mercoledì 6 agosto 2014

Sigilgaida, emblema d'Italia

Sigilgaida Rufolo, Ravello, Museo del Duomo


Niccolò di Bartolomeo da Foggia, Testa di Sigilgaida



Vittorio Sgarbi

Sigilgaida Rufolo
Emblema d’Italia

Qui non è questione d’arte medievale in Meridione. Sigilgaida, come Uta, è una delle donne più fascinose di tutti i tempi, in uno dei luoghi più belli del mondo: Ravello. Se dovessimo riconoscere l’emblema dell’Italia rappresentato in un’opera d’arte, forse dovremmo scegliere lei, la regale Sigilgaida. Ma sarà proprio lei? Di una Sigilgaida abbiamo notizia nel 1179 per aver donato con il marito Sergio Muscettola il portale centrale, a formelle bronzee, di Barisano da Trani per il Duomo di Ravello. Ma la Sigilgaida che abbiamo davanti è più giovane, oltre a essere sempre giovane, e meglio si accorda con l’ambone del Vangelo nello stesso Duomo opera di Niccolò di Bartolomeo da Foggia, circa cento anni dopo. E’ difficile dirla di un secolo piuttosto che di un altro. Verrebbe da immaginarla un’opera federiciana esempio di protorinascimento. Ma la sua compiutezza la fa pienamente rinascimentale con la ieraticità di un idolo bizantino e la perfezione di un busto neoclassico. Insomma, Sigilgaida è di tutti i tempi, ne sentiamo il corpo caldo sotto la leggera veste di lino con la decorazione di un ricamo sbalzato intorno al collo e sull’abbottonatura. I lunghi orecchini a strascico, d’oro e di pietre preziose (la scultura era policroma), scendono sulle spalle. Sulla testa una corona d’oro, e mirabile, l’acconciatura dei capelli arricciati e ordinatamente pettinati. Chiunque sia, Sigilgaida è regina. Domina. Soltanto Federico II potrebbe starle al fianco. Intanto domina il Museo di Ravello, conservando intatto tutto il suo mistero. E’ Sigilgaida Rufolo, moglie di Nicola, gentiluomo di corte di Carlo d’Angiò? E’ un’allegoria della Chiesa? O è una personificazione della città di Ravello, in forma di Fortuna? Nessuno scultore di quel tempo, neanche tra i più grandi, non Nicola né Giovanni Pisano e neanche Marco Romano Tino di Camaino, ci ha lasciato un’immagine così viva e vera di una donna di potere che esprime un’analoga e autentica vitalità. Un carattere forte. Come, se da un momento all’altro, dovesse parlare, lusingarci o rimproverarci. Niccolò di Bartolomeo, se ne è l’autore, ha con lei concepito un archetipo che, sul versante dell’espressione del potere, compete con Ilaria del Carretto; con la Dama del Mazzolino di Andrea Verrocchio, con la Paolina Borghese di Antonio Canova. Espressioni tutte di un eterno femminino che la pietra rende resistente al tempo. Se si aggiunge che, nella scultura federiciana, l’artista non vuole perdere la fedeltà fisiognomica, possiamo dire di essere di fronte a una persona anche, nel controllato, severo distacco. In realtà Sigilgaida è perduta, regina nella nostra mente di un regno senza confini. Possiamo immaginarla a casa sua, nello spazio infinito di Castel del Monte. Ma va bene anche qui, a Ravello, poco lontano da villa Rufolo, rapita dalla musica di Wagner.


Il tesoro d'Italia. La lunga avventura dell'arte, Bompiani, Milano 2013, pp. 83-84

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