Mauro Calise
l'Unità, 10 settembre 2013
È in edicola il numero di settembre di «Italianieuropei». Nel fascicolo
il «Laboratorio partito», focus sul Pd che si accinge a una difficile
fase congressuale per ridefinire profilo e strategie. Tra i saggi
pubblicati proponiamo ai lettori de l’Unità quello di Mauro Calise.
COME È POSSIBILE, COME È SPIEGABILE CHE IL PD CI SIA RICASCATO ANCHE
STAVOLTA? CHE ANCHE QUESTA CAMPAGNA GIÀ VINTA SIA STATA PERSA SULLO
STESSO FRONTE, per lo stesso tallone d’Achille per il quale la sinistra,
da almeno vent’anni, cede il passo al centrodestra? Per quale atavica
maledizione la cultura degli ex comunisti e degli ex democristiani resta
ostile, anzi addirittura estranea, alle regole anche le più elementari
della comunicazione, che si tratti di vecchi o nuovi media?
Tra tutte
le democrazie occidentali, i leader e i militanti del Pd sono i soli
che si ostinano a credere che McLuhan fosse un parolaio. Ciò che conta è
il contenuto del messaggio, non il contenitore e la sua forma: in barba
a cinquant’anni di storia, i democratici restano convinti che the
message is the media. Non si tratta solo di fare il processo, a
proposito, non l’ho ancora letto, alla peggiore campagna elettorale
italiana di questo secolo. Né di prendersela basta e avanza Crozza con i
limiti di un candidato premier che, almeno, ha avuto sempre l’onestà di
ribadire di non voler cambiare la propria personalità e il proprio
stile. Il nodo è più radicale. Riguarda la profonda incomprensione, ai
vertici come alla base del partito, del ruolo che la comunicazione
svolge come vero e proprio codice genetico della società contemporanea.
Per cui non è più uno dei canali attraverso cui la politica funziona, ne
è diventato il motore. O, se preferite, il corpo. E, al tempo stesso,
le ha rubato l’anima.
Il successo strepitoso di Grillo suona, per il
Pd, come una riedizione riveduta e corretta e tecnologicamente
aggiornata dello stesso meccanismo che aveva consentito a Berlusconi di
sbaragliare in pochi mesi la «gioiosa macchina da guerra» con cui
Achille Occhetto si era illuso di poter vincere le elezioni. Ancora una
volta una vittoria certa si trasforma in bruciante sconfitta per
l’emergere di una leadership carismatica che crea, quasi dal nulla, un
ingentissimo seguito elettorale affidandosi allo sfruttamento strategico
di un canale di comunicazione mediatica.
In questo caso, l’amarezza
dell’occasione mancata è aggravata dal fatto che Grillo solo in parte ha
attinto al serbatoio della destra qualunquista e conservatrice che si
era precipitata al seguito del Cavaliere. Una parte molto consistente
del voto ai cinquestelle documentano Fabio Bordignon e Luigi Ceccarini
proviene dall’elettorato di sinistra e da una quota predominante delle
fasce più giovani. E un’ulteriore e peggiore aggravante viene dal fatto
che la televisione, dopotutto, era il dominio – anche privato – del
Cavaliere. Ma come è stato possibile farsi prendere in contropiede sul
web, che dovrebbe rappresentare il terreno naturale di coltura e di
crescita di una organizzazione come il Pd, che ha alla base del proprio
programma il cambiamento della società?
LA SOCIETÀ DELLA E-DEMOCRACY
Rosanna
De Rosa nel libro che fa il punto sulla cittadinanza digitale ci
ricorda che, quando Berlusconi scese in campo, gli utenti Internet erano
solo lo 0,4% della popolazione mondiale; ma già nel 2000, con
l’esplosione della blogosfera, «la percentuale era salita al 5,9%, e
oggi un quarto della popolazione mondiale è in rete, un miliardo dei
quali ha un profilo su Facebook». Nel frattempo, la e-democracy, rimasta
per un ventennio poco più che un laboratorio di promesse non mantenute,
diventava la nuova frontiera per conquistare la Casa Bianca. Nelle
primarie del 2003-04 c’è l’exploit di Howard Dean, un outsider che
sfiora un successo clamoroso grazie all’uso sistematico per la prima
volta della rete in una campagna presidenziale. Facendo da apripista a
Barack Obama che, quattro anni dopo, dovrà la propria vittoria
all’appoggio di Move On, coi suoi tre milioni di iscritti, e alla
straordinaria capacità di intercettare finanziamenti da una amplissima
platea di simpatizzanti, quotidianamente sensibilizzati sui temi chiave
della sfida con i repubblicani. Riversando poi gran parte dei fondi
nell’acquisto di spazi televisivi costosissimi nei momenti di massima
audience. Questo schema sarà ripetuto e perfezionato per le elezioni del
2012, anche grazie alla possibilità di utilizzare i database di alcuni
dei più importanti motori di ricerca per sofisticatissime operazioni di
targetting. Facendo già intravedere la fusione tra la capacità di
diffusione virale della rete con la centralizzazione carismatica del
messaggio da parte del leader.
Questo nuovo know-how tecnologico
della strategia elettorale era, dunque, ben conosciuto, ottimamente
documentato e a disposizione di chiunque volesse farne una leva di
intervento. Durante un intero decennio, per il Pd è come se il tutto
fosse avvenuto su un altro pianeta, inaccessibile e incommensurabile. Ma
non per Grillo e il suo mentore telematico Casaleggio. Nel volgere di
cinque anni, un bravo comico che era solito chiudere i suoi spettacoli
fracassando un computer sul palcoscenico diventa il leader di un nuovo
monstrum politico: un partito superpersonale virtuale. A conferma che la
comunicazione oggi, ancor più di ieri, è il presupposto oltre che il
volano dell’organizzazione. Oltre, ovviamente, che il requisito per la
comprensione e la gestione dei processi di innovazione tecnologica
grazie ai quali il popolo della rete non è imploso, vittima della
propria crescita esponenziale.
Sono due i principali meccanismi o,
più precisamente, ambienti procedurali e regolativi che impediscono la
frammentazione del mondo che ruota intorno a internet. Come i grandi
motori di ricerca prima Aol, poi Yahoo! e Google avevano, coi loro
algoritmi e cookies, messo ordine nella galassia infinita delle
informazioni in rete, così spetterà ai blog e ai social network
trasformare l’anomia della rete in un ambiente ricchissimo di legami
sociali e capace di esprimere opinioni collettive. In alcuni aspetti
salienti, la nascita della blogosfera ricalca in pochissimi anni il
percorso habermasiano che aveva portato, nell’arco di due secoli, alla
formazione della moderna opinione pubblica. I blog rappresentano,
infatti, la crescita di una nuova élite culturale e, al tempo stesso,
l’affacciarsi e il consolidarsi di un rapporto sempre più dinamico con i
media tradizionali. Non appena i blog riescono a far emergere,
dall’oceano indistinto della rete, le notizie e i temi più trendy, la
stampa si affretta a rilanciarli, soprattutto attraverso le proprie
testate online (...).
Qualsiasi sforzo di aggregazione delle opinioni
quasi pubbliche espresse attraverso il web sarebbe, nondimeno,
inimmaginabile senza il lavoro sotterraneo di creazione di un vero e
proprio tessuto sociale della rete. La dimensione social introdotta dai
network personalizzati, come Twitter e Facebook, non ha niente a che
vedere con la categoria di società che è a fondamento
dell’organizzazione moderna della vita. Anzi ne rappresenta, per molti
aspetti, la sua crisi e destrutturazione. Al posto di classi e ruoli che
hanno reso funzionante, gerarchicamente ripartita e, in qualche misura,
prevedibile la società sviluppatasi intorno al macchinario satanico
della rivoluzione industriale, i social network fanno emergere un
infinito reticolo di molecole che si attraggono o si respingono in modo
del tutto spontaneo (...).
Ricalcando il percorso aristotelico da cui
nasce l’idea stessa di politica, anche la politica in rete prende forma
e trova ancoraggio nello sviluppo della socialità. Così come nella
lezione sartoriana lo zoon politikon di Aristotele era, in primis, un
animale sociale, così anche il netcitizen comincia a prendere forma solo
dopo essere riuscito a inserirsi e immedesimarsi nei nuovi circuiti
social. Mentre per oltre trent’anni lo sperimentalismo democratico via
Internet era rimasto confinato agli spazi e agli effetti di piccole
eutopie, con la nascita e la fulminante espansione dei social network
l’e-democracy trova finalmente un suo zoccolo duro, un radicamento, una
prassi ben collaudata da cui cercare di spiccare il salto alla conquista
del politico.
SE NE PARLI AL CONGRESSO PD
A quest’appuntamento,
la sinistra italiana è clamorosamente mancata. E il vuoto è tanto più
profondo perché la rivoluzione di Internet interseca tutti i settori più
vitali della società. Per limitarsi all’esempio più importante,
l’intero percorso formativo si sta digitalizzando. Ma lo fa su scala
globale, rischiando di lasciare al palo quei contesti geoculturali che
continuano a opporre resistenze. Nelle nostre scuole medie, i libri di
testo solo ora stanno cominciando ad adeguarsi ancora lentamente e con
una qualità quasi sempre scadente alle pratiche connaturate alla
generazione dei nativi digitali, improntati alla sindrome di amazoogle:
cercare e trovare online i materiali che ti servono. Resistenze, se
possibile, ancora maggiori si riscontrano all’interno delle università,
dove i ministri di centrodestra con la complicità di quelli di sinistra
sembrano aver risolto il problema dividendolo in due campi separati: da
un lato, le cosiddette «telematiche», aziende private con licenza di
laureare, che erogano corsi a distanza lautamente retribuiti;
dall’altro, le statali, che non hanno risorse e stimoli per affrontare
la sfida che, tra pochi anni, rischia di metterle fuori mercato.
Il
nuovo format dell’educazione in rete, l’insegnamento in modalità Mooc
(Massive open online courses), ha reclutato, nel 2012, oltre venti
milioni di studenti. Coinvolgendo i principali e più prestigiosi college
americani, ma anche molte università di taglia media che cercano di
rimanere a galla sperimentando un modello di business misto, in cui i
corsi a distanza integrano quelli molto più onerosi in presenza (...).
Per chi scrive, resta un mistero doloroso come mai la sinistra, e in
primis il suo maggior partito, non sia schierata per fare di Internet e
del suo rapporto con la scuola la sua testa possibilmente pensante di
ponte in un ambiente sociale fertilissimo di stimoli e avidissimo di una
rappresentanza che continua a essergli negata. O meglio, che è riuscito
a trovare, in extremis e spesso in modo confuso, nella disponibilità
del M5S. Una disponibilità non limitata ai contenuti e alla libera
espressione, ma che ha investito anche il nodo più delicato: il
reclutamento di un nuovo ceto politico.
Nessuno pensa che Internet
possa essere la panacea per la crisi politica profondissima in cui il
Paese si dibatte. Né una scorciatoia palingenetica per l’iter complesso e
faticoso di selezione di una classe parlamentare in grado di governare
processi deliberativi e decisionali sempre più complessi. Ma non v’è
dubbio che l’ingresso in Camera e Senato dei cittadini venuti dal web
abbia, per il Pd, il gusto amaro di un’occasione mancata. Ancor più
visti i profili di neodeputati e neosenatori, molti dei quali sono
apparsi fin dagli esordi dotati di una propensione
all’autodeterminazione non facilmente conciliabile con il dirigismo
autocratico che caratterizza gli interventi di Grillo. La partita,
tuttavia, non è chiusa. Si va ai tempi supplementari. E possiamo ancora
sperare che al centro del prossimo congresso non ci sia solo la
discussione su «cosa» dire, ma anche una riflessione su «come» (...).
Visto dall’esterno, il ritardo potrebbe apparire incolmabile. Ma,
dall’interno, non si può mollare. Provaci ancora, Pd.
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