Michele Salvati
Corriere della sera, 3 novembre 2014
Un totus politicus come Renzi nutre un comprensibile scetticismo per i
programmi e per gli intellettuali che si dilettano a scriverli: il
messaggio è affidato ad atti politici, a fatti, dichiarazioni, annunci,
atteggiamenti. E dagli atti compiuti sinora mi sono fatto l’idea delle
sue convinzioni politiche — della sua visione del mondo e dell’Italia —
che provo a riassumere schematicamente nei seguenti cinque punti.
(a) L’orientamento ideologico di fondo è una versione del liberalismo di
sinistra, attento non solo alle «libertà da», ma anche ad effettive
«libertà per», ad una ragionevole uguaglianza di opportunità per le
persone socialmente più svantaggiate, nella misura in cui è possibile
assicurarla dati i vincoli economici e sociali che oggi l’ostacolano.
Vincoli che però lentamente possono essere rimossi. Si tratta dunque di
un liberale, non di un socialdemocratico. Come liberale non arriva agli
estremi della signora Thatcher («ci sono gli individui, una cosa come la
società non esiste»), ma non intende legarsi agli interessi di gruppi
sociali organizzati e alle loro rappresentanze. Neppure a quelle dei
lavoratori dipendenti, ai sindacati, il nesso che invece caratterizza la
socialdemocrazia: per lui sono tutti lavoratori — «padroni» e
dipendenti — e l’importante è che tra loro ci siano rapporti
cooperativi, che le loro capacità siano valutate e premiate, che
l’occupazione si estenda e che nessuno si accaparri di rendite non
meritate.
(b) Questo ha come conseguenza che egli si rivolge al Paese nel suo
insieme, non ad una parte di esso. Vuole forse costruire un «partito
della nazione»? Ma tutti i grandi partiti che competono per il governo
non pongono limiti alle loro capacità di rappresentanza: chiunque
accetti i valori che Renzi sostiene e creda nella sua capacità di
attuarli può votare per lui, come in passato ha votato per Berlusconi
chiunque ha creduto nei valori da lui un tempo sostenuti.
(c) Come ogni liberale Renzi è convinto che in larga misura efficienza
ed equità viaggino insieme: l’Italia è ingiusta anche (e forse
soprattutto) perché è inefficiente, perché le amministrazioni pubbliche
non funzionano e non soddisfano le domande dei cittadini che ad esse si
rivolgono, spesso i più bisognosi; l’occupazione e dunque il benessere
ristagnano perché il mercato del lavoro funziona male, le imprese sono
troppo piccole e inefficienti e anche le più grandi ed efficienti vanno
incontro ai problemi recentemente esemplificati dal caso di Luxottica: è
questa la tesi sostenuta da economisti liberali come Pietro Reichlin e
Aldo Rustichini ( Pensare la sinistra , Laterza) che mi sembra Renzi
abbia fatto propria.
(d) Renzi è anche convinto che l’Italia, le cui inefficienze e
ingiustizie affondano in un lontano passato, richiede un lungo periodo
di manutenzione straordinaria. Non c’è un singolo grande problema di
riforma su cui concentrare le scarse risorse del Paese, ma numerosissime
inefficienze e ingiustizie che l’affliggono, sia nel settore pubblico
che nel privato: nel regime fiscale, nella scuola, nella magistratura,
in quasi tutti i comparti della pubblica amministrazione, nella
legislazione sul lavoro e sul welfare, nelle imprese e nel sistema
finanziario, nel Mezzogiorno, tutti cantieri che Renzi ha aperto o
intende aprire. Come poi un politico consapevole della difficoltà del
compito che si è addossato riesca ad essere (o a sembrare credibilmente)
così ottimista — un aspetto fondamentale della sua immagine pubblica — è
problema che sfugge alle mie capacità di comprensione. Ma io sono un
intellettuale pieno di dubbi e di paure, lui un politico.
(e) Se le cose sono così difficili, la prima delle riforme è «la riforma
del riformatore», un riassetto costituzionale, istituzionale ed
elettorale che dia al governo le risorse amministrative, regolamentari e
di consenso necessarie ad una lunga legislatura riformatrice guidata da
un unico partito, libero dalla necessità di compromessi. Di qui la
fragile alleanza sulla legge elettorale con Berlusconi, il quale
dovrebbe avere lo stesso interesse di Renzi a frenare l’avanzata di
Grillo. Olent ?, chiedeva Vespasiano contando i sesterzi ricavati dai
suoi gabinetti pubblici.
Forse voglio leggere troppo nella svolta di Renzi: dopo questi pochi
mesi di governo, non sono in grado di escludere che Renzi sia un
personaggio di caratura politica e intellettuale più modesta di come
l’ho rappresentato. E che di lui, più che prendere sul serio
l’ideologia, sarebbe il caso di scrivere una «fenomenologia», come fece
Umberto Eco per Mike Bongiorno più di cinquant’anni fa. In fondo —
potrebbero dire coloro cui Renzi sta antipatico di pelle — le riforme
che sta tentando sono assai simili a quelle che ha tentato, e in parte è
riuscito ad attuare Monti. O a quelle di Letta: anche queste
rispondevano ad un orientamento liberal-democratico. Vero. C’è però il
«piccolo» particolare che, con la sua innovazione
mediatico-organizzativa Renzi è riuscito a scalare e a far vincere (per
ora alle europee) un partito che quelle riforme o le ostacolava, o le
digeriva piuttosto male, ed ora, a seguito di una evidente mutazione
politico-ideologica — o si tratta dell’italico «correre in soccorso del
vincitore»? — sembra in grado di sostenerle con maggiore convinzione. Se
sarà veramente così, lo vedremo tra non molto.
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