Alessandro Trevisani
Torna Ken Parker, l'icona operaia del fumetto italiano
Linkiesta, 3 ottobre 2013
Duri a morire, i fumetti. Nonostante la crisi della
stampa, i nuovi linguaggi, internet, ebook, Playstation e bambini che a
due anni “vanno via” di touch che è una bellezza. Disegni e balloons,
teoricamente, non muoiono mai. Basta poco per farli, anche se è
un’immensa, lenta fatica. E ci vuole ancora meno perché i personaggi che
non c’erano più riprendano vita, magari dopo anni di assenza. Basta un
pennino, in fondo, e la magia ricomincia. Quello che pubblichiamo è il
primo disegno di Ken Parker dopo 15 anni di silenzio: lo firma Ivo
Milazzo, che con lo sceneggiatore Giancarlo Berardi (noto anche per aver
creato la detective Julia) ha deciso di riportare in scena lo scout (ma
è stato anche cacciatore, cowboy e mille altre cose) che nel 1977 ha
cambiato la storia del fumetto italiano da edicola. A partire da una
storia inedita di dodici pagine, che verrà presentata a Lucca Comics and
Games il prossimo 31 ottobre.
Omosessualità, lotta di classe, violenza di genere, ecologia: Ken Parker, che ha il volto di Robert Redford in Corvo rosso non avrai il mio scalpo,
è, nello spirito sessantottesco dei suoi creatori, compagni di classe
alle magistrali 50 anni fa, l’antitesi del pistolero tutto azione e
niente pensieri. Coltiva il dubbio, la curiosità, il rispetto per chi è
diverso. Sposa un’indiana e ne adotta il figlio, si sposta dall’Ovest
all’Est, è di volta in volta con la legge contro la giustizia e con la
giustizia contro la legge. E poi, da subito, mescola temi “alti” e
citazioni letterarie e cinematografiche, in un intreccio agile di testi e
disegni. Via le didascalie “texose” che dicono “Intanto” o “Nel
frattempo...”: la tavola di Milazzo è come una macchina da presa, i
personaggi sono attori, e il montaggio non ha bisogno di preamboli né di
presentazioni. Tutta roba che ritroviamo di lì a un pugno d’anni in Dylan Dog, Magico Vento, Nick Raider, Nathan Never: la nidiata Bonelli degli anni ’80-’90, un incrocio prezioso tra fumetto d’autore e narrazione seriale.
Ken Parker va quindi in edicola per 59 numeri, fino al 1984, quando chiude per questioni di vendite e di gestione. “Resuscita” una prima volta in formato rivista, la Ken Parker Magazine, nel 1992. Poi torna con quattro speciali: l’ultimo è Faccia di rame,
e data gennaio 1998, e oggi torna a farsi vivo in un portfolio con
tanto di custodia. La storia, colori, chine e acquerello, è già un
picolo totem, tirato in mille copie da un piccolo editore romano, Spazio Corto Maltese, e si intitola Canto di Natale:
12 pagine più l’illustrazione di copertina, dove lo scout ha i tratti
più marcati del solito, l’aria stanca, invecchiata, mentre sorseggia una
tazza di caffè fumante, all’adiaccio. Lo abbiamo lasciato nel 1998, in
carcere per un delitto controverso: ha ucciso un poliziotto che stava
sparando a una bambina, nel bel mezzo della repressione di uno sciopero,
nella Boston di fine Ottocento. È stato quindi “buono” Ken, poi
perseguitato nel nome della legge. Ma prima ancora è stato “cattivo”, si
è infiltrato tra gli operai di una fabbrica per conto di un’agenzia
investigativa al soldo di padroni senza scrupoli, ha fatto la spia ai
compagni di lavoro più sindacalizzati, quelli che leggono Marx e si
battono per uno stipendio un po’ più che da fame. Insomma, alla fine la
realtà di Ken è come la nostra: tanti grigi, tanta confusione, tanto
difficile. Forse per questo ce n’era ancora bisogno? Lo chiediamo al suo
disegnatore, Ivo Milazzo.
L’INTERVISTA
Milazzo, torna Ken Parker. Emozioni?
Tante. Lui per me è come un figlio.
Vi somigliate così tanto?
Ma sì, lui ha la mia postura, le mie espressioni. Alla fine, per queste cose, ridisegno me stesso, la mia gestualità.
Il vostro personaggio nasce in tempi drammatici
(contestazione, terrorismo, austerity) e racconta tempi ancora più
drammatici, tra guerre indiane e lotta di classe. Ma oggi, in
quest’epoca farsesca dentro e fuori il Parlamento, il lirismo e
l’impegno di Ken Parker non sono merce un po’ sprecata?
Gli italiani, in generale, fanno fatica a imparare dai loro errori. Ma
ce ne sono ancora tanti interessati ai temi, alle emozioni che si
rintracciano in Ken Parker. E noi, magari senza riferirci in modo
esasperato all’attualità, questi temi continueremo a trattarli.
A Lucca portate 13 tavole in edizione deluxe. E poi? Si torna in edicola?
Ai lettori l’ho sempre detto: finché siamo vivi noi autori Ken lo
vedrete di nuovo in giro, in edicola o in libreria. E queste 12 pagine,
quest’occasione lucchese è l’aperitivo di un pasto che ci auguriamo
succulento.
State trattando il ritorno in grande stile con un importante editore, giusto?
Non dico nulla fino a cose fatte. In questi 15 anni a volte Ken pareva
dovesse tornare, poi non se ne faceva nulla, perché non ci arrivavano le
proposte giuste. Così abbiamo preferito aspettare.
Ci racconta il pomeriggio o la serata in cui è nato Ken Parker?
Oddio, è passato troppo tempo, non me la ricordo! Posso dire che doveva
essere una sola puntata (nella Collana Rodeo, ndr), poi a Bonelli
piacque così tanto che ci propose di creare una serie. Accettammo con
tutta la nostra incoscienza, con le nostre doti e soprattutto la voglia
di raccontare storie.
Da 27 anni vediamo Ken Parker perseguitato per aver ucciso un
poliziotto che stava sparando a una bimba. Per quanto tempo ancora lo
vedremo braccato come Jean Valjean?
Francamente non so rispondere, e neppure voglio, o vi toglierei tutto il
gusto. Diciamo che il gioco, adesso, è portarlo fuori da una situazione
che non si merita.
Lei è stato un maestro di stile e di tecnica per molti fumettisti: ma i suoi maestri chi sono stati?
Tanti. Mi piace lo stile espressionista, il contrasto tra luci e ombre. Faccio un nome per tutti: Milton Caniff.
Perché Ken Parker piace al pubblico?
Piace a una fetta del pubblico. Il nostro più che altro è stato un
successo di critica: Ken non ha mai avuto picchi di vendita clamorosi,
se togliamo l’allegato uscito con La Repubblica dieci anni fa. Il suo
segreto, se vogliamo, è quello di essere un personaggio “diverso”. E poi
c’è un grande equilibrio narrativo tra chi scrive e chi disegna.
Che ne pensa della graphic novel?
Direi che è un termine di moda per definire i fumetti. Ma è anche
un’espressione che ha dato una mano a quest’arte: gli ha permesso di
entrare in libreria, ha allargato la base di possibilità dei fumettisti.
Il sodalizio con Berardi nasce oltre 50 anni fa: come sono cambiati i vostri rapporti?
Dopo il 1998 ci siamo sentiti qualche volta. Insomma, non ci eravamo più
frequentati come prima. Ma oggi la storia può continuare da dove si è
interrotta.
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