domenica 6 marzo 2022

La promessa che non fu mai scritta

La chiesa cattolica ucraina di Santa Sofia a Roma

 Oggi il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha partecipato alla messa nella basilica di Santa Sofia a Boccea, chiesa ucraina cattolica a Roma 

Enrico Franceschini, Colloqui Nato-Russia, il nodo dell'allargamento a Est: davvero l'Alleanza tradì le promesse a Mosca?, la Repubblica, 12 gennaio 2022

LONDRA – C’è una domanda di fondo dietro l’opposizione russa all’ulteriore allargamento della Nato verso Est, questione centrale dei negoziati di questa settimana tra l’Alleanza Atlantica e Mosca: è vero che l’Occidente, in cambio dell’accordo sovietico alla riunificazione della Germania, promise all’Urss di non espandersi in Europa orientale?

Vladimir Putin ne è sicuro e perciò accusa gli Stati Uniti di avere “tradito” gli impegni, posizione in cui è sulla stessa linea dei suoi predecessori Boris Eltsin e Mikhail Gorbaciov.

Il libro "Nemmeno un pollice"

Not one inch (Nemmeno un pollice), nuovo libro della pluripremiata storica americana Mary Elise Sarotte, riesamina l’argomento giungendo a una conclusione contradditoria: dal punto di vista tecnico la promessa non ci fu, ma dal punto di vista psicologico è comprensibile che i russi pensino di averla ricevuta.

In sostanza, l’Occidente assicurò più volte Mosca che la Nato non si sarebbe allargata nei Paesi dell’ex-sfera di influenza sovietica, ma lo fece soltanto verbalmente, mai per iscritto.

Le promesse verbali a Gorbaciov

Il primo a garantirlo fu il segretario di Stato americano James Baker, il 9 febbraio 1990, in un colloquio con Gorbaciov: se l’Urss avesse accettato la riunificazione tedesca, la Nato non avrebbe inglobato il territorio della Germania orientale e gli altri ex “Paesi satelliti” di Mosca, diventati democratici dopo il crollo del muro del Berlino.

Il giorno seguente Helmut Kohl, cancelliere della Germania Ovest, confermò al capo del Cremlino che la Nato non avrebbe stazionato le sue truppe sul territorio della Germania Est, un impegno ripetuto in un discorso dal segretario generale dell’Alleanza Atlantica Manfred Worner. Nelle sue memorie, Gorbaciov afferma che tali rassicurazioni furono la chiave per l’assenso sovietico alla riunificazione delle due Germanie.

Tuttavia il Trattato sulla riunificazione, firmato da Urss e Occidente nel settembre 1990, non conteneva neanche una riga al riguardo, osservando soltanto che la presenza di truppe Nato nell’ex-territorio della Germania orientale era “a discrezione” del governo tedesco.

Bush padre, presidente degli Stati Uniti in quel cruciale momento, riteneva che il capo della sua diplomazia Baker fosse “andato troppo in là” con la sua promessa a Gorbaciov.

Benché in seguito l’impegno a non espandere la Nato in Europa orientale sia stato ripetuto, per esempio nel marzo 1991 dal premier britannico John Mayor in una conversazione con Dmitrij Jazov, ministro della Difesa sovietico (uno degli autori del golpe contro Gorbaciov cinque mesi più tardi), quelle erano solo parole.

Le proteste di Eltsin dopo il crollo dell'Urss

Crollata l’Urss nel dicembre 1991, la Russia presieduta da Boris Eltsin protesta con Bill Clinton per i piani di allargamento della Nato a Est: eppure nel 1993 proprio Eltsin riconosce al presidente polacco Lech Walesa il diritto del suo Paese di entrare nella Nato.

Sulla reazione dell’Urss e poi della Russia sua erede pesavano il caos e la spaventosa crisi economica che accompagnarono la fine del comunismo. Opporsi all’espansione della Nato, ammesso che Mosca ne fosse in grado, avrebbe significato rischiare di perdere gli aiuti offerti dall’Occidente.

A ciò si aggiunge l’ingenuità di Gorbaciov, convinto che in Germania Est e negli ex-Paesi satelliti la gente avrebbe continuato a votare comunista anche in un sistema democratico; e che in ogni caso la Nato avrebbe potuto per sempre proibire a Paesi indipendenti di scegliere liberamente il proprio destino.

Quando Putin chiese: "Quando ci inviterete nella Nato?"

Meno ingenuo, Eltsin sperava di aggirare il problema facendo aderire anche la Russia all’Alleanza Atlantica, obiettivo condiviso inizialmente perfino dal suo successore. “Quando ci inviterete nella Nato?”, chiese Vladimir Putin nel 2000, da poco presidente, nel suo primo incontro con George Robertson, segretario generale dell’Alleanza Atlantica, come quest'ultimo ha rivelato di recente.. “Nella Nato non si viene invitati, ci si candida a entrare”, gli rispose Robertson. E Putin: “Ma noi non vogliamo metterci in coda con Paesi senza importanza”.

Intervistato dal grande giornalista inglese David Frost, nello stesso periodo, Putin affermò: “Non escludo di entrare nella Nato, se verremo considerati come un partner alla pari. La Russia fa parte della cultura europea e non posso immaginare il mio paese isolato dall’Europa e da quello che consideriamo il mondo civilizzato”.

Le cose sarebbero potute andare diversamente?

Da allora il quadro è profondamente cambiato, la democrazia russa è diventata un’autocrazia, Putin la guida da vent’anni e c’è il rischio di un’invasione dell’Ucraina che riecheggia quelle sovietiche in Ungheria e Cecoslovacchia. Le cose sarebbero potute andare diversamente?

In Occidente l’idea di un ingresso della Russia nella Nato veniva visto come una fantasia, che avrebbe portato a paralizzare l’Alleanza. Ma la Nato avrebbe potuto cercare di gestire l’espansione in modo da portare alla cooperazione non al confronto con Mosca, conclude il libro di Mary Elise Sarotte, al fine di consolidare la neonata democrazia russa e tenere a freno il nazionalismo.

D’altra parte, come notò Bush senior, “la guerra fredda l’abbiamo vinta noi”: si era aperta una finestra per l’Europa orientale e la priorità della Nato era approfittarne prima che potesse richiudersi, mettendo fine alla divisione del continente in sfere di influenza sancita a Jalta da Roosevelt, Churchill e Stalin nel 1945, alla fine della Seconda guerra mondiale.

 http://www.giornidistoria.net/la-nato-non-avanzera-verso-est-neppure-di-un-centimetro-documenti-sulle-promesse-delloccidente-alla-russia

 

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