Una presenza forte e innegabile non passa il tempo a riflettere su se stessa. E neppure si considera troppo facilmente minacciata. Il pensiero laico in Italia è invece in una situazione di evidente difficoltà, da anni. E non perché la Chiesa cattolica stia recuperando terreno. Alla fin fine è l'indifferenza o il calore contenuto sul terreno della fede il vero vincitore della partita nella società civile (*). E di fronte a questa realtà, il pensiero laico per parte sua non offre certo lo spettacolo di una ricchezza lussureggiante.
Antonio Carioti
Laicità secondo Urbinati
Ma è la politica che ha abdicato
Corriere della Sera, la Lettura, 22 settembre 2013
Nel libro a quattro mani Missione impossibile (Il Mulino, pp. 138, euro 14) Marco Marzano scrive che l'avanzata della secolarizzazione ha vanificato il tentativo della gerarchia ecclesiastica di egemonizzare la sfera pubblica italiana. Ma poi Nadia Urbinati denuncia i pericoli che corre la laicità in una "società monoreligiosa" quale sarebbe l'Italia. Si resta sconcertati. Forse perché il nodo non è la "tradizione culturale" cattolica, che era ben più solida al tempo delle leggi su divorzio e aborto, ma l'inconsistenza della politica, oggi pronta ad assecondare le spinte confessionali pur di ricevere la benedizione della Chiesa. Questo è il vuoto che mina non solo la laicità, ma le basi stesse dello Stato.
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... il mondo cattolico italiano si compone anche di una minoranza di
fedeli particolarmente impegnati (circa il 20% della popolazione), in
cui rientrano i praticanti regolari e i membri delle molte associazioni
i cui rappresentanti si sono riuniti alcuni giorni fa a Todi a parlare
di politica. Tuttavia, richiamando un'immagine del cardinal Martini,
oltre ai «cristiani della linfa», vi sono quelli «del tronco, della
corteccia e infine coloro che come muschio stanno attaccati solo
esteriormente all'albero». Per cui, a fianco di credenti convinti e
attivi, è larga la quota di popolazione che continua ad aderire alla
religione della tradizione più per i buoni pensieri che essa evoca che
come criterio di vita, più per l'educazione ricevuta che per specifiche
convinzioni spirituali.
Franco Garelli
La religione, un bene rifugio per rispondere alla crisi
La Stampa, Vatican Insider, 2 novembre 2011
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Una politica senza religione di Giovanni De Luna
Politica e religione sconfitte dal mercato
di Simonetta Fiori
la Repubblica, 22 settembre 2013
La credibilità d’una classe politica si misura dalla sua capacità di
costruire una “religione civile”? Se è vero questo assunto, su cui si
regge il nuovo argomentato saggio di Giovanni De Luna, se ne ricava un
giudizio sconsolato sul presente. E verosimilmente sul futuro.
Mai come negli ultimi decenni la politica italiana ha dato prova di un
vuoto colossale di valori e simboli, di principi, regole e memorie,
anche “tradizioni inventate”, capaci di toccare le menti e i cuori dei
singoli individui. Un deserto che ha contrassegnato non solo la “destra
berlusconiana” millantatrice di un illusorio benessere e la “destra di
Monti”, appiattita sul “culto dello spread”, ma anche quella
«costellazione di feudi assetati di potere» in cui si è risolto il
Partito democratico. Né si salva un nuovissimo attore come Grillo,
artefice di un albero genealogico affollato di “morti per caso”,
subalterno al “paradigma vittimario” della seconda Repubblica fondato
sul dolore e sul lutto. Non c’è più “religione” nella politica italiana,
dove per “religione” De Luna intende non certo una fede confessionale o
una concezione sacralizzata del potere, ma «la costruzione di uno
spazio pubblico di appartenenza e di cittadinanza». E una politica che
non produce simboli, ammonisce lo storico, «si riduce alla semplice
amministrazione tecnica dell’esistente».
Ma le classi dirigenti
italiane sono mai state capaci di costruire una proposta forte di valori
civili ed etici? Qui interviene lo sguardo lungo dello studioso che
ripercorre una vicenda accidentata fin dalle origini della storia
nazionale. Se nell’Italia liberale il progetto di “fare gli italiani” fu
compromesso dal trasformismo, sotto il regime di Mussolini le cose
andarono anche peggio. E nel lungo dopoguerra i due più grandi partiti,
pur svolgendo una preziosa opera di «alfabetizzazione politica di masse
spoliticizzate», continuarono a opporre religioni diverse e
contrapposte. Anche il rilancio della Costituzione, negli anni Settanta,
viene giudicato da De Luna «un’occasione mancata», spazzata via da una
smisurata dilatazione dei partiti nello spazio pubblico. Fino alla
“mutazione genetica” della stagione successiva, con la trasformazione
delle forze politiche «in un ceto poco differenziato sul piano dei
valori e molto intraprendente sul piano delle carriere». È qui che
comincia quella “politica esangue”, “senz’anima”, destinata a soccombere
soprattutto “nelle fasi di discontinuità”, quando le viene richiesto di
produrre una nuova tradizione capace di confrontarsi con un panorama
radicalmente modificato.
Alla “carestia morale” della politica
nell’ultimo ventennio è corrisposta una Chiesa cattolica sempre più
ingombrante, celebrata come «unico collante capace di tenere insieme gli
italiani». Un progetto egemonico che ha trovato un pericoloso
concorrente in una religione non meno pervasiva e potente, che è quella
incarnata dal mercato. Alla “religione dei consumi”, che contamina la
stessa fede cattolica (il mercimonio intorno a padre Pio) e invade
territori di sua appartenenza come la vita e la morte, il sesso o i
processi di formazione degli adolescenti,sono dedicati gli ultimi densi
capitoli, con efficaci descrizioni di cimiteri trasformati da “luogo di
lutto” a “luogo del loisir”.«Incalzati dal mercato», annota De Luna,
«laici e cattolici sono oggi come due eterni duellanti, impegnati in uno
scontro che prosegue sempre più stancamente: esausti e incapaci di
accorgersi che il terreno del duello è cambiato e che stanno per essere
sconfitti entrambi».
Vie d’uscita? La ricostruzione di De Luna, non
priva di accostamenti inediti, approda a un epilogo malinconico.
Esauriti i partiti di massa, nell’era del web e dei nuovi media, l’unica
tradizione politica che gli italiani sono stati capaci di conservare è
il populismo. Non una grandissima eredità. Sulla quale – conclude lo
studioso – urge un leopardiano esame di coscienza.
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