Quanto conta la bellezza per il successo? E, soprattutto, è un'arma assoluta, o agisce più spesso in sintonia con altri fattori, compresa l'intelligenza? Cleopatra non ha cambiato il mondo, eppure ha avuto successo in gran parte della sua vita, è stata sconfitta solo alla fine per cause indipendenti dalla sua volontà, è stata quindi sfortunata, e non era stupida, tutt'altro. E non era neppure una escort qualsiasi. Pare fosse attraente, più che bella. Certo ha usato delle sue arti seduttive. Da qui anche la leggenda della sua bellezza. Insomma aveva qualcosa che andava oltre l'apparenza immediata, e questo a mio parere vale anche per gli uomini dotati di fascino.
lunedì 31 dicembre 2012
Levi Montalcini e Cleopatra
Quanto conta la bellezza per il successo? E, soprattutto, è un'arma assoluta, o agisce più spesso in sintonia con altri fattori, compresa l'intelligenza? Cleopatra non ha cambiato il mondo, eppure ha avuto successo in gran parte della sua vita, è stata sconfitta solo alla fine per cause indipendenti dalla sua volontà, è stata quindi sfortunata, e non era stupida, tutt'altro. E non era neppure una escort qualsiasi. Pare fosse attraente, più che bella. Certo ha usato delle sue arti seduttive. Da qui anche la leggenda della sua bellezza. Insomma aveva qualcosa che andava oltre l'apparenza immediata, e questo a mio parere vale anche per gli uomini dotati di fascino.
domenica 30 dicembre 2012
Elogio di Maurizio Lupi
Che dire? Abbiamo qui un esempio, non tanto frequente in Italia, di resistenza all'autorità. Anche nel Movimento 5 stelle ci sono stati fenomeni simili. Grande Maurizio Lupi: luterano nel metodo, diabolico per di più nella sua perseveranza. .
Giovanni Carpinelli
venerdì 28 dicembre 2012
Il cimitero del mare a Lampedusa
Quella del cimitero delle acque di Lampedusa è una Storia ancora tutta da scrivere. La gente non pensa che occorra sparare ai barconi, certo che no. Ma, a parte qualche sporadico eroico gesto eclatante di solidarietà (tuffarsi in mare per salvare vite umane giunte stremate in prossimità della costa) , "la gente" (non solo come popolazione locale, intendo come opinione pubblica in generale) ha tollerato e taciuto. Si sapeva, si è sempre saputo dei respingimenti, delle tante piccole imbarcazioni speronate, dei tanti SOS disperati ignorati, dei rimpalli fra Lampedusa e Malta in attesa che ci pensasse il Mare ad accogliere quei disperati lontani dalle coste e dagli occhi di tutti. I pescatori che tiravano su reti colme di sardine, tonni e resti umani ne sapevano qualcosa e certo è che, rincasando alla sera, a qualcuno lo si raccontava.
AB
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Non basta allargare il cimitero
Lampedusa parla all'Europa se non all'Occidente
Giusi Nicolini
SONO IL NUOVO SINDACO DELLE ISOLE DI LAMPEDUSA E DI LINOSA. Eletta a maggio 2012, al 3 di novembre mi sono stati consegnati già 21 cadaveri di persone annegate mentre tentavano di raggiungere Lampedusa, e questa per me è una cosa insopportabile. Per Lampedusa è un enorme fardello di dolore. Proprio in questi giorni abbiamo dovuto chiedere aiuto attraverso la Prefettura ai sindaci della Provincia per poter dare una dignitosa sepoltura alle ultime 11 salme, perché il Comune non aveva più loculi disponibili. Ne faremo altri, ma rivolgo a tutti una domanda: quanto deve essere grande il cimitero della mia isola?
Non riesco a comprendere come una simile tragedia possa essere considerata normale, come si possa rimuovere dalla vita quotidiana l’idea, per esempio, che 11 persone, tra cui 8 giovanissime donne e due ragazzini di 11 e 13 anni, possano morire tutti insieme, come sabato scorso, durante un viaggio che avrebbe dovuto essere per loro l’inizio di una nuova vita. Ne sono stati salvati 76 ma erano in 115 e il numero dei morti è sempre di gran lunga superiore al numero dei corpi che il mare restituisce.
Sono indignata dall’assuefazione che sembra avere contagiato tutti, sono scandalizzata dal silenzio dell’Europa che ha appena ricevuto il Nobel per la pace e che tace di fronte ad una strage che ha i numeri di una vera e propria guerra. Sono sempre più convinta che la politica europea sull’immigrazione consideri questo tributo di vite umane un modo per calmierare i flussi, se non un deterrente. Ma se per queste persone il viaggio sui barconi è tuttora l’unica possibilità di sperare, io credo che la loro morte in mare debba essere per l’Europa motivo di vergogna e disonore. In tutta questa tristissima pagina di storia che stiamo tutti scrivendo, l’unico motivo di orgoglio ce lo offrono quotidianamente gli uomini dello Stato italiano che salvano vite umane a 140 miglia da Lampedusa, mentre chi era a sole 30 miglia dai naufraghi, come è successo sabato scorso, e avrebbe dovuto accorrere con le velocissime motovedette che il nostro precedente governo ha regalato a Gheddafi, ha invece ignorato la loro richiesta di aiuto. Quelle motovedette vengono però efficacemente utilizzate per sequestrare i nostri pescherecci, anche quando pescano al di fuori delle acque territoriali libiche.
Tutti devono sapere che è Lampedusa, con i suoi abitanti, con le forze preposte al soccorso e all’accoglienza, che dà dignità di esseri umani a queste persone, che dà dignità al nostro Paese e all’Europa intera. Allora, se questi morti sono soltanto nostri, allora io voglio ricevere i telegrammi di condoglianze dopo ogni annegato che mi viene consegnato. Come se avesse la pelle bianca, come se fosse un figlio nostro annegato durante una vacanza.
l’Unità 27.12.12
La denuncia
Non so più dove seppellire i migranti morti in mare
di Giusi Nicolini
Sindaca di Lampedusa
L'estate in giallo da Bruegel a van Gogh
martedì 25 dicembre 2012
Barbusse, la femme et la guerre
Giovanni Carpinelli
chapitre V, L'asile
...
Au premier tournant, à peine entendons-nous un crissement léger de pas, et nous nous trouvons face à face avec Eudoxie !
Lamuse pousse une exclamation sourde. Peut-être s’imagine-t-il, encore une fois, qu’elle le cherchait, croit-il à quelque don du destin… Il va à elle, de toute sa masse.
Elle le regarde, s’arrête, encadrée par de l’aubépine. Sa figure étrangement maigre et pâle s’inquiète, ses paupières battent sur ses yeux magnifiques. Elle est nu-tête ; son corsage de toile est échancré sur le cou, à l’aurore de sa chair. Si proche, elle est vraiment tentante dans le soleil, cette femme couronnée d’or. La blancheur lunaire de sa peau appelle et étonne le regard. Ses yeux scintillent ; ses dents, aussi, étincellent dans la vive blessure de sa bouche entrouverte, rouge comme le cœur.
– Dites-moi… J’vais vous dire… halète Lamuse. Vous me plaisez tant…
Il avance le bras vers la précieuse passante immobile.
Elle a un haut-le-corps, et lui répond :
– Laissez-moi tranquille, vous me dégoûtez !
Chapitre XVI, Idylle
...On lui offre du vin. Il refuse d’un signe. Puis il se tourne vers moi, un geste de sa tête m’appelle. Quand je suis près de lui, il me souffle, tout bas, comme dans une église :
– J’ai revu Eudoxie.
Il cherche sa respiration ; sa poitrine siffle et il reprend, les prunelles fixées sur un cauchemar :
– Elle était pourrie.
– C’était l’endroit qu’on avait perdu, poursuit Lamuse, et que les coloniaux ont r’pris à la fourchette y a dix jours.
» On a d’abord creusé le trou pour la sape. J’en mettais. Comme j’foutais plus d’ouvrage que les autres, j’m’ai vu en avant. Les autres élargissaient et consolidaient derrière. Mais voilà que j’trouve des fouillis d’poutres : j’avais tombé dans une ancienne tranchée comblée, videmment. À d’mi comblée : y avait du vide et d’la place. Au milieu des bouts de bois tout enchevêtrés et qu’j’ôtais un à un de d’vant moi, y avait quéqu’ chose comme un grand sac de terre en hauteur, tout droit, avec quéqu’ chose dessus qui pendait.
» Voilà une poutrelle qui cède, et c’drôle de sac qui m’tombe et me pèse dessus. J’étais coincé et une odeur de macchabée qui m’entre dans la gorge… En haut de c’paquet, il y avait une tête et c’étaient les cheveux que j’avais vus qui pendaient.
» Tu comprends, on n’y voyait pas beaucoup clair. Mais j’ai r’connu les cheveux qu’y en a pas d’autres comme ça sur la terre, puis le reste de figure, toute crevée et moisie, le cou en pâte, le tout mort depuis un mois, p’t’être. C’était Eudoxie, j’te dis.
» Oui, c’était c’te femme que j’ai jamais su approcher avant, tu sais – que j’voyais d’loin, sans pouvoir jamais y toucher, comme des diamants. Elle courait, tout partout, tu sais. Elle bagotait dans les lignes. Un jour, elle a du r’cevoir une balle, et rester là morte et perdue, jusqu’au hasard de c’te sape.
» Tu saisis la position. J’étais obligé de la soutenir d’un bras comme je pouvais, et de travailler de l’autre. Elle essayait d’me tomber d’ssus de tout son poids. Mon vieux, elle voulait m’embrasser, je n’voulais pas, c’étai’ affreux. Elle avait l’air de m’dire : « Tu voulais m’embrasser, eh bien, viens, viens donc ! » Elle avait sur le… elle avait là, attaché, un reste de bouquet de fleurs, qu’était pourri aussi, et, à mon nez, c’bouquet fouettait comme le cadavre d’une petite bête.
» Il a fallu la prendre dans mes bras, et tous les deux, tourner doucement pour la faire tomber de l’autre côté. C’était si étroit, si pressé, qu’en tournant, à un moment, j’l’ai serrée contre ma poitrine sans le vouloir, de toute ma force, mon vieux, comme je l’aurais serrée autrefois, si elle avait voulu…
» J’ai été une demi-heure à me nettoyer de son toucher et de c’t’odeur qu’elle me soufflait malgré moi et malgré elle. Ah ! heureusement que j’suis esquinté comme une pauv’ bête de somme. »
Il se retourne sur le ventre, ferme ses poings et s’endort, la face enfoncée dans la terre, en son espèce de rêve d’amour et de pourriture.
sabato 22 dicembre 2012
Cosa succede nella scuola italiana?
Odissea, incipit, traduzioni a confronto
Enzio Cetrangolo (1990)
Parla, Musa, tu dell'eroe scaltro a me: di lui
che andò tanto vagando poi che di Troia la rocca
sacra abbatté; di molti uomini vide le terre e conobbe
la mente; e molto l'animo suo patì sul mare
per tenere se stesso e i compagni vivi al ritorno.
Ma vano fu di salvare i compagni il desiderio
pur grande: ne fece rovina la propria follia;
insensati che i buoi del Sole Iperione mangiarono,
e quello il giorno negò a loro del ritorno.
Tu di queste avventure da un punto qualsiasi movendo,
racconta, o figlia di Zeus, anche a me qualche cosa.
Rosa Calzecchi Onesti (1963)
L'uomo ricco di astuzie raccontami, o Musa, che a lungo
errò dopo ch'ebbe distrutto la rocca sacra di Troia;
di molti uomini le città vide e conobbe la mente,
molti dolori patì in cuore sul mare,
lottando per la sua vita e pel ritorno dei suoi.
Ma non li salvò, benché tanto volesse,
per loro propria follìa si perdettero, pazzi!,
che mangiarono i bovi del Sole Iperione,
e il Sole distrusse il giorno del loro ritorno.
Anche a noi di' qualcosa di queste avventure, o dea, figlia di Zeus.
Giuseppe Aurelio Privitera (1981)
Narrami, o Musa, dell'eroe multiforme, che tanto
vagò, dopo che distrusse la rocca sacra di Troia:
di molti uomini vide le città e conobbe i pensieri,
molti dolori patì sul mare nell'animo suo,
per acquistare a sé la vita e il ritorno ai compagni.
Ma i compagni neanche così li salvò, pur volendo:
con la loro empietà si perdettero,
stolti, che mangiarono i buoi del Sole
Iperione: ad essi egli tolse il dì del ritorno.
Racconta qualcosa anche a noi, o dea figlia di Zeus.
Emilio Villa (1964)
Era un grand’uomo, straordinario giramondo:
espugnata la sacra rocca di Troia, era andato
pellegrino, ramingo, correndo palmo a palmo
il mare: scoprì città, conobbe l’indole di genti
e nazioni. Ora, o Musica dea, ora ispirami
su costui, sulle inaudite sofferenze ch’egli,
solo con il suo coraggio, ebbe ad affrontare
per porre in salvo la propria vita, e proteggere
la via del ritorno ai suoi seguaci! perché
questo appunto egli fortemente voleva: ma
tuttavia non riuscì a portarli in salvo. Essi
perirono; ma vittime delle loro folli sacrileghe
azioni: insensati! vollero mangiare i manzi
sacri al Sole Iperione, e così avvenne che il Sole
sottrasse dal novero dei giorni proprio il giorno
del loro ritorno. Ebbene, tali eventi evoca
o dea, figlia di Zeus, evoca anche per noi
e dando inizio da qualunque momento vuoi.
Philippe Jaccottet (1955)
Ô Muse, conte-moi l’aventure
de l’Inventif:
celui qui pilla Troie,
qui pendant des années erra,
voyant beaucoup de villes, découvrant
beaucoup d’usages,
souffrant beaucoup d’angoisses dans son
âme
sur la mer
pour défendre sa vie et le retour de ses marins
sans pouvoir en sauver un seul, quoiqu’il en eût;
par leur propre fureur ils furent perdus en effet,
ces enfants qui touchèrent aux troupeaux du dieu d'En Haut,
le Soleil qui leur prit le bonheur du retour...
À nous aussi, Fille de Zeus, conte un peu ces exploits!
Ippolito Pindemonte (1822)
Musa, quell'uom di multiforme ingegno
dimmi, che molto errò, poich'ebbe a terra
gittate d'Ilïòn le sacre torri;
che città vide molte, e delle genti
l'indol conobbe; che sovr'esso il mare
molti dentro del cor sofferse affanni,
mentre a guardar la cara vita intende,
e i suoi compagni a ricondur: ma indarno
ricondur desïava i suoi compagni,
ché delle colpe lor tutti perîro.
Stolti! che osâro vïolare i sacri
al Sole Iperïon candidi buoi
con empio dente, ed irritâro il nume,
che del ritorno il dì lor non addusse.
Deh, parte almen di sí ammirande cose
narra anco a noi, di Giove figlia e diva.
Originale
πλάγχθη, ἐπεὶ Τροίης ἱερὸν πτολίεθρον ἔπερσε·
πολλῶν δ' ἀνθρώπων ἴδεν ἄστεα καὶ νόον ἔγνω,
πολλὰ δ' ὅ γ' ἐν πόντῳ πάθεν ἄλγεα ὃν κατὰ θυμόν,
ἀρνύμενος ἥν τε ψυχὴν καὶ νόστον ἑταίρων.
ἀλλ' οὐδ' ὧς ἑτάρους ἐρρύσατο, ἱέμενός περ·
αὐτῶν γὰρ σφετέρῃσιν ἀτασθαλίῃσιν ὄλοντο,
νήπιοι, οἳ κατὰ βοῦς Ὑπερίονος Ἠελίοιο
ἤσθιον· αὐτὰρ ὁ τοῖσιν ἀφείλετο νόστιμον ἦμαρ.
τῶν ἁμόθεν γε, θεά, θύγατερ Διός, εἰπὲ καὶ ἡμῖν.
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Eppure noi non torniamo mai a casa. Noi, lo sappiamo, andiamo altrove,
a perderci, morendo, nel mondo delle ombre che Ulisse ha visitato: a
divenire "soffi" e "aliti" fra i tanti "sogni" di esseri umani che ci
hanno preceduto. Sì a casa ci attendono forse, se saremo pazienti,
saggi, astuti, e aiutati dagli dei, Penelope, Telemaco, Laerte,
Euriclea e tanti altri. Ma là, nell'Ade, c'è già nostra madre,
Anticlea, che invano cerchiamo di riabbracciare. E verso quella notte
s'avvia - mentre noi, distogliendo lo sguardo, ci asciughiamo una
lacrima - il cane Argo: che pure, dopo vent'anni, ha rivisto e
riconosciuto Ulisse.
L'"Odissea" ce lo ricorda, questo vuoto che mancherà sempre alla
nostra compiutezza. Ma offre al nostro sognare di essa un'immagine
così tangibilmente perfetta, così vicina alla nostra esperienza di
uomini, da fermare all'estremo limite la lunga notte come fa Atena con
l'alba che sta per irrompere sul pianto, sull'amore e sul sonno di
Ulisse e Penelope: "trattenne sull'Oceano Aurora, / non lasciando che
i rapidi cavalli, / messaggeri del giorno, ella aggiogasse: / Lampo e
Fetonte, i fulgidi puledri / che portano la dea sul trono d'oro".
Piero Boitani, L'Indice, n. 10, 1994
venerdì 21 dicembre 2012
Belfagor, la forza di un titolo
Ecco un titolo impegnativo. Proprio in questa fine dell'anno 2012 chiude i battenti la rivista Belfagor, fondata da Luigi Russo e Adolfo Omodeo. E certo non può un blog come questo innalzarsi a livelli tanto alti. La parola tuttavia ha una forza che non si è consunta. Rimanda all'idea di un diavolo che si schiera su posizioni antagonistiche alle Chiese e al conformismo da esse alimentato.
Non esiste più oggi la potenza delle ideologie che con le loro vaste ramificazioni dominarono il panorama intellettuale dell'Italia negli anni successivi alla seconda Guerra Mondiale. Per certi aspetti, ora, il nemico da combattere è più simile all'indifferenza e al relativismo diffusi tra un pubblico amorfo che non al fanatismo dei credenti o dei militanti. Per altri versi non c'è stato tanto il tramonto dell'ideologia, quanto il suo trionfo sotto le spoglie del pensiero unico neoliberale; e non parliamo dei fanatismi identitari in vario modo serpeggianti in Italia e fuori. Insomma il campo degli interventi necessari per il pensiero critico e l'eresia è sempre vasto. Il riferimento a un'insegna come quella di Belfagor mantiene un senso. Anche nelle sue premesse di ordine politico, una collocazione interna al quadro della sinistra, capace di guardare allora al comunismo e al Partito d'Azione. Per non dire delle propensioni culturali, implicite nell'essere la novella Belfagor l'opera letteraria di uno storico e studioso della politica.
Giovanni Carpinelli
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Quanto al titolo di questa rivista, lo abbiamo assunto per antica dimestichezza con l’opera del Machiavelli. Già nel 1939 si fu lì lì per varare una rivista con lo stesso titolo con un editore torinese, ma gli avvenimenti della guerra ce ne distolsero. Allora ci piaceva, per una certa aria ereticale che da esso spirava in mezzo a tanto dilagante conformismo; ma ci piace ancora oggi perché il conformismo, quasi costituzionale dell’anima italiana per atavica educazione che risale per lo meno a una proverbiale e molto proverbiata pedagogia tanto in onore nel nostro lontano Seicento, oggi si è travestito, e rinasce sotto nuove forme. Però l’Italia, anche nel campo degli studi, ha sempre bisogno di «eretici». La malattia del conformismo si è ripercossa, come dicono i medici, ma la tabe, frastornata e non radicalmente guarita, è per ora soltanto appiattita nel nostro organismo; ma c’è, viget, e dà, di tanto in tanto, i suoi sussulti e produce malessere e capogiri.
Luigi Russo, Belfagor, Proemio, settembre 1945