venerdì 9 maggio 2014

Papa Francesco, la misura piena della novità

Gian Enrico Rusconi
Papa Francesco, la solitudine del rivoluzionario
Bergoglio e i cambiamenti nella Chiesa, bestseller al Salone. Ma un libro di Marco Politi: quale sarà l’approdo?

La Stampa, 8 maggio 2014

Si sente una nuova sottile amarezza nelle espressioni pubbliche di papa Francesco alla fine del suo «primo anno di grazia». I temi della «tenerezza» e della «misericordia» lasciano il posto all’accorata denuncia della ricerca della vanità, del potere, del denaro. Particolarmente dure ed esplicite sono le critiche agli uomini di Chiesa che non sono all’altezza della loro missione.
Nell’enfasi pubblica che accoglie sistematicamente ogni parola o raccomandazione del Pontefice, si percepisce la delusione che alle parole non seguono gli attesi pronti mutamenti concreti nella realtà ecclesiale e sociale. Bergoglio è troppo intelligente per non capire che la continua evocazione della sua «rivoluzione» a fronte dell’immobilismo della comunità ecclesiale e civile, cui è rivolta, rischia di logorarsi come mero annuncio mediatico.
«Si sentono applausi scroscianti da tutte le parti e al contempo si avverte una grande inerzia nelle strutture ecclesiastiche», scrive Marco Politi nel suo libro Francesco tra i lupi. Il segreto di una rivoluzione (Laterza, 2014), uno studio che è tra i più informati e attenti al fenomeno Bergoglio.
L’interesse del lavoro sta anche nel modo in cui è costruita la narrazione e la documentazione. Testimonia – forse senza volerlo – l’evoluzione di giudizio degli osservatori simpatetici verso il Papa. Si trovano davanti ad una personalità che si rivela assai più complessa e difficile da capire, dotata di qualità e limiti che contrastano sia le entusiastiche valutazioni iniziali che le irritate stroncature.
Del libro di Politi vorrei qui mettere in evidenza soltanto alcuni passaggi, che portano a quesiti cruciali aperti. Dopo una acuta analisi del predecessore Ratzinger e della dinamica interna del Conclave («Il colpo di stato di Benedetto XVI», «I segreti del conclave anti-italiano») sorge il dubbio se tutti i cardinali elettori conoscessero davvero il nuovo eletto Bergoglio. A questo proposito sono preziose le pagine del libro dedicate alla sua biografia, le vicende pregresse di Superiore generale dei gesuiti, il difficilissimo periodo della dittatura argentina e l’esperienza di arcivescovo di Buenos Aires. Viene fuori una personalità di pastore tutt’altro che politicamente disarmato, ma abile nel muoversi in una società complessa, civile e clericale. «A Buenos Aires negli ambienti cattolici e no, il giudizio sulle qualità di Bergoglio come dirigente è unanime. E’ un uomo di comando, dicono». Ma non meno straordinaria è l’autocritica che Bergoglio fa retrospettivamente proprio su questo punto, ripromettendosi di avere un atteggiamento di paziente attenzione verso tutti.
Il Papa che viene dalla «fine del mondo» non è uno sprovveduto né per esperienza, né per cultura, né per dottrina. Ma probabilmente ha sottovalutato la resistenza ( dei suoi stessi grandi elettori) a innovare davvero gli atteggiamenti pastorali, riaprendo anche implicitamente una riflessione dottrinale. Ma su questo punto sembra solo. Non a caso gli si rimprovera una certa leggerezza dottrinale nella controversa problematica della «pastorale della famiglia». Su questo si arriverà presto ad un confrontoscontro sulla questione (apparentemente marginale) dell’eucarestia per i credenti divorziati e risposati.
Credo che Papa Bergoglio sia consapevole che la posta in gioco non sia soltanto pastorale ma dottrinale . Ma è un modo concreto di affrontare il tema del «peccato» , che è stato toccato soltanto genericamente in uno dei dialoghi «laici» dell’inizio del suo pontificato che tanto hanno contribuito a creare la sua immagine pubblica. Non è stata semplicemente la sua personalità umana ma i suoi strappi verbali e una implicita ermeneutica dottrinale innovativa a sdrammatizzare il contrasto tra credente e non credente, spiazzando anche molti laici nostrani. «Al Papa argentino è del tutto estranea l’idea che l’essere atei provochi sofferenza e porti alla decadenza dell’umano» – ricorda Politi. Ma mi chiedo quali conseguenze pratiche avrà questo atteggiamento sul contenzioso sempre aperto nel nostro paese sui diritti civili e personali che sinora ha dovuto fare i conti con la barriera dei «valori non negoziabili»?
Il giudizio di Politi sembra sospeso come su altre questioni. Parlando del «programma della rivoluzione» lo sintetizza così: riformare la Curia rendendola più snella ed efficiente, fare pulizia nella banca vaticana e promuovere la collegialità, instaurando consultazioni frequenti tra il Pontefice, il collegio cardinalizio (istituito, con esplicito compito di sostegno al Pontefice) e le conferenze episcopali. Notoriamente sono iniziative di cui si parla in continuazione e di cui si vedono soltanto i primi passi. Ma il bilancio del primo anno di pontificato vede crescere le difficoltà. «Benchè abbia un programma, Francesco in realtà ignora l’approdo a cui perverrà», scrive Politi.
In realtà la carta vincente non sarà la persona del Papa, per quanto straordinaria essa sia, ma l’attivazione di una effettiva collegialità dei vescovi. Ma è una prospettiva che al momento è remota.

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