mercoledì 19 novembre 2014

Mitologia di guerra. La montagna

La guerra e la montagna può sembrare un'associazione poco significativa. C'è stata una guerra di montagna, specialmente sul fronte italiano nel 1915-18. Kipling ha sfruttato il tema a suo tempo. Qualcosa cambiava, certo, tra la pianura e la montagna, o le colline del Carso, ma la guerra sempre quella era, con il suo strascico di morte e di dolore. Rispetto al conflitto, tuttavia, la montagna ha assunto anche un valore simbolico. E su questo c'è parecchio da dire. La montagna si colloca in alto, ovviamente. Ha una sua maestosa imponenza, è più vicina al cielo, può richiamare la trascendenza e in tal modo collocarsi naturalmente al di sopra della mischia: era questo il titolo di un articolo scritto da Romain Rolland nel  1914  e poi compreso in una raccolta denominata allo stesso modo. C'era in quelle pagine una volontà di includere l'altro, il nemico, dentro lo stesso spazio comune di civiltà. Fu l'idea che valse a Rolland il premio Nobel per la letteratura del 1915, assegnato nel 1916. 
Guardare il mondo dall'alto di una posizione elevata, vedere le dispute umane con un certo distacco: l'idea si ritrova anche nel romanzo di Thomas Mann, La montagna magica (1924). La storia si svolge negli anni della prima guerra mondiale. Il libro è stato scritto in realtà prima e anche dopo, l'autore cominciò a pensarci nel 1912 e tornò sul suo progetto in un'epoca successiva. A guerra finita, come ha notato lo storico Mosse, la montagna stava assumendo un altro significato, diventava un luogo puro, luminoso, prossimo al divino o capace di trasmettere un senso di eternità. Ci furono dei pellegrinaggi sulle montagne con lo scopo di lenire il dolore legato alla guerra, di voltare pagina e proiettarsi in un futuro diverso. Un po' la stessa funzione ebbero i film di Luis Trenker, allora.
Tutto questo ci riporta alla scena con la quale si apriva uno tra i più famosi libri pubblicati sulla guerra ancora nel pieno del suo decorso. Il fuoco di Henri Barbusse uscì nel 1916, ottenne il premio Goncourt e ebbe un gran numero di lettori (250mila copie vendute nell'arco di due anni). Vediamo dunque la scena.
Siamo davvero all'inizio, al primo capitolo, La visione. E si comincia dalla precisazione del luogo, situato molto in alto:


La Dent du Midi, l'Aiguille Verte, il Monte Bianco si stagliano davanti ai pallidi volti che spuntano fuori dalle coperte allineate nella galleria del Sanatorio. 
Al primo piano del palazzo-ospedale, questa loggia dalla balconata di legno rustico, protetta da una veranda, è isolata nello spazio, e sovrasta il mondo. 
... Il silenzio è la legge. Del resto, tutti coloro che, ricchi e indipendenti, sono venuti qui da tutti i punti della terra, colpiti dal medesimo male, hanno perduto l'abitudine di parlare. Ripiegati su se stessi, pensano alla loro vita e alla loro morte.

L'altitudine, il distacco, il silenzio. Non l'indicibile, ma ciò che non merita neppure di essere detto. Da qui il peso che acquistano le parole. Arrivano i giornali con le notizie. Il mondo fa sentire la sua presenza nello spazio etereo dell'ospedale tra le montagne. Un malato austriaco se la prende con l'Austria, un inglese auspica la vittoria della Francia, un tedesco giudica necessaria la sconfitta del suo paese. Poi è come se lo spettacolo della guerra si dispiegasse sotto gli occhi dei lontani osservatori. Si susseguono in ordine sparso i commenti:

Due eserciti alle prese è il suicidio di un solo, grande esercito.
Non avrebbero dovuto.
E' la Rivoluzione francese che ricomincia. Forse è la guerra suprema.
Attenti ai troni - mormora a parte una voce. 

Infine per due volte ritorna l'invocazione decisiva, Fermare le guerre, Fermare la guerra. E alla seconda volta c'è una messa in scena di impronta biblica: 



Quei grandi infermi che una piaga interiore corrode, abbracciano con lo sguardo lo sconcerto degli elementi: osservano sulla montagna l'esplosione dei colpi di tuono che sollevano nuvole orizzontali, come un mare, e ognuno di questi lancia nel crepuscolo, allo stesso tempo, una colonna di fuoco e una colonna di nembo 


Alla fine c'è una profezia: sono gli schiavi che detengono nelle loro mani l'avvenire del mondo. 
Tutti possono vedere la retorica sparsa a piene mani e del pari la facilità corriva dell'argomentazione. Sfrondati gli aspetti esteriori di abbellimento, resta una verità di fondo: la guerra come suicidio dell'Europa se non dell'umanità. Sta qui la grandezza di Barbusse, nell'intravedere una verità contrastata, dura, atroce, dietro le apparenze dello scontro all'ultimo sangue. 




Régis Debray 
De la cohésion à l'arrogance, les forces et les faiblesses du monde de l'Ouest
Le Monde, 19 luglio 2014


Credo che l'Occidente sia nato il giorno in cui Petrarca è salito sul Mont Ventoux. Perché l'Occidente è l'idea che si debba passare dalla contemplazione al dominio del mondo, e quindi non solo osservare il Monte Olimpo come hanno fatto i Greci, ma scalarlo.

Je crois que l'Occident est né le jour où Pétrarque est monté sur le mont Ventoux. Car l'Occident, c'est l'idée qu'il faut passer de la contemplation à la domination du monde, et donc pas seulement observer le mont Olympe comme le faisaient les Grecs, mais le gravir.

Nessun commento:

Posta un commento