanzo ovvero pseudostoria. Esistono
analitici studi di storia locale, dedicati proprio a queste tragiche
vicende, che forniscono una stima precisa delle perdite di vite umane.
Si può ricordare anzitutto il saggio Storia dei fatti di Pontelandolfo,
scritto dal Gr. Uff. dottor Ferdinando Melchiorre Pulzella, (a cui è
stata concessa la cittadinanza onoraria proprio da questo comune per i
suoi meriti scientifici), che valuta le vittime fra i civili in numero
di quindici, precisamente tredici a Pontelandolfo e due a Casalduni. Una cifra quasi equivalente è proposta da un altro ricercatore storico, Davide Fernando Panella, autore del saggio L'incendio di Pontelandolfo e Casalduni: 14 agosto 1861. Questo
studio si è basato su documenti parzialmente o totalmente inediti ed in
più esaminando le fonti già in precedenza conosciute e la bibliografia
sul tema, in modo da avere un quadro complessivo il più completo
possibile attuato anche con il confronto delle diverse fonti fra loro. Panella
ha analizzato i libri dei morti degli archivi parrocchiali di questi
due paesi ed una memoria scritta dal parroco di Fragneto Monforte:
tutti questi documenti furono redatti da sacerdoti che furono testimoni
oculari dell’accaduto e sono stati scritti con grande precisione e cura
dei dettagli. Panella
riporta nel suo studio l’elenco dei morti dovuti alla rappresaglia,
mostrando come il Registro dei defunti della parrocchia Santissimo
Salvatoredi Pontelandolfo li enumeri ad uno ad uno, indicandone nome,
cognome, genitori, età, causa della morte (ucciso in casa, ucciso per
strada, morto per le fiamme ecc.). Questo
ricercatore può così fornire un quadro esatto delle vittime immediate
della rappresaglia, riportandone tutte le generalità anagrafiche, il
luogo di sepoltura e naturalmente il numero totale: i morti del 14
agosto furono 13, di cui 10 vennero intenzionalmente uccisi, mentre 3
morirono bruciati. Costoro erano persone anziane, che presumibilmente
non erano riuscite a sfuggire alle fiamme. Fra questi 13 morti, 11 erano
uomini e 2 donne, rispettivamente di 94 e 18 anni. Non risultano
adolescenti o bambini fra le vittime. Panella
poi confronta il totale di decessi avvenuto a Pontelandolfo nell’intero
1861 (furono 291) con quelli del 1860 (furono 142) e del 1862 (furono
171). L’ipotesi di questo ricercatore è che l’aumento della mortalità
sia stato condizionato dall’incendio delle case e dalle sue conseguenze
indirette, tanto che nei mesi d’agosto e di settembre del 1861 dopo la
rappresaglia si registrò una insolita crescita della frequenza dei
trapassi. Egli però constata che, anche attribuendo all’incendio ed ai
suoi effetti a posteriori questi decessi, si resterebbe comunque ben lontani dalle cifre che alcuni hanno ipotizzato. Il Panella difatti conta dal 15 agosto al 15 settembre (quindi dopo la
rappresaglia) un totale di 74 morti, che sono per lo più deceduti nelle
proprie case e per il resto in abitazioni di campagna, comunque non a
causa d’atti di violenza. Il
totale di vittime della rappresaglia a Pontelandolfo, quale può essere
calcolato con precisione sulla base del minuziosissimo archivio
parrocchiale, redatto da testimoni oculari, è pertanto di tredici persone. A
questi, secondo l’ipotesi di Panella, si potrebbero aggiungere altri
decessi ancora, che si ebbero nel mese d’agosto e di settembre e che potrebbero (tale è il parere di questo studioso, ma non è possibile provarlo con certezza) essere stati dovuti in parte
alle conseguenze dell’incendio. Questo ricercatore può quindi
concludere osservando che il totale di vittime risulta senz’altro di
molto inferiore alle stime che erano state precedentemente proposte,
facendo notare che i testi che presentavano questo episodio parlavano in
maniera generica d’un numero ritenuto elevato di morti, ma senza fornire un computo preciso ed appunto in modo vago ed approssimativo. Panella ha anche il merito di provare l’imprecisione con cui sovente si è scritto
sui fatti di Pontelandolfo e Casalduni. Ad esempio, egli ricorda che
quando si parla dell’incendio di Casalduni si riferisce frequentemente
che il vecchio arciprete Giovanni Corbo sarebbe stato ucciso a fucilate
dai bersaglieri. Consultando
il libro dei morti di questa parrocchia Panella ha invece scoperto che
questo anziano sacerdote non morì il giorno dell’incendio, tanto che
questo ecclesiastico stesso iniziò a redigere personalmente pochi giorni
più tardi, il 18 agosto 1861, un altro registro dei decessi, nel quale
menzionava anche la rappresaglia. Don Giovanni Corbo mori nella
primavera dell’anno successivo, il 27 marzo 1862, nell’abitazione in cui
allora risiedeva e dopo aver ricevuto i sacramenti. Un altro caso è stato riferito da questo studioso durante un convegno dedicato al tema Il brigantaggio nell’Alto Tammaro, svoltosi con presenza di molti studiosi e ricercatori. Panella
ha citato due testi, il primo d’un giornalista che in anni recenti ha
scritto anche su Pontelandolfo e Casalduni, il secondo tratto
dall’archivio parrocchiale. Questo giornalista, Pino Aprile nel suo Terroni,
ha affermato che una donna di Pontelandolfo, di nome Maria Izzo, per la
sua bellezza sarebbe stata appetita dai bersaglieri, cosicché fu legata
ad un albero nuda per essere violentata, prima d’essere uccisa con una
baionetta nella pancia. L’archivio parrocchiale, redatto da testimoni
oculari, riporta invece che Maria Izzo aveva 94 anni (novantaquattro
anni) e che morì arsa nell’incendio della propria abitazione.
Appare
evidente da questi due semplici esempi come una certa letteratura abbia
offerto un quadro inesatto dei fatti di Pontelandolfo e Casalduni,
giacché discorda in modo netto da quanto viene riportato e provato dalle
fonti archivistiche: un arciprete morto serenamente molti mesi più
tardi è stato presentato come ucciso dai bersaglieri durante la
rappresaglia; una quasi centenaria di 94 anni perita nell’incendio della
propria abitazione è stata spacciata per una donna bellissima
violentata ed uccisa con una baionettata dai soldati.
È
possibile ora trarre alcune conclusioni da questa breve sintesi. Gli
eventi dell’agosto del 1861 a Pontelandolfo e Casalduni sono stati
conosciuti e studiati in pratica dal momento in cui avvennero sino ai
giorni nostri: non ci si trova dinanzi ad un fatto storico ignoto,
segreto o tenuto celato.
La
dinamica degli accadimenti è certa: dapprima vi fu un’irruzione di
briganti, con saccheggi, incendi ed assassini; poi il massacro d’un
reparto di militari caduto prigioniero; infine la rappresaglia dei
bersaglieri, con uccisioni ed incendi.
Per ciò che concerne appunto questa rappresaglia, il totale di vittime accertate per Pontelandolfo è di tredici,
cifra su cui concordano sia il Pulzella, sia il Panella. È probabile
che vi siano stati anche altri decessi in conseguenza dell’azione dei
militari, principalmente a causa dell’incendio. Non
è però possibile dimostrare ovvero sapere quanti fra i decessi indicati
nel registro dei defunti nel mese successivo ai fatti fossero dovuti a
cause naturali e quanti al fuoco. In ogni caso, il totale potenziale
rimane inferiore al centinaio. I due paesi non furono interamente
distrutti dalle fiamme, poiché gli abitanti, in gran parte allontanatisi
al momento dell’arrivo dei soldati, una volta ritornati provvidero a
spegnere i fuochi. Alcune
case certamente bruciarono, ma altre rimasero solo danneggiate. Si
continuò a vivere ed ad abitare a Pontelandolfo e Casalduni anche dopo
la rappresaglia, tanto che le fonti utilizzate dal Panella segnalano la
continuità della presenza abitativa in entrambe le città.
La
descrizione che taluni hanno proposto d’una distruzione intera delle
due città e dello sterminio degli abitanti è quindi certamente erronea:
la rappresaglia è avvenuta, ma con dimensioni di gran lunga inferiori
rispetto a quelle ipotizzate senza prove da una certa pubblicistica
antirisorgimentale. Il
totale delle vittime si può calcolare al massimo nell’ordine delle
decine, sicuramente non delle centinaia o migliaia, mentre i danni
inferti all’abitato non furono uniformi e non impedirono che molti
cittadini continuassero ad abitare in questi due paesi sin da subito.
Non si dimentichi poi che i briganti si comportarono esattamente allo
stesso modo quando fecero irruzione, uccidendo alcuni cittadini e dando
fuoco ad edifici. È
altrettanto sbagliato inoltre tentare d’interpretare questi accadimenti
come un contrasto fra un esercito “straniero” ed una popolazione
insorta contro di esso. I reparti militari coinvolti appartenevano
all’esercito italiano, che comprendeva membri d’ogni parte d’Italia:
Cialdini era di Modena, Pier Eleonoro Negri era di Vicenza, Carlo
Melegari di Genova, Luigi Augusto Bracci di Livorno ecc. Inoltre i
cittadini locali erano divisi fra i fautori del nuovo stato ed i
nostalgici del vecchio, tanto che prima i briganti, poi i soldati
esercitarono le loro vendette sugli abitanti.
Ciò
che avvenne nel 1861 a Pontelandolfo ed a Casalduni deve pertanto
essere considerato un cruento episodio di guerra civile, in cui una
popolazione, che era a favore in parte dell’Italia, in parte del sovrano
borbonico, si trovò presa in mezzo ai due contendenti armati, subendo
alternativamente le violenze d’entrambi.
Gli
eccidi furono tre, del 7, 11 e 14 agosto, e videro come vittime
rispettivamente cittadini fedeli allo stato italiano, i bersaglieri e
carabinieri fatti prigionieri, infine i civili caduti nella
rappresaglia. Nel totale di morti accertati la netta maggioranza, circa
dei 2/3, è costituita dai militari trucidati dopo la resa.
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