mercoledì 10 luglio 2024

Meloni, fascista presunta

 

 


Giorgia Meloni non è quella cosa lì che molti pensano di avere individuato. E' una fascista moderna, una che ha saputo aggiornarsi e che del fascismo conserva alcuni elementi (il nazionalismo, l'orgoglio sociale, il culto del capo) mentre ne rigetta altri, l'esaltazione della violenza, il dispotismo codificato. In genere non viene combattuta per quello che è, ma per quello che dovrebbe rappresentare agli occhi dei suoi avversari, ossia per la fedeltà a un fascismo mai rinnegato del tutto. Lei si definisce una conservatrice, anche se poi nei fatti sa mostrarsi spregiudicata, capace di adattarsi al mondo in cui vive. Certo non vuole combattere la diseguaglianza, difende senza complessi il privilegio dei piccoli potentati (tassisti, balneari, evasori). Meloni andrebbe attaccata in quanto baluardo di un ordine desueto, non in quanto fascista nostalgica.
(Giovanni Carpinelli)

 

Giuliano Ferrara, La sindrome Meloni della sinistra, Il Foglio, 10 luglio 2024

La sindrome Meloni è a sinistra una malattia grave. O almeno molto insidiosa. Priva di intelligenza il campo largo, larghissimo, sterminato che non c’è. Distrugge il raziocinio e insieme il sense of humour, oltre che il senso comune. Si manifesta così: lei non si dichiara antifascista, non abiura platealmente, quindi è come Orbán, che ha costituito un gruppo in Europa in concorrenza con i suoi conservatori; quindi è come Le Pen, che sta con Putin e contro Zelensky, che non ha i deficienti denunciati da Fanpage, puro folclore, ma i bei tomi dell’algerie française e dell’oas tra le palle; che è per la preferenza nazionale sovranista d’accatto francese, mentre Meloni risolve il problema della rete alla Kkr e di Ita alla Lufthansa; quindi è per Trump, col quale tutti dovranno eventualmente fare i conti, anche lei che è una cara amica di Joe Biden, et pour cause, perché sa stare in Europa e nella Nato con slancio atlantista serio e convinto anche dai tempi della sua opposizione solitaria a Draghi, con tutte le sue comprensibili riserve sul brillante provocatore Macron che cerca invano di umiliarla per i suoi affari interni.

Meloni non tocca i diritti civili, ma è designata nemica dell’aborto così, a vanvera, e peccato non lo sia affatto; ha una figlia che si chiama Ginevra, non Maria Goretti, è una ragazza madre o giù di lì, una single comunque che ha fatto i conti con il maschilismo del compagno a mezzo di un breve comunicato.

Palmiro Togliatti, che oggi è un oscuro professore di liceo amico di Gramsci, completamente dimenticato, ma fu capo del Pci, braccio destro di Stalin, eppure forgiò l’italia anche nei suoi aspetti migliori, insegnò a respirare la politica a tutti, San Berlinguer compreso, si domandò in un famoso saggio se fosse possibile un giudizio equanime sull’opera di Alcide De Gasperi, suo storico nemico, e nel Discorso su Giolitti e in quello su ceti medi ed Emilia rossa pose le basi della nazionalizzazione del comunismo italiano e del successivo eurocomunismo, che non avrebbe nemmeno mai potuto concepire per ragioni storiche e biografiche ma che era figlio della sua via italiana. L’equanimità nel giudizio sugli avversari è uno dei tratti mancanti della piccola politica italiana. Il reciproco riconoscimento di valori fu la base dell’esperienza repubblicana, finita con la dittatura del moralismo e del giustizialismo e con la caduta della cultura politica alta. Recuperarne un’oncia, visto come stanno le cose, sarebbe doveroso, non indebolirebbe la prospettiva di un’alternativa, la renderebbe anzi credibile. Meloni è una leader della destra, ma la sua è una coalizione di governo costruita su basi plurali, con un pezzo del Partito popolare europeo dentro, con una Lega salviniana che funge da provocazione vannacciana, almeno quanto alle ambizioni del suo leader, e punge il fianco della destra affidabile perseguita dalla presidente del Consiglio. Il grado di integrazione reso possibile dal sistema italiano ha qualcosa di stupefacente, ed è il residuo migliore di una lunga tradizione a torto e moralisticamente bollata di trasformismo. La sindrome Meloni chiude la sinistra, che non ha ancora saputo trasformarsi in dirimpettaia di centrosinistra, in una logica ottusa e fuori tempo.

 

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