lunedì 31 dicembre 2012

Levi Montalcini e Cleopatra

 Le donne che hanno cambiato il mondo, non hanno mai avuto bisogno di "mostrare" nulla, se non la loro intelligenza. (Rita Levi Montalcini)

Quanto conta la bellezza per il successo? E, soprattutto, è un'arma assoluta, o agisce più spesso in sintonia con altri fattori, compresa l'intelligenza? Cleopatra non ha cambiato il mondo, eppure ha avuto successo in gran parte della sua vita, è stata sconfitta solo alla fine per cause indipendenti dalla sua volontà, è stata quindi sfortunata, e non era stupida, tutt'altro. E non era neppure una escort qualsiasi. Pare fosse attraente, più che bella. Certo ha usato delle sue arti seduttive. Da qui anche la leggenda della sua bellezza. Insomma aveva qualcosa che andava oltre l'apparenza immediata, e questo a mio parere vale anche per gli uomini dotati di fascino.

domenica 30 dicembre 2012

Elogio di Maurizio Lupi

Questa non me la sarei aspettata e non me l'aspettavo infatti. Avevo parlato del soldatino Mario Mauro che segue obbediente le indicazioni della Chiesa. Avrei trovato normale che Maurizio Lupi, anche lui di Comunione e liberazione, facesse la stessa cosa. E invece no, sorpresa, lui rimane con Berlusconi. Se avesse scelto Belzebù, sarebbe stato peggio, intendiamoci, ma è sempre un modo per dannarsi l'anima, secondo me. Ciò detto, onore al merito. Maurizio Lupi avrà le sue ragioni, non tutte alte, e però nel metodo si distingue e fa meglio di Mario Mauro. Disobbedisce alla Chiesa. Gli obietta il bravo Michele Brambilla della Stampa: "Altri ciellini, come Mario Mauro, la pensano diversamente...". E Lupi risponde: "Anche qui: Cl ci ha educati alla libertà e alla responsabilità personale, sarebbe riduttivo pensare che la sua esperienza debba ricondurre tutti a un partito. Cl è un movimento di educazione alla fede, smettiamo di strumentalizzarlo piegandolo per legittimare scelte che attengono alla nostra responsabilità personale. Io personalmente non voterei mai non voterei mai la fiducia a un governo Vendola-Bersani-Camusso".
Che dire? Abbiam
o qui un esempio, non tanto frequente in Italia, di resistenza all'autorità. Anche nel Movimento 5 stelle ci sono stati fenomeni simili. Grande Maurizio Lupi: luterano nel metodo, diabolico per di più nella sua perseveranza. .

Giovanni Carpinelli

venerdì 28 dicembre 2012

Il cimitero del mare a Lampedusa

La nostra zona grigia

Quella del cimitero delle acque di Lampedusa è una Storia ancora tutta da scrivere. La gente non pensa che occorra sparare ai barconi, certo che no. Ma, a parte qualche sporadico eroico gesto eclatante di solidarietà (tuffarsi in mare per salvare vite umane giunte stremate in prossimità della costa) , "la gente" (non solo come popolazione locale, intendo come opinione pubblica in generale) ha tollerato e taciuto. Si sapeva, si è sempre saputo dei respingimenti, delle tante piccole imbarcazioni speronate, dei tanti SOS disperati ignorati, dei rimpalli fra Lampedusa e Malta in attesa che ci pensasse il Mare ad accogliere quei disperati lontani dalle coste e dagli occhi di tutti. I pescatori che tiravano su reti colme di sardine, tonni e resti umani ne sapevano qualcosa e certo è che, rincasando alla sera, a qualcuno lo si raccontava.

AB
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Non basta allargare il cimitero
Lampedusa parla all'Europa se non all'Occidente
Giusi Nicolini


SONO IL NUOVO SINDACO DELLE ISOLE DI LAMPEDUSA E DI LINOSA. Eletta a maggio 2012, al 3 di novembre mi sono stati consegnati già 21 cadaveri di persone annegate mentre tentavano di raggiungere Lampedusa, e questa per me è una cosa insopportabile. Per Lampedusa è un enorme fardello di dolore. Proprio in questi giorni abbiamo dovuto chiedere aiuto attraverso la Prefettura ai sindaci della Provincia per poter dare una dignitosa sepoltura alle ultime 11 salme, perché il Comune non aveva più loculi disponibili. Ne faremo altri, ma rivolgo a tutti una domanda: quanto deve essere grande il cimitero della mia isola?
Non riesco a comprendere come una simile tragedia possa essere considerata normale, come si possa rimuovere dalla vita quotidiana l’idea, per esempio, che 11 persone, tra cui 8 giovanissime donne e due ragazzini di 11 e 13 anni, possano morire tutti insieme, come sabato scorso, durante un viaggio che avrebbe dovuto essere per loro l’inizio di una nuova vita. Ne sono stati salvati 76 ma erano in 115 e il numero dei morti è sempre di gran lunga superiore al numero dei corpi che il mare restituisce.
Sono indignata dall’assuefazione che sembra avere contagiato tutti, sono scandalizzata dal silenzio dell’Europa che ha appena ricevuto il Nobel per la pace e che tace di fronte ad una strage che ha i numeri di una vera e propria guerra. Sono sempre più convinta che la politica europea sull’immigrazione consideri questo tributo di vite umane un modo per calmierare i flussi, se non un deterrente. Ma se per queste persone il viaggio sui barconi è tuttora l’unica possibilità di sperare, io credo che la loro morte in mare debba essere per l’Europa motivo di vergogna e disonore. In tutta questa tristissima pagina di storia che stiamo tutti scrivendo, l’unico motivo di orgoglio ce lo offrono quotidianamente gli uomini dello Stato italiano che salvano vite umane a 140 miglia da Lampedusa, mentre chi era a sole 30 miglia dai naufraghi, come è successo sabato scorso, e avrebbe dovuto accorrere con le velocissime motovedette che il nostro precedente governo ha regalato a Gheddafi, ha invece ignorato la loro richiesta di aiuto. Quelle motovedette vengono però efficacemente utilizzate per sequestrare i nostri pescherecci, anche quando pescano al di fuori delle acque territoriali libiche.
Tutti devono sapere che è Lampedusa, con i suoi abitanti, con le forze preposte al soccorso e all’accoglienza, che dà dignità di esseri umani a queste persone, che dà dignità al nostro Paese e all’Europa intera. Allora, se questi morti sono soltanto nostri, allora io voglio ricevere i telegrammi di condoglianze dopo ogni annegato che mi viene consegnato. Come se avesse la pelle bianca, come se fosse un figlio nostro annegato durante una vacanza.

l’Unità 27.12.12
La denuncia
Non so più dove seppellire i migranti morti in mare
di Giusi Nicolini
Sindaca di Lampedusa

L'estate in giallo da Bruegel a van Gogh

Bruegel

Van Gogh

Van Gogh

martedì 25 dicembre 2012

Barbusse, la femme et la guerre

 Un jour il faudra revenir sur ces passages du Feu, le grand roman dans lequel Henri Barbusse a transposé son expérience de la guerre. Déjà Leo Spitzer avait remarqué l'imagination morbide de l'écrivain, le goût pour les métaphores sanglantes, quand il était question de la femme et de l'amour. Tout cela s'était manifesté bien avant la guerre dans un roman, L'Enfer (1908), qui voulait montrer la vérité de la vie à travers une sorte de dévoilement opéré par le regard d'un voyeur. Par la suite Jean Relinger avait expliqué qu'une certaine misogynie érotique appartenait à l'esprit du temps. Mais quand les mêmes thèmes reviennent dans Le Feu, on ne peut pas parler uniquement d'une obsession qui refait surface, le message produit s'avère plus complexe. Lamuse, l'homme boeuf, désire Eudoxie de tout son être, c'est l'homme dans son animalité emporté par l'image d'une femme lumineuse, qui serait éthérée si elle ne laissait pointer aussi son côté charnel à travers "la vive blessure de sa bouche". Or dans Le Feu Eudoxie est aussi  le mystère de la guerre, exaltation de la vie à proximité de la mort. La femme en tant qu' élément central d'une existence douce et paisible était aussi présente dans L'Enfer. Ce qui est exprimé violemment dans Le Feu est le retournement d'un tel tableau. Quand Lamuse parvient à serrer Eudoxie dans ses bras, elle est réduite à l'état de cadavre.

Giovanni Carpinelli 


chapitre V, L'asile
 ...
Au premier tournant, à peine entendons-nous un crissement léger de pas, et nous nous trouvons face à face avec Eudoxie !
Lamuse pousse une exclamation sourde. Peut-être s’imagine-t-il, encore une fois, qu’elle le cherchait, croit-il à quelque don du destin… Il va à elle, de toute sa masse.
Elle le regarde, s’arrête, encadrée par de l’aubépine. Sa figure étrangement maigre et pâle s’inquiète, ses paupières battent sur ses yeux magnifiques. Elle est nu-tête ; son corsage de toile est échancré sur le cou, à l’aurore de sa chair. Si proche, elle est vraiment tentante dans le soleil, cette femme couronnée d’or. La blancheur lunaire de sa peau appelle et étonne le regard. Ses yeux scintillent ; ses dents, aussi, étincellent dans la vive blessure de sa bouche entrouverte, rouge comme le cœur.
– Dites-moi… J’vais vous dire… halète Lamuse. Vous me plaisez tant…
Il avance le bras vers la précieuse passante immobile.
Elle a un haut-le-corps, et lui répond :
– Laissez-moi tranquille, vous me dégoûtez !


Chapitre XVI, Idylle

 ...On lui offre du vin. Il refuse d’un signe. Puis il se tourne vers moi, un geste de sa tête m’appelle. Quand je suis près de lui, il me souffle, tout bas, comme dans une église :
– J’ai revu Eudoxie.
Il cherche sa respiration ; sa poitrine siffle et il reprend, les prunelles fixées sur un cauchemar :
– Elle était pourrie.

– C’était l’endroit qu’on avait perdu, poursuit Lamuse, et que les coloniaux ont r’pris à la fourchette y a dix jours.
» On a d’abord creusé le trou pour la sape. J’en mettais. Comme j’foutais plus d’ouvrage que les autres, j’m’ai vu en avant. Les autres élargissaient et consolidaient derrière. Mais voilà que j’trouve des fouillis d’poutres : j’avais tombé dans une ancienne tranchée comblée, videmment. À d’mi comblée : y avait du vide et d’la place. Au milieu des bouts de bois tout enchevêtrés et qu’j’ôtais un à un de d’vant moi, y avait quéqu’ chose comme un grand sac de terre en hauteur, tout droit, avec quéqu’ chose dessus qui pendait.
» Voilà une poutrelle qui cède, et c’drôle de sac qui m’tombe et me pèse dessus. J’étais coincé et une odeur de macchabée qui m’entre dans la gorge… En haut de c’paquet, il y avait une tête et c’étaient les cheveux que j’avais vus qui pendaient.
» Tu comprends, on n’y voyait pas beaucoup clair. Mais j’ai r’connu les cheveux qu’y en a pas d’autres comme ça sur la terre, puis le reste de figure, toute crevée et moisie, le cou en pâte, le tout mort depuis un mois, p’t’être. C’était Eudoxie, j’te dis.
» Oui, c’était c’te femme que j’ai jamais su approcher avant, tu sais – que j’voyais d’loin, sans pouvoir jamais y toucher, comme des diamants. Elle courait, tout partout, tu sais. Elle bagotait dans les lignes. Un jour, elle a du r’cevoir une balle, et rester là morte et perdue, jusqu’au hasard de c’te sape.
» Tu saisis la position. J’étais obligé de la soutenir d’un bras comme je pouvais, et de travailler de l’autre. Elle essayait d’me tomber d’ssus de tout son poids. Mon vieux, elle voulait m’embrasser, je n’voulais pas, c’étai’ affreux. Elle avait l’air de m’dire : « Tu voulais m’embrasser, eh bien, viens, viens donc ! » Elle avait sur le… elle avait là, attaché, un reste de bouquet de fleurs, qu’était pourri aussi, et, à mon nez, c’bouquet fouettait comme le cadavre d’une petite bête.
» Il a fallu la prendre dans mes bras, et tous les deux, tourner doucement pour la faire tomber de l’autre côté. C’était si étroit, si pressé, qu’en tournant, à un moment, j’l’ai serrée contre ma poitrine sans le vouloir, de toute ma force, mon vieux, comme je l’aurais serrée autrefois, si elle avait voulu…
» J’ai été une demi-heure à me nettoyer de son toucher et de c’t’odeur qu’elle me soufflait malgré moi et malgré elle. Ah ! heureusement que j’suis esquinté comme une pauv’ bête de somme. »
Il se retourne sur le ventre, ferme ses poings et s’endort, la face enfoncée dans la terre, en son espèce de rêve d’amour et de pourriture.

sabato 22 dicembre 2012

Cosa succede nella scuola italiana?


Mario Monti: “Sono pronto, assieme al ministro Profumo, ad ascoltare le istanze che vengono dal mondo della scuola, a patto che siano costruttive, disinteressate e senza corporativismi”
Pier Luigi Bersani: “Nella prossima legislatura, sulla scuola bisogna fare un discorso quasi costituente”; “Avremo fatto anche noi degli errori, ma prima di Berlinguer mi viene in mente la Gelmini”; “Non ci e' piaciuto veder dare schiaffoni alla scuola”.
Roberto Alesse, presidente dell'Autorità di garanzia sugli scioperi: “Il tasso di conflittualità nel settore della scuola e dell'istruzione è in grande aumento”.

Che la scuola sia da tempo oggetto di provvedimenti (e soprattutto di “ clamorosi annunci”) che sembrano sempre più ispirarsi esclusivamente alla pura logica di riduzione della spesa è ormai dato acquisito, anche se le dichiarazioni rese dall’attuale Ministro Profumo subito dopo il suo insediamento avevano acceso (almeno in chi scrive) qualche positiva aspettativa: “Bisogna convincersi che i soldi dedicati alla scuola non sono ‘spese’ ma ‘investimenti’”. Queste all’incirca le sue parole. E invece?
Un breve florilegio sulla recente e ultima polemica relativa all’orario dei docenti.


A) Il collegio dei docenti del Liceo delle scienze umane di Potenza disdice l'invito presso la Camera dei deputati previsto per il 18/12/2012
I motivi di tale disdetta:
1. Nessun docente è disponibile ad accompagnare gli studenti in una sede istituzionale deputata ad ospitare un organo di alta democrazia e che, invece, oggi non rappresenta né il popolo, né tantomeno il mondo della scuola.
2. Gli insegnanti sono stanchi di essere definiti “Fannulloni”, “ Difensori di interessi corporativi”,“Lavoratori a 18 ore settimanali”. Le ore di insegnamento non esauriscono il lavoro dei docenti! Nessuno quantifica il proprio impegno in termini economici, perché esso prescinde dal valore venale ed è sostenuto solo dalla passione e dal senso civico. Non esistono trasferte, rimborsi spese, buoni pasto per i docenti impegnati in: visite guidate, viaggi di istruzione, corsi di aggiornamento ( autofinanziati) e rientri pomeridiani .
3. In dieci anni di riforme, gli insegnanti sono stati sottoposti a pressioni psicologiche di ogni tipo, si cerca di far ricadere sulla scuola ogni sorta di male sociale a cui i docenti devono dare risposte in tempi sempre più ristretti e limitati. Nonostante il massimo impegno di tanti bravi Dirigenti, anche loro vittime di un sistema di tipo tayloristico, gli insegnanti rimangono l’unica categoria che si deve digitalizzare, ma a spese proprie! Come può il Parlamento varare la digitalizzazione se mancano i computer in ogni classe? Quale dipendente pubblico o privato deve dotarsi a proprie spese del materiale necessario per lo svolgimento del proprio lavoro?
4. La scuola pubblica italiana non riesce ad adeguarsi ai livelli degli altri Paesi europei perché le risorse economiche vengono continuamente depauperate da scelte dirette a potenziare solo “le lobby” politiche, trascurando il bene dell’intero Paese. La decisione di “dissanguare” la scuola pubblica per avvantaggiare quella privata, contravviene al dettato costituzionale che ammette sì l’esistenza di scuole private, ma senza oneri per lo Stato. Le scelte politiche assunte esprimono una volontà “conservatrice” che ha l’obiettivo di preservare un secolare legame tra poteri.
Per questi motivi il Collegio docenti, riunito in data 6 dicembre 2012, declina l’invito ed elabora e condivide il presente documento, il quale sarà trasmesso all’Ufficio competente della Camera e agli organi di stampa. Si precisa, altresì, che i motivi della protesta sono stati condivisi con genitori ed alunni.

B) Ufficio Stampa Anief 02/12/2012- Nella scuola nessun corporativismo, ma una richiesta all’unisono: cambiare il modo di gestire la res publica. Invece di inviare accuse irreali alla scuola, il Governo dei tecnici potrebbe lasciare un segno indelebile destinandogli i soldi delle accise sui carburanti o delle tasse turistiche. Ed in generale, rilanciando l’enorme patrimonio culturale dell’Italia.
Il presidente del Consiglio, Mario Monti, non può continuare a dichiarare pubblicamente che la scuola è protetta dal corporativismo e che è pronto ad “ascoltare le istanze del mondo della scuola a patto che siano fatte in maniera costruttiva e senza strumentalizzazioni”. L’Anief risponde a Monti dicendo che nella scuola non esiste alcun corporativismo, ma una sola voce che chiede un profondo cambiamento nel modo di gestire la res publica, la cosa pubblica.
Secondo il presidente dell’Anief, Marcello Pacifico, l’attuale capo del Governo “non dovrebbe dimenticare che è stato un docente anche lui. E anche per questo, l'essere considerato un esperto, è stato chiamato alla guida del Paese. Il problema è che le riforme da lui proposte hanno avuto il solo merito di essere state approvate con maggiore celerità dal Parlamento, senza alcun compromesso, e tuttavia rimangono ancorate alla vecchia filosofia dei tagli lineari e alla pericolosa deriva autoritaria della compressione di diritti inalienabili. Creati dalle democrazie moderne per tutelare il lavoro, la famiglia e la felicità esistenziale”.
Il sindacato non può rimanere inerme di fronte a questa cronica mancanza di sensibilità. Che da diversi anni sta sfiorando l’autolesionismo: come si può definire, del resto, l’azione degli ultimi Governi, che pur cambiando “pelle” continuano a voler risanare l'amministrazione vendendo i suoi servizi e i suoi preziosi beni immateriali? E soprattutto a licenziare i suoi professionisti dell’insegnamento?
Monti dovrebbe sapere – continua Pacifico - che da Platone in poi ai maestri è stato sempre affidato il compito del cambiamento e del buon governo attraverso l'esercizio della giustizia, che non può che essere in primo luogo sociale. Se veramente tenesse alle sorti dell’Italia, il presidente del Consiglio dovrebbe fare di tutto per aumentare almeno di un punto percentuale di Pil l'investimento sul settore dell'istruzione, dell'università e della ricerca”.
Non è vero che è impossibile raggiungere questo obiettivo prioritario, che allineerebbe l’Italia ai Paesi più avanzati dell’Ue e agli Stati Uniti: per il presidente Pacifico, “basterebbe prelevare i soldi dalle accise sui carburanti o dalle tasse turistiche. E più in generale, adottare un serio piano di riconversione della produzione economica-industriale intorno all’enorme patrimonio culturale dell’Italia. Che va valorizzato e non svenduto”.
Anief è convinta che “il prestigio goduto dal presidente Monti in Europa non può essere speso esclusivamente per tutelare interessi economici consolidati. Ma deve poter esser utile al cambiamento, verso un umanesimo che il mondo ci invidia e che ci ha riconosciuto nel recente nobel per la pace. Non vi è pace senza giustizia, e non vi è una società giusta senza cultura”, conclude Pacifico.

C) Associazione Genitori A.Ge. Toscana 23/11/2012 - Professori a 24 ore settimanali: un'occasione perduta, tanta retorica pelosa e qualche sincero dubbio sulla nostra classe politica, ecco il parere di noi genitori, che forse qualche colpa l'abbiamo, perché avremmo dovuto gridare allo scandalo per tempo.
Lavorare 24 ore settimanali a quanto pare è un insulto, almeno a quanto dichiarano alcuni insegnanti di scuola secondaria. Alcuni addirittura per protesta si sono astenuti dal ricevimento dei genitori, in piena violazione degli obblighi contrattuali e interrompendo di fatto un servizio dovuto. C'è da domandarsi cosa ne pensino gli insegnanti elementari, che da sempre lavorano 24 ore, oppure quelli di scuola materna, che di ore invece ne fanno 25. Sarebbe anche interessante sentire il parere del bidello, che lavora 36 ore settimanali e percepisce uno stipendio dimezzato rispetto a quello di un 'professore'.
Ma quello che è veramente istruttivo è scorrere il Bollettino delle Giunte e delle Commissioni Parlamentari (V-Bilancio, tesoro e programmazione) in data domenica 11 novembre 2012. In discussione le Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, ovvero la Legge di stabilità per il 2013. Il Ministro Francesco Profumo propone un emendamento per riportare a 18 le ore di lavoro settimanali dei professori, a fronte di tagli sul Fondo dell'istituzione scolastica e di altri finanziamenti destinati fra l'altro all'edilizia scolastica e alla sicurezza. Ecco i commenti dei nostri parlamentari:
Pier Paolo BARETTA (PD), relatore per il disegno di legge di stabilità, sottolinea l'importanza del presente dibattito, in cui si è conseguito l'obiettivo di evitare un doloroso intervento sull'incremento dell'orario di lavoro del personale docente.
Renato BRUNETTA (PdL), relatore per il disegno di legge di stabilità, si associa alle parole di soddisfazione espresse dal collega Baretta per il buon esito di questo delicato passaggio parlamentare, con cui si è scongiurato un inaccettabile intervento sui delicati meccanismi di funzionamento del sistema scolastico, non rispettoso della complessità degli impegni lavorativi in capo al corpo docente.
Il Ministro Francesco PROFUMO ringrazia i relatori e il Parlamento nel suo complesso per il ruolo svolto nella ricerca di soluzioni non lesive degli interessi degli studenti.
Ecco, proprio degli interessi degli studenti vorremmo parlare: e se quelle 6 ore in più fossero state dedicate all'aggiornamento professionale, alle ore di recupero per gli studenti in difficoltà e agli interventi di alfabetizzazione
degli alunni extracomunitari, non avremmo forse fatto veramente gli interessi degli studenti? oppure a laboratori, corsi di approfondimento e gite, che sembrano ormai un ricordo in tante scuole italiane.
Per non parlare dei 47,5 milioni di euro tolti dal Fondo dell'istituzione scolastica, proprio quello che finanzia i corsi di recupero e tutti gli altri interventi integrativi che di fatto garantiscono una maggiore qualità al servizio
scolastico. A dir poco un prezzo salato pagato da tutti noi per garantire i privilegi di una minoranza.
Ci dicano i politici cosa fanno gli insegnanti di medie e superiori nelle restanti 18 ore, quelle che NON trascorrono in classe, e poi ne riparliamo.

D) Prof.ssa Fiorella Re 20/11/2012- La categoria docenti (di cui faccio parte) deve rendersi conto che è necessario superare l’ambiguità del nostro orario di lavoro e i sindacati devono collaborare a presentarlo nel giusto modo.
Dobbiamo chiedere di fare 30 ore settimanali di cui il 50% di insegnamento frontale e l’altro 50% relativo alle attività richieste dalla nostra professione (programmazione, preparazione lezioni, correzione elaborati svolti dagli alunni, colloqui con le famiglie e gli studenti, consigli di classe, collegi docenti, riunioni di dipartimento, corsi di formazione).
La scuola dovrà provvedere a fornirci tutti gli strumenti per svolgere il nostro lavoro, quegli strumenti che attualmente sono a nostro intero carico (scrivania personale con relativo computer, software, stampante, inchiostro, carta, penne, per non parlare delle ore di riscaldamento, elettricità, acqua e altro che utilizziamo lavorando in casa)
Il lavoro subordinato o dipendente prevede che gli strumenti di lavoro vengano forniti dal datore di lavoro. Attualmente siamo noi che sovvenzioniamo la pubblica istruzione con moltissimi mezzi, utilizzati per lavorare, pagati personalmente con il nostro stipendio.
L’orario di 30 ore e non di 36, come nel restante comparto del pubblico impiego, ritengo sia relativo al particolare lavoro frontale con gli alunni, fare lezione in classi di 30 studenti presenta un carico emotivo, partecipativo, mentale e di interazione che non è riscontrabile in un normale lavoro amministrativo come quello svolto dagli altri dipendenti pubblici nei loro uffici, anche se aperti al pubblico. L’insegnante è un educatore, lavora con giovani in corso di formazione e non con semplici utenti.
La parte economica? Uno stipendio pari alla media europea (non certo quello dei paesi ad economia elevata) sarebbe il minimo compenso da accettare; personalmente, alle condizioni sopra indicate, non contrattabili, (15 ore di lezione frontale, 15 ore di lavoro complementare alla funzione docente, ogni strumento fornito dalla scuola pubblica), accetterei quello che ci viene pagato attualmente.
Affrontiamo con chiarezza questa ambiguità e risolviamola




E certo non finisce qui…

Francesco Scalambrino

Odissea, incipit, traduzioni a confronto

 

 


 

Enzio Cetrangolo (1990)

Parla, Musa, tu dell'eroe scaltro a me: di lui
che andò tanto vagando poi che di Troia la rocca
sacra abbatté; di molti uomini vide le terre e conobbe
la mente; e molto l'animo suo patì sul mare
per tenere se stesso e i compagni vivi al ritorno.
Ma vano fu di salvare i compagni il desiderio
pur grande: ne fece rovina la propria follia;
insensati che i buoi del Sole Iperione mangiarono,
e quello il giorno negò a loro del ritorno.
Tu di queste avventure da un punto qualsiasi movendo,
racconta, o figlia di Zeus, anche a me qualche cosa.


Rosa Calzecchi Onesti (1963)

L'uomo ricco di astuzie raccontami, o Musa, che a lungo
errò dopo ch'ebbe distrutto la rocca sacra di Troia;
di molti uomini le città vide e conobbe la mente,
molti dolori patì in cuore sul mare,
lottando per la sua vita e pel ritorno dei suoi.
Ma non li salvò, benché tanto volesse,
per loro propria follìa si perdettero, pazzi!,
che mangiarono i bovi del Sole Iperione,
e il Sole distrusse il giorno del loro ritorno.
Anche a noi di' qualcosa di queste avventure, o dea, figlia di Zeus.



Giuseppe Aurelio Privitera (1981)

Narrami, o Musa, dell'eroe multiforme, che tanto
vagò, dopo che distrusse la rocca sacra di Troia:
di molti uomini vide le città e conobbe i pensieri,
molti dolori patì sul mare nell'animo suo,
per acquistare a sé la vita e il ritorno ai compagni.
Ma i compagni neanche così li salvò, pur volendo:
con la loro empietà si perdettero,
stolti, che mangiarono i buoi del Sole
Iperione: ad essi egli tolse il dì del ritorno.
Racconta qualcosa anche a noi, o dea figlia di Zeus.

 
Emilio Villa (1964)

Era un grand’uomo, straordinario giramondo:
espugnata la sacra rocca di Troia, era andato
pellegrino, ramingo, correndo palmo a palmo
il mare: scoprì città, conobbe l’indole di genti
e nazioni. Ora, o Musica dea, ora ispirami
su costui, sulle inaudite sofferenze ch’egli,
solo con il suo coraggio, ebbe ad affrontare
per porre in salvo la propria vita, e proteggere
la via del ritorno ai suoi seguaci! perché
questo appunto egli fortemente voleva: ma
tuttavia non riuscì a portarli in salvo. Essi
perirono; ma vittime delle loro folli sacrileghe
azioni: insensati! vollero mangiare i manzi
sacri al Sole Iperione, e così avvenne che il Sole
sottrasse dal novero dei giorni proprio il giorno
del loro ritorno. Ebbene, tali eventi evoca
o dea, figlia di Zeus, evoca anche per noi
e dando inizio da qualunque momento vuoi.


Philippe Jaccottet (1955)

Ô Muse, conte-moi l’aventure de l’Inventif:
celui qui pilla Troie, qui pendant des années erra,
voyant beaucoup de villes, découvrant beaucoup d’usages,
souffrant beaucoup d’angoisses dans son âme sur la mer
pour défendre sa vie et le retour de ses marins
sans pouvoir en sauver un seul, quoiqu’il en eût;
par leur propre fureur ils furent perdus en effet,
ces enfants qui touchèrent aux troupeaux du dieu d'En Haut,
le Soleil qui leur prit le bonheur du retour...

À nous aussi, Fille de Zeus, conte un peu ces exploits!


Ippolito Pindemonte (1822)

Musa, quell'uom di multiforme ingegno
dimmi, che molto errò, poich'ebbe a terra
gittate d'Ilïòn le sacre torri;
che città vide molte, e delle genti
l'indol conobbe; che sovr'esso il mare
molti dentro del cor sofferse affanni,
mentre a guardar la cara vita intende,
e i suoi compagni a ricondur: ma indarno
ricondur desïava i suoi compagni,
ché delle colpe lor tutti perîro.
Stolti! che osâro vïolare i sacri
al Sole Iperïon candidi buoi
con empio dente, ed irritâro il nume,
che del ritorno il dì lor non addusse.
Deh, parte almen di sí ammirande cose
narra anco a noi, di Giove figlia e diva.


Originale
 

Ἄνδρα μοι ἔννεπε, Μοῦσα, πολύτροπον, ὃς μάλα πολλὰ
πλάγχθη, ἐπεὶ Τροίης ἱερὸν πτολίεθρον ἔπερσε·
πολλῶν δ' ἀνθρώπων ἴδεν ἄστεα καὶ νόον ἔγνω,
πολλὰ δ' ὅ γ' ἐν πόντῳ πάθεν ἄλγεα ὃν κατὰ θυμόν,
ἀρνύμενος ἥν τε ψυχὴν καὶ νόστον ἑταίρων.
ἀλλ' οὐδ' ὧς ἑτάρους ἐρρύσατο, ἱέμενός περ·
αὐτῶν γὰρ σφετέρῃσιν ἀτασθαλίῃσιν ὄλοντο,
νήπιοι, οἳ κατὰ βοῦς Ὑπερίονος Ἠελίοιο
ἤσθιον· αὐτὰρ ὁ τοῖσιν ἀφείλετο νόστιμον ἦμαρ.
τῶν ἁμόθεν γε, θεά, θύγατερ Διός, εἰπὲ καὶ ἡμῖν.

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 Eppure noi non torniamo mai a casa. Noi, lo sappiamo, andiamo altrove,
a perderci, morendo, nel mondo delle ombre che Ulisse ha visitato: a
divenire "soffi" e "aliti" fra i tanti "sogni" di esseri umani che ci
hanno preceduto. Sì a casa ci attendono forse, se saremo pazienti,
saggi, astuti, e aiutati dagli dei, Penelope, Telemaco, Laerte,
Euriclea e tanti altri. Ma là, nell'Ade, c'è già nostra madre,
Anticlea, che invano cerchiamo di riabbracciare. E verso quella notte
s'avvia - mentre noi, distogliendo lo sguardo, ci asciughiamo una
lacrima - il cane Argo: che pure, dopo vent'anni, ha rivisto e
riconosciuto Ulisse.
L'"Odissea" ce lo ricorda, questo vuoto che mancherà sempre alla
nostra compiutezza. Ma offre al nostro sognare di essa un'immagine
così tangibilmente perfetta, così vicina alla nostra esperienza di
uomini, da fermare all'estremo limite la lunga notte come fa Atena con
l'alba che sta per irrompere sul pianto, sull'amore e sul sonno di
Ulisse e Penelope: "trattenne sull'Oceano Aurora, / non lasciando che
i rapidi cavalli, / messaggeri del giorno, ella aggiogasse: / Lampo e
Fetonte, i fulgidi puledri / che portano la dea sul trono d'oro".

Piero Boitani, L'Indice, n. 10, 1994

venerdì 21 dicembre 2012

Belfagor, la forza di un titolo



Ecco un titolo impegnativo. Proprio in questa fine dell'anno 2012 chiude i battenti la rivista Belfagor, fondata da Luigi Russo e Adolfo Omodeo. E certo non può un blog come questo innalzarsi a livelli tanto alti. La parola tuttavia ha una forza che non si è consunta. Rimanda all'idea di un diavolo che si schiera su posizioni antagonistiche alle Chiese e al conformismo da esse alimentato.
Non esiste più oggi la potenza delle ideologie che con le loro vaste ramificazioni dominarono il panorama intellettuale dell'Italia negli anni successivi alla seconda Guerra Mondiale. Per certi aspetti, ora, il nemico da combattere è più simile all'indifferenza e al relativismo diffusi tra un pubblico amorfo che non al fanatismo dei credenti o dei militanti. Per altri versi non c'è stato tanto il tramonto dell'ideologia, quanto il suo trionfo sotto le spoglie del pensiero unico neoliberale; e non parliamo dei fanatismi identitari in vario modo serpeggianti in Italia e fuori. Insomma il campo degli interventi necessari per il pensiero critico e l'eresia è sempre vasto. Il riferimento a un'insegna come quella di Belfagor mantiene un senso. Anche nelle sue premesse di ordine politico, una collocazione interna al quadro della sinistra, capace di guardare allora al comunismo e al Partito d'Azione. Per non dire delle propensioni culturali, implicite nell'essere la novella Belfagor l'opera letteraria di uno storico e studioso della politica.

Giovanni Carpinelli 

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Quanto al titolo di questa rivista, lo abbiamo assunto per antica dimestichezza con l’opera del Machiavelli. Già nel 1939 si fu lì lì per varare una rivista con lo stesso titolo con un editore torinese, ma gli avvenimenti della guerra ce ne distolsero. Allora ci piaceva, per una certa aria ereticale che da esso spirava in mezzo a tanto dilagante conformismo; ma ci piace ancora oggi perché il conformismo, quasi costituzionale dell’anima italiana per atavica educazione che risale per lo meno a una proverbiale e molto proverbiata pedagogia tanto in onore nel nostro lontano Seicento, oggi si è travestito, e rinasce sotto nuove forme. Però l’Italia, anche nel campo degli studi, ha sempre bisogno di «eretici».  La malattia del conformismo si è ripercossa, come dicono i medici, ma la tabe, frastornata e non radicalmente guarita, è per ora soltanto appiattita nel nostro organismo; ma c’è, viget, e dà, di tanto in tanto, i suoi sussulti e produce malessere e capogiri.

Luigi Russo, Belfagor, Proemio, settembre 1945

Individualismo buono e cattivo



Osservatori attenti della società contemporanea hanno notato un forte ritorno dell’individualismo come fenomeno reale sulla scena a partire dagli anni Settanta e Ottanta del Novecento. Quella stagione non è ancora finita.  L’apparente trionfo dell’individuo nella società attuale ha suscitato molte critiche; e somiglia peraltro assai poco a ciò che in passato la parola “individualismo” evocava in altri contesti.  
Il fatto è che quella parola racchiude in sé una molteplicità di significati diversi. E lo stesso individualismo come filosofia non ha trovato nel corso del tempo una sistemazione teorica stabile. Il testo che meglio fa il punto sulla questione si apre con una storia semantica della parola stessa “individualismo”[1]. E questa normalmente, come se non bastasse, designa tanto un fenomeno reale quanto un certo ordine di idee. Non sempre, nell’uso corrente della parola stessa, la distinzione è chiara, ma l’incertezza dei confini non ha certo giovato alla popolarità dell’idea.
Alcuni autori hanno voluto separare una concezione buona da una cattiva. A suo tempo E. Durkheim distingueva  l’individualismo come ideale quasi religioso da ciò che proponevano H. Spencer e gli economisti: un utilitarismo stretto e un egoismo utilitario, un commercialismo meschino[2]. Molti anni dopo F. von Hayek ha compiuto un’operazione analoga:  ha contrapposto il vero al falso  individualismo. Vero per lui era l’individualismo liberale di origine inglese, legato a nomi come Hume e Smith, ma anche Constant e Tocqueville. La parte della falsa dottrina in Hayek spettava invece all’individualismo cartesiano di origine francese; qui si incontravano i nomi di Rousseau e Voltaire, ma anche quelli di Bentham e Stuart Mill[3]. Nella classificazione di Durkheim, Rousseau figurava tra i buoni, insieme a Kant… Forse oggi non è dal lato delle dottrine che l’individualismo suscita le maggiori preoccupazioni. E non lasciano a desiderare neppure gli studi sul fenomeno reale. E’ l’individualismo come fenomeno reale che ora lascia perplessi gli stessi suoi difensori meglio intenzionati[4]. Sarebbe allora interessante avviare un ragionamento su ciò che è accaduto. Questa è un’operazione che in Italia specialmente è resa più complicata dal lessico. Stando al significato corrente della parola individualismo da noi potrebbe anche non essere accaduto nulla.
L’amore di sé e la tendenza a esagerare l’importanza del ruolo svolto dal singolo come soggetto sono tendenze che non si possono reprimere manipolando il vocabolario. Non porta lontano il tentativo di estirpare dalla parola individualismo le accezioni troppo legate alla cura più o meno esclusiva dell’interesse personale. D'altra parte è innegabile che con il tempo, e in alcuni paesi molto presto, “individualismo” ha assunto anche un altro significato, che si riferiva a un esercizio maturo e orgoglioso della libertà personale. E la parola ha con un significato simile finito per avere in inglese una valenza positiva o neutra. Ora in italiano (come in francese del resto) sono rimaste invece più marcate le tracce della valenza negativa che la parola stessa aveva all’inizio, quando era un sinonimo di egoismo. Questa particolarità ha una spiegazione storica[5]. Il significato più comune della parola individualismo in italiano segnala un difetto. Il Sabatini Coletti è in tal senso molto chiaro: “perdita [grassetto aggiunto da me, gc] della coscienza del nesso tra individuo e società, per cui il primo tende ad affermarsi di contro alla seconda; estens. egoismo”.  L’egoismo come tratto distintivo eventuale compare anche nel Devoto Oli e riguarda sempre il significato corrente del termine individualismo: “tendenza a svalutare gli interessi o le esigenze della collettività in nome della propria personalità o della propria indipendenza o anche del proprio egoismo”.
Le due grandi tendenze che possono essere associate al concetto di individualismo sono poi queste: l’attaccamento all’interesse personale (l’agire per sé) e l’indipendenza, meglio ancora l’autonomia morale e intellettuale (l’agire da sé  e, prima ancora, il pensare da sé)[6]. Anche la seconda possibilità è prevista in italiano, come è normale che sia.  Dal Devoto Oli è presentata come un “atteggiamento diretto ad affermare l’autonomia del singolo”. Meglio ancora lo Zingarelli parla in proposito di una “dottrina che riconosce all’individualità un valore autonomo irriducibile all’ordine naturale, politico e morale di cui fa parte”. C’è insomma un individualismo che caratterizza persone dotate di un loro autonomo profilo anche sul piano morale. Siamo lontani dall’egoismo dell’agire per sé evocato nell’altro caso.
La novità degli ultimi decenni in Occidente sembra essere questa. L’individualismo come cieco attaccamento all’interesse personale prevale su quello che trae la sua ragion d’essere dall’autonomia del singolo.Qualcosa è cambiato, dunque. Solo per un tempo molto breve l’individualismo era apparso come una tendenza negativa. Questo era accaduto al tempo in cui la parola stessa era apparsa, negli anni Venti e Trenta dell’Ottocento. La svalutazione dell’individualismo era venuta all’inizio dagli avversari, da ambienti che avevano altri valori di riferimento: il rispetto dell’autorità,  l’appartenenza sociale, l’eguaglianza dei diritti. E coloro che in un primo tempo erano accusati di essere individualisti o di comportarsi da individualisti non erano consapevoli di aver compiuto una scelta di questo tipo. Insomma la parola era nata per rinfacciare ad altri un difetto, era nata come imputazione. Essa acquistò poi un diverso significato quando fu rivendicata come una qualità, che era bello e giusto possedere. Qui i valori di riferimento non erano più gli stessi: la coscienza del singolo come fattore centrale era tra questi. E non erano gli stessi neppure i presupposti, primo fra tutti la fiducia nella creatività, nella intelligenza e nel senso morale dell’individuo. La valenza negativa all’inizio riguardava un atteggiamento attribuito ad altri. Quella positiva invece nasceva dalla volontà di promuovere una concezione capace di valorizzare il ruolo del singolo. Questo non vuol dire che l’individualismo fosse sempre un atteggiamento diffuso nella realtà con gli aspetti positivi suggeriti dai suoi fautori.  
C’è infine un terzo tempo nella vicenda. Dopo la metà degli anni Settanta soprattutto la parola individualismo viene usata di nuovo. Si assiste però a una divaricazione. Mentre tra gli studiosi la parola mantiene spesso una connotazione positiva, nella società essa designa molto spesso ormai un modo egoistico di essere e di agire. La vita ha seguito strade che non erano quelle delineate in genere dalla storia delle idee. In una fase precedente della sua vicenda l’individualismo aveva assunto in teoria e in pratica una configurazione che era dotata di un profilo morale e teneva conto del rapporto con gli altri. Al di là delle dispute un dato permanente era l’affermazione di una individualità matura, capace di trovare negli altri degli interlocutori disponibili e necessari. Da ultimo quel mondo sembra essere svanito. L’individualismo che negli ultimi decenni si è trovato a dominare la scena dal punto di vista pratico ha rappresentato una vittoria del privato sul pubblico, del calcolo miope sulla visione strategica, della sbadataggine sulla cortesia. E’ stato oggetto di analisi feroci da parte di sociologi fedeli alla tradizione critica della loro disciplina. La speranza in un futuro diverso si è manifestata anche per questa via, anche se i toni delle requisitorie sono stati spesso apocalittici.
Nei ragionamenti sul futuro possono riemergere le propensioni ideali di ognuno. Chi pensa che si debba dare meno importanza all’individuo vedrà la via d’uscita in un ritorno dello spirito comunitario. Forse però l’individualismo stesso non ha ancora detto la sua ultima parola. Questo almeno è un insegnamento che possiamo ricavare dalla storia. Non c’è un individualismo solo. Il trionfo apparente della tendenza all’affermazione del singolo è stato accompagnato da una caduta verticale nello sviluppo dell’individualità. Nel mutamento storico le figure esemplari hanno spesso avuto un ruolo decisivo. Sono rare nei vari campi della cultura, della scienza e della politica al momento le individualità coraggiose capaci di offrire una risposta innovativa alle sfide del nostro tempo, ma una facile previsione conduce a pensare che senza il loro contributo la via d’uscita dall’attuale crisi di prospettive rischia di restare bloccata ancora a lungo. 

Giovanni Carpinelli


[1] S. Lukes, Individualism, Harper & Row, New York 1973, pp. 1-42 Il fatto che la parola comportasse una molteplicità poco chiara di significati era già stato notato da Max Weber (L’etica protestante) e trova conferma in A. Lalande , Dizionario critico di filosofia, Isedi, Milano 1971,  p. 408: “Termine pericoloso, molto equivoco, il cui uso dà luogo continuamente a dei sofismi.”  
[2] L’individualisme et les intellectuels, “Revue bleue”, 4e série, t. X, 1898, pp. 7-13.
[3] F. A. von Hayek,  Individualismo: quello vero e quello falso, Rubbettino, Soveria Mannelli 1997 [1946].
[4] A. Millefiorini, Individualismo e societa di massa : dal 19. secolo agli inizi del 21., Carocci, Roma :2005, 222 p.
[5] Cfr. in particolare N. Matteucci, Presentazione, in A. Laurent, Storia dell’individualismo, il Mulino, Bologna 1994, passim.
[6] La distinzione è formulata da J. Dewey, Ethics, in John Dewey, the Middle Works, vol.14, Southern Illinois University Press, Carbonale & Edwardsville 1983 (1932). Corrisponde ai significati C e E in A. Lalande, Dizionario, cit., p. 408: da una parte (C) “indipendenza di spirito”, dall’altra (E) “tendenza ad affrancarsi da ogni obbligo di di solidarietà e a non pensare che a sé”.