Masolino D'Amico
La Stampa, 19 luglio 2013
Nel 1860 il paesino etneo di Bronte era tra i luoghi più
depressi di tutta la Sicilia, ma quando, incoraggiati dalle notizie
dello sbarco dei Mille, i contadini affamati si provarono a occupare le
terre, la loro ribellione fu sanguinosamente repressa dagli stessi
garibaldini, pronti a schierarsi con l'ordine costituito. L'episodio è
stato rievocato, più o meno polemicamente, più volte, anche in una
pellicola di Florestano Vancini del 1972 (Bronte, cronaca di un massacro),
che la Rai dopo averla commissionata come serie di tre puntate mandò in
onda una volta sola, in veste ridotta e in un giorno diverso da quelli
in cui abitualmente si trasmettevano film. Oggi il libro di una storica
inglese, Lucy Riall - Under the Volcano - Revolution in a Sicilian Town
(Oxford University Press) - ricostruisce con eccellente documentazione
la vicenda, i cui antecedenti e il cui seguito sembrano istruttivi
almeno quanto il fatto stesso.
Tutto ebbe inizio molti anni prima del 1860, addirittura nel
1799. In quell'anno re Ferdinando - III di Sicilia, IV di Napoli e I
delle Due Sicilie -, minacciato dall'avanzata delle truppe francesi,
fuggì a Palermo a bordo della nave da guerra dell'ammiraglio Nelson; e
una volta tratto in salvo ricompensò grandiosamente il suo salvatore
nominandolo duca di Bronte e regalandogli in quel luogo una ampia
tenuta, che comprendeva il paesino stesso e il convento in disuso di
Maniace. Nelson non vide mai il suo feudo, ma prima di morire a
Trafalgar fece in tempo a vagheggiare di stabilirvisi un giorno con la
sua amante Lady Hamilton. Il dono passò poi ai suoi discendenti
Bridport, che, pur continuando a tenersi alla larga dal luogo, si
fregiarono del titolo. A quanto pare «Bronte» suonava bene; così quando
si trasferì in Inghilterra per farvi carriera un oscuro ma ambizioso
parroco irlandese cambiò proprio in «Bronte» il suo cognome poco nobile -
si chiamava Patrick Brunty - scrivendolo con una dieresi sulla e finale
per garantirsi che fosse pronunciato bisillabo; ed è come Brontë che le
tre grandi romanziere sue figlie diventarono famose.
Occupando le terre di Bronte, i contadini del 1860 reagivano
dunque a un caso di assenteismo ancora più clamoroso di quello vigente
in altri latifondi: qui i proprietari erano addirittura stranieri che
nessuno aveva mai visto. Ma l'Inghilterra era una potente nazione da
tenersi amica, tanto più in quel momento. Così a reprimere la sommossa
fu mandato il più energico e il meno scrupoloso dei conquistatori,
ovvero Nino Bixio. La Riall lo tratta meglio di altri cronisti,
attribuendogli anche un certo rammarico per l'azione compiuta, ma non
tace sui suoi metodi spicci, che comportarono la fucilazione di cinque
insorti scelti senza troppo discriminare (tra loro c'erano lo scemo del
villaggio e l'avvocato liberale Niccolò Lombardo, che aveva tentato di
calmare le acque).
Dopodiché Bronte rimase a disposizione dei suoi lontani e
invisibili padroni inglesi ancora per un altro secolo. Solo negli anni
1930 il quinto Duca si trasferì sul posto e tentò di impiantarvi
un'attività; D. H. Lawrence, che lo incontrò durante il suo viaggio in
Sicilia, lo descrisse come un cretino. Né lui né i suoi successori
comunque si mescolarono mai alla popolazione locale. Da ultimo, nel
1969, lo Stato italiano acquistò la proprietà. Oggi il latifondo è un
parco pubblico, e Bronte si autodefinisce non senza fierezza la
«capitale mondiale del pistacchio».
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