venerdì 18 marzo 2022

Praga, agosto 1968



Alexander Dubcek, L'alba in cui uccisero la mia primavera, La Stampa, 24 novembre 1992, pag. 7   

martedì 20 agosto 1968

Poco prima di mezzanotte, Oldrich Cernik, il nostro primo ministro, venne chiamato al telefono dal generale Dzur, il nostro ministro della Difesa, che gli disse che i sovietici e quattro loro alleati del Patto di Varsavia avevano cominciato l'invasione. Dzur era stato trattenuto dai sovietici nel suo ufficio al ministero, ora occupato. Era un fulmine a ciel sereno.
In qualche modo riuscimmo a riportare ordine nella riunione. Io ricordai la lettera di Breznev, che lessi ad alta voce per far vedere che anche in quest'ujtima nob c'era niente che potesse essere letto come un avviso di imminente invasione.[...]
Abbozzammo una dichiarazione rivolta ai popoli della Repubblica cecoslovacca, esprimendo sgomento e sorpresa di fronte all'invasione, che condannavamo in quanto contraria alle norme basilari del diritto internazionale e del socialismo. Invitammo però la popolazione a non opporre resistenza. [...]
Passarono due ore. Il cielo era pieno di aerei. Come apprendemmo subito, i sovietici ne facevano atterrare all'aeroporto di Praga uno al minuto, con il loro carico di carri armati, mezzi corazzati e truppe.
Perché non abbiamo lasciato l'edificio, non ci siamo nascosti e non abbiamo preso le redini di un movimento di resistenza? Perché questo avrebbe contraddetto la nostra decisione collettiva di offrire una resistenza solo politica e di rimanere ai nostri posti perché non potessero essere occupati da traditori. Così rewstammo nell'edificio - e aspettammo.
Nel frattempo centinaia, forse migliaia di persone si erano radunate fuori. Erano quasi tutti giovani e sventolavano la bandiera nazionale. Li sentivo scandire il mio nome e cantare l'inno nazionale - e anche l'Internazionale. Che amara ironia!
Alle quattro del mattino, una limousine Volga nera guidava una colonna di carri armati e mezzi corazzati attraverso il ponte sul fiume, diretta verso il nostro edificio. La folla si apr+, ma non abbastanza in fretta. Così ci fu uno scontro e i sovietici si misero a sparare con la mitragliatrice. Un giovane civile venne ucciso proprio davanti ai nostri occhi.
Poi arrivarono i paracadutisti dell'Armata Rossa e circondarono l'edificio. I telefoni erano muti. L'alba era diventata giorno quando un drappello di militari, guidato da diversi ufficiali, fece irruzione. Alle nove del mattino, sette o otto paracaditisti sovietici e otto ufficiali piombarono nel mio ufficio. Chiusero le finestre e bloccarono le porte di comunicazione tra le stanze. Era come una rapina a mano armata. Feci un passo verso il telefono che stava sulla mia scrivania: uno dei soldati mi puntò la pistola addosso, afferrò il telefono e strappò il filo dal muro.

Alexander Dubcek, Il socialismo dal volto umano: autobiografia di un rivoluzionario, Nuova iniziativa editoriale, Roma [2008]. Supplemento dell'Unità.

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