martedì 22 marzo 2022

Il dibattito slegato dalla competenza

 


Nathalie Tocci, I media, la guerra e la democrazia, La Stampa, 21 marzo 2022

Parto con una premessa: nonostante da anni partecipi spesso a dibattiti sui media internazionali, è la prima volta che vengo invitata a talk show italiani. Il nostro è un Paese che ha poco interesse per la politica internazionale. È così nell'opinione pubblica, nei partiti e nelle istituzioni, e poco è pure lo spazio che viene dedicato tradizionalmente a questi temi sui media nazionali. Quante volte mi è capitato di spiegare a fatica il mio lavoro ad amici e conoscenti, quante volte mi sono disperata venendo definita una esperta di "geopolitica". Il disinteresse italiano per la politica internazionale è, purtroppo, una costante della nostra storia. A risvegliarci è stata l'invasione russa dell'Ucraina, con le sue conseguenze umanitarie, economiche ed energetiche che toccano corde profonde, per non parlare del terrore diffuso di una terza guerra mondiale.
Arrivo al punto: è con enorme tristezza, sconcerto e preoccupazione che osservo il livello del dibattito pubblico italiano su un tema così esistenziale come il ritorno della guerra sul continente europeo. Il confronto è senz'altro vivo. Giornali, telegiornali e talk show si interrogano quotidianamente sulla guerra, ospitando opinioni divergenti. Ed è giusto, anzi sacrosanto, che in una liberal-democrazia il dibattito sia vivo e si dia spazio a idee diverse. La realtà non è mai monolitica, è sempre un mosaico composto da mille pezzi variegati. Così come è fondamentale che ogni cittadino abbia e possa esprimere liberamente la propria opinione su qualunque tema. La libertà di espressione è il cuore della democrazia: un diritto che noi siamo fortunati di avere, che gli ucraini oggi difendono con il sangue, e che i russi – al pari di altri popoli governati da sistemi autoritari – non hanno. Rivendico con orgoglio il diritto di esprimermi liberamente su qualunque tema, dai vaccini alla filosofia, fino alla fisica quantistica. E ringrazio quando i media nazionali mi aiutano a formare o cambiare idea su questi temi, ospitando esperti che argomentano le proprie posizioni sulla base di studi e esperienze che io non ho, proprio perché non sono virologa, filosofa o fisica.
Il dibattito pubblico in Italia, perlomeno su questa guerra atroce, non sembra tuttavia essere basato su questa logica. Tiene certamente alto il nome della diversità di opinione, ma non di una diversità che emana da competenze diverse tutte attinenti al tema in discussione. Ciò che posso dire io come esperta di politica europea e internazionale è necessariamente diverso da ciò che dice un sindaco in Ucraina, un accademico a Mosca, un ministro degli Esteri europeo, un generale statunitense o un funzionario a Bruxelles esperto di sanzioni o di energia. Queste opinioni diverse emanano da competenze diverse ma tutte rilevanti per capire il complesso mosaico che è la guerra in Ucraina.
Nei media italiani – soprattutto televisivi –, l'impressione è che non si cerchino competenze diverse per aiutare i cittadini-spettatori a comporre il proprio mosaico di conoscenza, ma opinioni divergenti e basta. A prescindere dalle (in)competenze dalle quali emanano. Perché se è vero che per comprendere la guerra in Ucraina servono esperti d'area (Russia e Europa orientale) e di relazioni internazionali, così come di difesa, energia e economia – che trattano queste materie lavorando nelle istituzioni, nell'accademia, nei media, nella società civile e nel settore privato –, è altrettanto vero che ci sono competenze che sono poco attinenti alla questione. In che modo le valutazioni di un teorico della fisica, di un filologo o di un sociologo del terrorismo aiutano a formare una posizione informata sulla guerra in Ucraina? Sono opinioni che vengono ospitate per volontà di assicurare una completezza dell'informazione o perché funzionali agli ascolti e alla spettacolarizzazione?
Questa è una guerra combattuta tanto nelle città devastate di Mariupol e Kharkiv quanto nello spazio mediatico dell'informazione e della disinformazione. È una guerra fatta di sangue e di narrazione, che va ben oltre i confini dell'Ucraina e riguarda l'esistenza della democrazia, incluso nel nostro Paese.
Non è un caso che la Russia da anni investa nella disinformazione, e che questa abbia fatto breccia in Italia. Sul terreno di un disinteresse tradizionale per tutto ciò che avviene o proviene al di là dei nostri confini è stato più semplice lavorare. La disinformazione fa perno e si insidia dove c'è poca conoscenza, competenza e informazione, dilaga laddove è più facile distorcere e manipolare.
Il paradosso è quando nel nome della libertà di opinione, e quindi della democrazia, si dà spazio alla opinione slegata dalla competenza, aprendo – consciamente o inconsciamente – alla disinformazionee alla propaganda. E infiliggendo un colpo mortale alla democrazia stessa.

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