E' raro
trovare nei pur numerosi testi di memorie o negli stessi romanzi ambientati
nella Grande Guerra episodi nei quali un personaggio racconta di aver visto il
nemico e di averlo ucciso. Contrariamente a una leggenda tenace, gli scontri diretti
e ravvicinati tra uomini schierati su fronti opposti non si producevano tanto
spesso; il tema del nemico invisibile
è svolto a lungo nel classico studio di Leed, Terra di nessuno.
Ernst Jünger partecipa per la prima volta a una battaglia
nell’aprile 1915, sul fronte occidentale. Annota poi in Tempeste d’acciaio (1920):
“La battaglia di Les Eparges fu il mio battesimo del fuoco. Era stato completamente diverso da come lo avevo immaginato. Avevo partecipato a una grande operazione di guerra senza aver visto un solo avversario” (p. 35, Studio Tesi, trad. Gisela Jaager-Grassi).
Hans Baluschek, Die Vernichtung |
“La battaglia di Les Eparges fu il mio battesimo del fuoco. Era stato completamente diverso da come lo avevo immaginato. Avevo partecipato a una grande operazione di guerra senza aver visto un solo avversario” (p. 35, Studio Tesi, trad. Gisela Jaager-Grassi).
Tanto
più rilievo assumono allora le occasioni in cui a narrare l’uccisione di un
nemico visibile, e visto senza problemi, è lo stesso suo esecutore. Una è ricordata proprio in Tempeste d’acciaio:
“In
quella mattinata di successi, passeggiando nel mio settore, vidi il tenente
Pfaffendorf che, sulla piazzola di una sentinella, con gli occhi fissi al cannocchiale
a forbice, dirigeva il fuoco dei suoi lanciabombe. Avvicinandomi a lui, vidi un
inglese che camminava allo scoperto dietro la terza linea nemica e che, nella
sua uniforme kaki, si stagliava nettamente sull’orizzonte. Presi subito il
fucile dalle mani della sentinella più vicina, regolai l’alzo a seicento metri,
presi bene di mira la testa di quel soldato e tirai il grilletto. L’uomo fece
ancora tre passi, poi cadde all’indietro per le gambe, sbatté qualche volta le
braccia e finì rotoloni in un cratere, dove poi, per lungo tempo, rimase
visibile con il cannocchiale il colore bruno di una sua manica” (ivi, pp. 129-130).
Nello
stesso libro c’è anche l’episodio dell’uccisione mancata. In questo caso è
notevole il dato della distanza
ravvicinata:
“Fu
in quel momento che incontrai il primo soldato nemico. Una figura in uniforme
kaki era accoccolata a venti passi da me, in mezzo all’avvallamento martellato
dal tiro, con le mani appoggiate al suolo. I nostri sguardi si incontrarono
quando uscii da una curva del sentiero. Lo vidi sussultare; teneva gli occhi
spalancati fissi su di me mentre mi avvicinavo lentamente con la pistola
puntata e con espressione truce. Si preparava una scena sanguinosa senza
testimoni. Era come una liberazione poter vedere finalmente il nemico da
vicino. Poggiai la bocca della pistola sulla tempia dell’uomo che sembrava
paralizzato dalla paura mentre con l’altra mano l’afferravo alla giubba adorna
di decorazioni e di insegne. Un ufficiale; forse era stato al comando di questa
parte della trincea. Con un gemito portò la mano alla tasca per estrarne non un’arma,
ma una fotografia che lo ritraeva su una terrazza, circondato da una numerosa
famiglia.
Eral’incanto
di un mondo passato e incredibilmente lontano. In seguito ho giudicato una gran
fortuna l’essere riuscito a dominarmi e l’aver proseguito il cammino. Proprio
quell’uomo mi apparve spesse volte in sogno”. (ivi, pp. 238-239).
Un
caso di uccisione compiuta e narrata, dal lato francese, si trova in Genevoix.
Siamo nei giorni della Marna, è il 10 settembre 1914 per l’esattezza. La distanza è ravvicinata, ma il tiro in questo caso è alle spalle. Non c'è, come nel caso del nemico visto da lontano, un confronto faccia a faccia (e questo, se si ragiona alla maniera di un pensatore come Levinas è un particolare che ha la sua importanza). Il
narratore all'epoca dei fatti è un tenente ventiquattrenne:
“prima
di rimettermi con gli chasseurs, tra i quali ritrovo una ventina dei miei uomini,
ho ancora riagganciato tre fantaccini tedeschi isolati. E a ciascuno, correndo
dietro di lui allo stesso ritmo, ho tirato una pallottola di pistola in testa o
alle spalle. Sono crollati con lo stesso urlo strozzato” (Ceux de 14, Sous Verdun, ed. originale 1916, Seuil 1984, p. 44). Nel
1949 l’autore ha aggiunto una nota per precisare che il brano in una precedente
ristampa era a stato soppresso. Il ricordo non era facile da sostenere.
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