Maurizio Blondet
Il Risorgimento visto da un nobile irlandese: le ombre del governo sabaudo
Avvenire, 6 agosto 2000
A proposito del brigantaggio
del Sud, stroncato in anni spietati dal Regno d’Italia, O’Clery * riporta
voci di dibattiti parlamentari a Torino. Il deputato Ferrari, liberale,
che nel novembre 1862 grida in aula: "Potete chiamarli briganti, ma
combattono sotto la loro bandiera nazionale; potete chiamarli briganti,
ma i padri di quei briganti hanno riportato due volte i Borboni sul
trono di Napoli. E’ possibile, come il governo vuol far credere, che
1500 uomini comandati da due o tre vagabondi tengano testa a un esercito
regolare di 120 mila uomini? Ho visto una città di 5 mila abitanti
completamente distrutta e non dai briganti" (Ferrari allude a
Pontelandolfo, paese raso al suolo dal regio esercito il 13 agosto
1861). O’Clery riferisce i dubbi di Massimo D’Azeglio (non certo un
reazionario) che nel 1861 si domanda come mai "al sud del Tronto" sono
necessari "sessanta battaglioni e sembra non bastino": "Deve esserci
stato qualche errore; e bisogna cangiare atti e principii e sapere dai
Napoletani, una volta per tutte, se ci vogliono o no… agli Italiani che,
rimanendo italiani, non volessero unirsi a noi, credo non abbiamo
diritto di dare delle archibugiate". ** Persino Nino Bixio, autore
dell’eccidio di Bronte, nel ‘63 proclamò in Parlamento: "Un sistema di
sangue è stato stabilito nel Mezzogiorno. C’è l’Italia là, signori, e se
volete che l’Italia si compia, bisogna farla con la giustizia, e non
con l’effusione di sangue". O’Clery non manca di registrare giudizi
internazionali sulla repressione. Disraeli, alla Camera dei Comuni, nel
1863: "Desidero sapere in base a quale principio discutiamo sulle
condizioni della Polonia e non ci è permesso discutere su quelle del
Meridione italiano. E’ vero che in un Paese gl’insorti sono chiamati
briganti e nell’altro patrioti, ma non ho appreso in questo dibattito
alcun’altra differenza tra i due movimenti".
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* Patrick
K. O'Clery, La rivoluzione italiana. Come fu fatta l'unità della
nazione, Ares Milano 2001, ISBN: 8881551942, ISBN-13: 9788881551941, 788 pp.
Patrick Keyes O’Clery, irlandese, aveva 18 anni
quando nel 1867 si arruolò tra gli Zuavi per difendere il Papa:
partecipò alla battaglia di Mentana dall’altra parte, ossia contro i
garibaldini. A 21 anni, nel 1870, è nel selvaggio West americano a
caccia di bisonti. Ma, appreso che l’esercito italiano si prepara a
invadere lo Stato Pontificio, torna a precipizio: il 17 settembre ‘70 è a
Roma di nuovo. E’ filtrato tra le linee italiane con due compagni, un
nobile inglese e un certo Tracy, futuro deputato del Congresso Usa. In
tempo per partecipare, contro i Bersaglieri, ai fatti di Porta Pia. Tornato
in Inghilterra ed eletto parlamentare, si batterà per l’autonomia
dell’lrlanda. Nel 1880 abbandona la politica per dedicarsi
all’avvocatura. Morirà nel 1913, avendo lasciato due volumi sulla storia
dell’unificazione italiana. L’opera, che le edizioni Ares di Milano
manderanno in libreria alla fine di agosto (Patrick K. O’Clery, La Rivoluzione Italiana. Come fu fatta l’unità della nazione,
780 pagine, 48 mila lire), sarà presentata al prossimo Meeting di
Rimini giovedì 24 agosto. Opera stupefacente degna del suo avventuroso
autore, dovrebbe essere letta nelle scuole italiane: e non solo come
esempio di revisionismo storico precoce e antidoto alla mitologia del
Risorgimento. Vedere l’Italia con l’occhio di uno straniero di cultura
anglosassone - allora il centro culturale e politico del mondo -
risulterà salutare.
** La citazione completa è questa:
La questione del tenere Napoli o non tenerlo, mi pare
che dovrebbe dipendere più
di tutto dai Napoletani , salvo che vogliamo, per comodo di circostanze,
cambiare quei principii che abbiamo sin qui proclamati. Sinora siamo andati
avanti dicendo che i Governi non consentiti dai popoli erano illegittimi: e con
questa massima, che credo e crederò sempre vera, abbiamo mandato a far benedire
parecchi Sovrani italiani; ed i loro sudditi, non avendo protestato in nessun modo, si erano
mostrati contenti del nostro operato, e da questo si è potuto scorgere che ai
governi di prima non davano il loro consenso, mentre a quello succeduto lo
danno. Così i nostri atti sono stati consentanei al nostro principio, e nessuno
ci può trovare da ridire. A Napoli, noi abbiamo altresì cacciato il sovrano per stabilire un
governo fondato sul consenso universale. Ma ci vogliono e sembra che ciò non
basti, per contenere il Regno, sessanta battaglioni; ed è notorio che, briganti
o non briganti, tutti non ne vogliono sapere. Ma si dirà: e il suffragio universale? Io
non so nulla di suffragio, ma so che al di qua del Tronto non sono necessari
battaglioni e che al di là sono necessari. Dunque vi fu qualche errore e
bisogna cangiare atti e principi. Bisogna sapere dai Napoletani un'altra volta
per tutto se ci vogliono, sì o no. Capisco che gli italiani hanno il diritto di
fare la guerra a coloro che volessero mantenere i tedeschi in Italia, ma agli
italiani che, restando italiani, non volessero unirsi a noi, credo che non abbiamo
il diritto di dare archibugiate... perché contrari all'Unità, salvo si concedesse ora, per tagliare corto,
che noi adottiamo il principio nel cui nome Bomba bombardava
Palermo, Messina ecc. ecc. Credo bene che in generale non si pensa in questo modo,
ma siccome io non intendo rinunciare al diritto di ragionare, dico ciò che
penso.
Lettera di Massimo d'Azeglio a Carlo Matteucci, 25 luglio 1861
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