Mimmo Franzinelli
Sergio Luzzatto, Partigia. Una storia della resistenza, pp. 373, € 19,50, Mondadori, Milano 2013
recensione per l'Indice
Accade talvolta che il lancio di un
volume ne snaturi il contenuto, con l’appiattimento su un particolare
aspetto del libro, il più ghiotto sul piano dell’uso pubblico della
storia, a scapito della complessità e problematicità del testo. Partigia è, a questo proposito, un caso da manuale.
L’indagine storiografica su un episodio
rimosso e misconosciuto della biografia di Primo Levi (la fase
partigiana, dal settembre al dicembre 1943, e la misteriosa sorte di due
suoi compagni, Fulvio Oppezzo e Luciano Zabaldano) si è via via estesa
al gruppo di cui Levi faceva parte, per poi ricostruire l’offensiva
fascista che sgominò la piccola formazione dislocata in Val d’Aosta, e
analizzare i rapporti di partigiani e repubblichini con i civili. La
narrazione si spinge nel dopoguerra, sul binario parallelo degli ex
ribelli e degli ex fascisti, tra l’amnistia Togliatti e il difficile
ritorno alla normalità.
Ricostruita
l’odissea del gruppo valdostano e la tragica “giustizia partigiana” che
tronca la vita di due giovani ribelli, Luzzatto si inoltra lungo i
sentieri della memoria resistenziale, dalla fase catacombale sino alla
consacrazione nella dimensione dell’ufficialità (con lapidi e cippi,
intestazione di scuole e cerimonie reducistiche). E ci mostra
l’inevitabile scarto tra l’evento storico e la sua trasmissione, nella
monumentalizzazione che ha smarrito e confuso segmenti di identità, per
la propensione al “politicamente corretto”. Terminata la lettura, resta
in bocca il sapore della cenere, con il dislivello tra gli ideali e la
realtà. Quella stessa amarezza, d’altronde, suggerì a Primo Levi giudizi
profondamente autocritici e svalutativi su quella fase della sua vita. Partigia è
un prezioso lavoro di microstoria, il cui rilievo è amplificato dal
carattere paradigmatico della formazione dislocata in Val d’Aosta, che
contiene in sedicesimo i caratteri di larga parte della Resistenza nelle
vallate alpine e agevola dunque la comprensione delle difficoltà, degli
eroismi, delle viltà e dei sacrifici che accompagnarono i ribelli
nell’avventura alla macchia. Con azzeccata intuizione editoriale, il
volume si apre con l’elencazione di nomi e qualifiche dei personaggi
principali (una cinquantina), suddivisi per gruppi: “Ebrei in fuga”,
“Partigiani torinesi”, “Partigiani casalesi e monferrini”, “Partigiani
valdostani”, “Altri partigiani” e “Collaborazionisti”, funzionale alla
lettura di vicende assai intricate.
Le polemiche seguite all’uscita del
libro danno l’impressione che sia stato più commentato che studiato.
Ignorando la profondità della ricerca e le sue rilevanti acquisizioni,
si è ridotto Partigia a operazione iconoclasta, con valutazioni
preconcette che non fanno onore a recensori perfettamente in grado (se
solo non inforcassero gli occhiali dell’ideologia) di trarre giovamento,
in quanto storici del 1943-45, dal volume così faziosamente criticato.
In questo caso, più che in altri, il recensore deve dunque sollecitare
il lettore a entrare nel libro, interrogarlo e analizzarlo: lo valuti
insomma con il proprio metro, e si cali nelle tormentate storie di vita e
di morte, di oppressione e di liberazione, attraversate dall’Italia
nella dura lotta di liberazione dalla dittatura mussoliniana e
dall’occupazione tedesca.
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