Recensione di Federico Magi, Lankelot, 27 marzo 2012
I said to my soul, be still, and let the dark come upon you. Which shall be the darkness of God. T.S. Elliot, East Coker
“Ora è il più
freddo degli inverni, quando si può piangere di sadica crudeltà
allontanandosi sempre di più dalla giustizia comunicativa”(p.72)
Che il governo
Monti sia un’anomalia credo sia lampante anche agli occhi dei suoi più
strenui sostenitori, non fosse altro per il modo in cui si è insediato
che definire inusuale risulta certo un eufemismo. Però Monti serviva,
serviva eccome, ci è stato detto da più parti: filosofi, scrittori,
giornalisti più o meno illuminati e opinionisti di varia specie e natura
hanno accolto Monti come il “salvatore dell’Italia”. E lui si è calato
nella parte come un novello Batman, non c’è che dire. L’ordine nuovo ha
fatto sì che, in una nuova gerarchia, prima venga Monti e poi la
politica, i partiti. È stata un’urgenza, una necessità. Una medicina
amara da buttar giù tutta d’un fiato per tornare a stare bene. E la
politica come l’ha presa? La politica è attualmente prona e statica,
prende fiato per reinventarsi o quanto meno riproporsi agli elettori,
tra un annetto abbondante, sperando di essersi rifatta il trucco dopo
anni di immobilismo e di connivenza con quei poteri (finanza, grandi
banche) ai quali da tempo ha dovuto abdicare. Ma davvero Mario Monti era
l’unica medicina possibile, per l’Italia? A questa domanda, facendo un
po’ di storia recente, risponde con argomenti taglienti e uno sguardo
lucido da economista che indaga profondamente i processi
storico-politici, il professore ordinario di Storia economica
all’università degli Studi di Milano, nonché editorialista del Corriere della Sera, Giulio Sapelli. Nel suo L’inverno di Monti,
edito da Guerini e Associati, ci dice che l’inamidato professore
bocconiano non solo non è la cura, ma è un passo ulteriore verso un
baratro che vede l’Italia e l’Europa in posizione declinante rispetto a
un oriente (Cina e India, ma non soltanto) in costante espansione
economica che fatalmente diventerà l’interlocutore privilegiato della
maggiore potenza occidentale: gli Stati Uniti.
Per spiegarci il
perché di tutto ciò Sapelli analizza un po’ di storia economico-politica
dell’Italia in rapporto all’Europa, e dell’Europa rispetto all’intero
Occidente, toccando rapidamente i punti chiave a supporto della sua
visione di fondo. Prima di tutto, la specificità dell’Italia rispetto
all’egemonia tedesco-europea, la sua eterogeneità, l’intreccio tra
nazione e internalizzazione operante sin dalla nascita come stato: “Un
intreccio che non è mai stato culturalmente condiviso e che si è
rivelato predatorio sul piano del capitale fisso e intellettuale
dall’Italia secolarmente accumulato”. Intreccio che diventa vizioso
nella seconda metà del Novecento, evidenziato da alcuni fatti che,
secondo Sapelli, vanno tutti nella stessa direzione come “la rapina
della divisione elettronica dell’Olivetti da parte della Fiat e
Mediobanca, l’assassinio di Mattei, la messa fuori gioco di Ippolito nel
campo nucleare, sino alla recente spoliazione dell’industria nazionale
per mano di privatizzazioni senza liberalizzazioni”. Da questo punto
di vista, ci dice Sapelli, Prodi è stato molto più organico di
Berlusconi rispetto ai poteri che ci tengono in scacco, ma tutte e due
le grandi coalizioni elettorali che si sono succedute in questi ultimi
vent’anni sono risultate inefficaci davanti al potere delle banche e
dell’Europa germanocentrica. Eppure Berlusconi avrebbe potuto fare di
più e meglio, secondo Sapelli, viste le interessanti scelte (il legame
organico con Putin e con gli stati dell’Africa del nord) che rompevano
quest’asse che ci vedeva costretti in un gioco politico-economico di
sostanziale subalternità. Ciò non fu possibile per due motivi
fondamentali: l’eterogeneità del governo di centro-destra e una evidente
mancanza di realismo politico che lo ha portato a sottovalutare l’asse
franco-tedesco pronto a far man bassa dell’Italia in svendita. Ed ecco
che arriviamo al governo Monti, anzi sarebbe meglio dire
Monti-Napolitano, voluto fortemente e ottenuto con abile gioco di mano
dal Presidente della Repubblica proprio in ossequio alla realpolitik
tanto invocata dall’Europa della Merkel e tanto carente nei governi del
Cavaliere. E qui Sapelli ci va giù duro e spiega senza mezze misure
l’inganno Monti e i pericoli che l’operazione ideata da Napolitano porta
con sé: “Tutto è instabile, tutto rischia di rovinarci addosso. E
proprio in questa situazione il Presidente della Repubblica Italiana
pensa di sortire da essa con una sorta di imitazione delle dittature
romane. La prassi con cui si è proceduto alla nomina di Mario Monti
prima senatore a vita, poi Primo Ministro, ricorda l’essenza del
processo di nomina del dictator romano”.
Monti, per Sapelli, è la quintessenza della morte dell’ideologia, perché egli non è altro che ”l’esponente
del blocco poliarchico italico organicamente europeo: grandi banche,
grandi scuole internazionali di business, grandi società di consulenza”.
È il garante di quell’establishment che al contrario dovremmo
combattere per rialzare la testa e riaffermare la capacità di
autodeterminarci sia economicamente che politicamente, in Italia come in
Europa. Tra l’altro Monti rappresenta anche il potere oggi in crisi
Italia: “le grandi banche e i loro legami col mondo produttivo, universitario, in definitiva sociale”.
L’unico reale antidoto possibile, secondo Sapelli, contro il declino
dell’Italia, ma in una più ampia analisi di tutto il Vecchio continente,
è il ritorno alla politica, perché il diffuso populismo e la deflazione
europea e mondiale ci dicono che il rischio di nuove dittature è
tutt’altro che scongiurato. In Italia, ad esempio, la conseguenza di
questo rifiuto della soluzione politica di cui si sono resi responsabili
i principali partiti, è stata ”non soltanto l’aumento della sofferenza sociale, ma anche l’emergere di una crudeltà istituzionale sino ad oggi inusitata”.
I professori, da questo punto di vista, non solo sono una anomalia che
promuove rimedi basati sull’astrattezza delle tesi, ma hanno la colpa
ancor più grave di “concepire i soggetti umani come cavie e non come persone”.
Senza mezzi termini Sapelli ci dice che quello Monti (Napolitano) non
solo non è il governo che ci salverà dalla crisi, ma è addirittura il
peggior esecutivo possibile immaginabile visto i tempi e le urgenze
politiche, economiche e sociali: ”Questi dictator dimidiati non fanno che aumentare la sofferenza, che diventa disperazione”.
Sapelli conclude dicendo la sua sui possibili rimedi, peraltro non così
impraticabili come qualcuno vorrebbe ancora farci credere: “Si
riformino le banche, si esproprino i patrimoni delle Fondazioni Bancarie
per trovare i denari per rifondare lo stato imprenditore e si riprenda
la via dell’economia mista senza cedere al ricatto che così facendo si
sprofonderà nella corruzione”. L’inverno di Monti è
un’opera breve ma incisiva, consigliabile a chiunque si interessi di
queste materie e a chiunque voglia guardare all’attualità politica senza
schemi precostituiti e fuori dalla retorica e dalla subalternità al
potere con cui è descritta dai media.
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