Emanuele Macaluso
l'Unità 30 settembre 2013
L’AVVENTUROSA
INIZIATIVA BERLUSCONIANA CHE HA MESSO IN CRISI IL GOVERNO E COLPITO
INTERESSI VITALI DEL PAESE, ha un risvolto su cui riflettere: lo
sconcerto tra le forze produttive, lo sbandamento dell’area politica del
centro-destra e anche lo smascheramento di quei gruppi di «sinistra»
(Grillo e il Fatto) che avevano bollato l’opera del presidente della
Repubblica come copertura e sostegno alle magagne del Cavaliere.
C’è
da aggiungere che anche nel centro-sinistra, dopo tanti giuochi tra le
correnti-non correnti, è scoccata l’ora della verità. Anzitutto
un’osservazione che dà un senso preciso alle cose cui ho accennato:
tutti i giornali, anche il Fatto, hanno qualificato l’iniziativa
berlusconiana come una pugnalata al Paese. Il che significa che il
governo Letta, con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni, nella
realtà italiana esprime una verità: uno stato di necessità dovuto alla
drammatica situazione economica e sociale, alla nostra precaria
collocazione in Europa e alla impossibilità di tornare a votare con una
legge elettorale infame e sotto giudizio della Corte Costituzionale.
Questa verità non può essere cancellata dall’ira del Cavaliere e dei
suoi scudieri che non vogliono prendere atto di una sentenza
irrevocabile, di una sconfitta che non è solo giudiziaria, ma politica
perché ha messo in forte evidenza che un certo modo di fare politica ha
toccato il fondo.
Nei prossimi giorni vedremo come si svilupperà
il dibattito parlamentare e quali processi politici si apriranno anche
nei gruppi parlamentari che hanno sostenuto o avversato il governo
Letta. Un’attenzione particolare deve essere data all’«area moderata»,
dove forze sociali (non solo la Confindustria), gruppi cattolici e laici
che avevano apprezzato l'impegno del Pdl in un governo di emergenza con
il Pd e Scelta Civica, non sono disposti a subire passivamente
l’avventurismo berlusconiano. E anche nel gruppo parlamentare del Pdl le
critiche di Cicchitto e la decisione degli onorevoli Quagliariello e
Lorenzin di dimettersi da ministri ma non di aderire a Forza Italia
rivela più che disagio una determinazione politica di non accettare un
regime di partito che ignora le regole più elementari della democrazia e
della collegialità. Un partito in cui c’è un «segretario» che non ha
partecipato né alla demenziale decisione di fare dimettere tutti i
parlamentari (pezzi di carta inutili in mano a Schifani e Brunetta), né a
quella di mettere in crisi il governo.
Il tema di oggi è, a mio
avviso, chiaro. Dal momento in cui formalmente si apre la crisi il Capo
dello Stato, seguendo la Costituzione e la prassi, dovrà verificare se
nel Parlamento c’è una maggioranza in grado di esprimere un governo. Ma
per questa possibilità occorre lavorare con iniziative politiche o
bisogna rassegnarsi ad accettare quel che vorrebbe Berlusconi? La
questione riguarda soprattutto il Pd, dove non mancano gruppi che, per
motivi correntizi, privilegiano le elezioni: una parola chiara e
iniziative limpide sono necessarie per capire dove si vuole andare a
parare. In ogni caso si tenga ben presente il fatto che il presidente
della Repubblica ha più volte detto che è assurdo tornare a votare dopo
pochi mesi e ancora più assurdo farlo con una legge che tutte le forze
politiche - almeno a parole - dicono di non volere e che il 3 dicembre
subirà un giudizio della Corte Costituzionale.
Su questo nodo è
bene che i dirigenti di tutte le forze politiche rileggano
l’applauditissimo discorso di Napolitano pronunciato alle Camere dopo la
sua rielezione, per capire che non ci sono spazi: con questa legge non
si voterà. Il Paese nella situazione di oggi ha bisogno di un governo
che intanto faccia l’essenziale in tutti i campi, soprattutto in quello
economico-sociale e anche per cambiare la legge elettorale. Solo dopo
questa fase si potrà valutare il futuro, non solo del governo ma della
politica italiana.
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