Osservatori attenti della società contemporanea hanno notato
un forte ritorno dell’individualismo come fenomeno reale sulla scena a partire
dagli anni Settanta e Ottanta del Novecento. Quella stagione non è ancora
finita. L’apparente trionfo
dell’individuo nella società attuale ha suscitato molte critiche; e somiglia
peraltro assai poco a ciò che in passato la parola “individualismo” evocava in
altri contesti.
Il fatto è che quella parola racchiude in sé una
molteplicità di significati diversi. E lo stesso individualismo come filosofia
non ha trovato nel corso del tempo una sistemazione teorica stabile. Il testo
che meglio fa il punto sulla questione si apre con una storia semantica della
parola stessa “individualismo”[1]. E
questa normalmente, come se non bastasse, designa tanto un fenomeno reale
quanto un certo ordine di idee. Non sempre, nell’uso corrente della parola
stessa, la distinzione è chiara, ma l’incertezza dei confini non ha certo
giovato alla popolarità dell’idea.
Alcuni autori hanno voluto separare una concezione buona da
una cattiva. A suo tempo E. Durkheim distingueva l’individualismo come ideale quasi religioso
da ciò che proponevano H. Spencer e gli economisti: un
utilitarismo stretto e un egoismo utilitario, un commercialismo meschino[2].
Molti anni dopo F. von Hayek ha compiuto un’operazione analoga: ha contrapposto il vero al falso individualismo. Vero per lui era
l’individualismo liberale di origine inglese, legato a nomi come Hume e Smith,
ma anche Constant e Tocqueville. La parte della falsa dottrina in Hayek
spettava invece all’individualismo cartesiano di origine francese; qui si
incontravano i nomi di Rousseau e Voltaire, ma anche quelli di Bentham e Stuart Mill[3].
Nella classificazione di Durkheim, Rousseau figurava tra i buoni, insieme a
Kant… Forse oggi non è dal lato delle
dottrine che l’individualismo suscita le maggiori preoccupazioni. E non lasciano a desiderare neppure gli studi sul fenomeno reale. E’ l’individualismo come fenomeno reale
che ora lascia perplessi gli stessi suoi difensori meglio intenzionati[4].
Sarebbe allora interessante avviare un ragionamento su ciò che è accaduto.
Questa è un’operazione che in Italia specialmente è resa più complicata dal
lessico. Stando al significato corrente della parola individualismo da noi
potrebbe anche non essere accaduto nulla.
L’amore di sé e la tendenza a esagerare l’importanza del
ruolo svolto dal singolo come soggetto sono tendenze che non si possono
reprimere manipolando il vocabolario. Non porta lontano il tentativo di
estirpare dalla parola individualismo le accezioni troppo legate alla cura più
o meno esclusiva dell’interesse personale. D'altra parte è innegabile che con
il tempo, e in alcuni paesi molto presto, “individualismo” ha assunto anche un altro
significato, che si riferiva a un esercizio maturo e orgoglioso della libertà
personale. E la parola ha con un significato simile finito per avere in inglese
una valenza positiva o neutra. Ora in italiano (come in francese del resto)
sono rimaste invece più marcate le tracce della valenza negativa che la parola
stessa aveva all’inizio, quando era un sinonimo di egoismo. Questa
particolarità ha una spiegazione storica[5]. Il
significato più comune della parola individualismo in italiano segnala un
difetto. Il Sabatini Coletti è in tal senso molto chiaro: “perdita [grassetto aggiunto da me, gc] della coscienza del nesso
tra individuo e società, per cui il primo tende ad affermarsi di contro alla
seconda; estens. egoismo”. L’egoismo
come tratto distintivo eventuale compare anche nel Devoto Oli e riguarda sempre
il significato corrente del termine individualismo: “tendenza a svalutare gli
interessi o le esigenze della collettività in nome della propria personalità o
della propria indipendenza o anche del proprio egoismo”.
Le due grandi tendenze che possono essere associate al
concetto di individualismo sono poi queste: l’attaccamento all’interesse
personale (l’agire per sé) e l’indipendenza, meglio ancora l’autonomia morale e
intellettuale (l’agire da sé e, prima
ancora, il pensare da sé)[6].
Anche la seconda possibilità è prevista in italiano, come è normale che
sia. Dal Devoto Oli è presentata come un
“atteggiamento diretto ad affermare l’autonomia del singolo”. Meglio ancora lo
Zingarelli parla in proposito di una “dottrina che riconosce all’individualità
un valore autonomo irriducibile all’ordine naturale, politico e morale di cui
fa parte”. C’è insomma un individualismo che caratterizza persone dotate di un
loro autonomo profilo anche sul piano morale. Siamo lontani dall’egoismo
dell’agire per sé evocato nell’altro caso.
La novità degli ultimi decenni in Occidente sembra essere questa.
L’individualismo come cieco attaccamento all’interesse personale prevale su
quello che trae la sua ragion d’essere dall’autonomia del singolo.Qualcosa è cambiato, dunque. Solo per un tempo molto breve l’individualismo era apparso
come una tendenza negativa. Questo era accaduto al tempo in cui la parola
stessa era apparsa, negli anni Venti e Trenta dell’Ottocento. La svalutazione
dell’individualismo era venuta all’inizio dagli avversari, da ambienti che
avevano altri valori di riferimento: il rispetto dell’autorità, l’appartenenza sociale, l’eguaglianza dei
diritti. E coloro che in un primo tempo erano accusati di essere individualisti
o di comportarsi da individualisti non erano consapevoli di aver compiuto una
scelta di questo tipo. Insomma la parola era nata per rinfacciare ad altri un
difetto, era nata come imputazione. Essa acquistò poi un diverso significato
quando fu rivendicata come una qualità, che era bello e giusto possedere. Qui i
valori di riferimento non erano più gli stessi: la coscienza del singolo come
fattore centrale era tra questi. E non erano gli stessi neppure i presupposti,
primo fra tutti la fiducia nella creatività, nella intelligenza e nel senso
morale dell’individuo. La valenza negativa all’inizio riguardava un
atteggiamento attribuito ad altri. Quella positiva invece nasceva dalla volontà
di promuovere una concezione capace di valorizzare il ruolo del singolo. Questo
non vuol dire che l’individualismo fosse sempre un atteggiamento diffuso nella
realtà con gli aspetti positivi suggeriti dai suoi fautori.
C’è infine un terzo tempo nella vicenda. Dopo la metà degli anni Settanta soprattutto la parola
individualismo viene usata di nuovo. Si assiste però a una divaricazione. Mentre tra gli studiosi la parola mantiene spesso una
connotazione positiva, nella società essa designa molto spesso ormai un modo egoistico di essere e di agire. La vita ha seguito
strade che non erano quelle delineate in genere dalla storia delle idee. In una
fase precedente della sua vicenda l’individualismo aveva assunto in teoria e in
pratica una configurazione che era dotata di un profilo morale e teneva conto
del rapporto con gli altri. Al di là delle dispute un dato
permanente era l’affermazione di una individualità matura, capace di trovare
negli altri degli interlocutori disponibili e necessari. Da ultimo quel mondo
sembra essere svanito. L’individualismo che negli ultimi decenni si è trovato a
dominare la scena dal punto di vista pratico ha rappresentato una vittoria del
privato sul pubblico, del calcolo miope sulla visione strategica, della
sbadataggine sulla cortesia. E’ stato oggetto di analisi feroci da parte di
sociologi fedeli alla tradizione critica della loro disciplina. La speranza in un
futuro diverso si è manifestata anche per questa via, anche se i toni delle
requisitorie sono stati spesso apocalittici.
Nei ragionamenti sul futuro possono riemergere le
propensioni ideali di ognuno. Chi pensa che si debba dare meno importanza
all’individuo vedrà la via d’uscita in un ritorno dello spirito comunitario.
Forse però l’individualismo stesso non ha ancora detto la sua ultima parola.
Questo almeno è un insegnamento che possiamo ricavare dalla storia. Non c’è un
individualismo solo. Il trionfo apparente della tendenza all’affermazione del
singolo è stato accompagnato da una caduta verticale nello sviluppo
dell’individualità. Nel mutamento storico le figure esemplari hanno spesso
avuto un ruolo decisivo. Sono rare nei vari campi della cultura, della scienza
e della politica al momento le individualità coraggiose capaci di offrire una
risposta innovativa alle sfide del nostro tempo, ma una facile previsione
conduce a pensare che senza il loro contributo la via d’uscita dall’attuale
crisi di prospettive rischia di restare bloccata ancora a lungo.
Giovanni Carpinelli
[1] S. Lukes, Individualism, Harper & Row, New
York 1973, pp. 1-42 Il fatto che la parola comportasse una molteplicità poco
chiara di significati era già stato notato da Max Weber (L’etica protestante) e trova conferma in A. Lalande , Dizionario critico di filosofia, Isedi,
Milano 1971, p. 408: “Termine pericoloso, molto equivoco,
il cui uso dà luogo continuamente a dei sofismi.”
[3] F. A. von Hayek, Individualismo:
quello vero e quello falso, Rubbettino, Soveria Mannelli 1997 [1946].
[4] A. Millefiorini, Individualismo e societa di massa : dal 19.
secolo agli inizi del 21., Carocci, Roma :2005, 222 p.
[5] Cfr. in particolare N. Matteucci, Presentazione, in A. Laurent, Storia dell’individualismo, il Mulino,
Bologna 1994, passim.
[6] La distinzione è formulata da J. Dewey, Ethics, in John Dewey, the Middle Works,
vol.14, Southern Illinois University Press, Carbonale & Edwardsville 1983
(1932). Corrisponde
ai significati C e E in A. Lalande, Dizionario,
cit., p. 408: da una parte (C) “indipendenza di spirito”, dall’altra (E)
“tendenza ad affrancarsi da ogni obbligo di di solidarietà e a non pensare che
a sé”.
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