mercoledì 29 gennaio 2025

Il tema dell'appeso in Calvino

 carta dell'appeso è l'immagine che chiude la storia dell'Orlando pazzo per amore nel libro di Calvino "



Il barone rampante (1957)

Dall'albero più alto Cosimo nella smania di godere fino in fondo quel diverso verde e la diversa luce che ne traspariva e il diverso silenzio, si lasciava andare a testa in giù e il giardino capovolto diventava foresta, una foresta non della terra, un mondo nuovo.

Il castello dei destini incrociati (1973) 

Le più tristi previsioni furono confermate dalla carta che venne poi, cioè l'arcano dodicesimo, detto Il Penduto, dove si contempla un uomo in brache e camicia, legato a testa in basso, appeso per un piede. Riconoscemmo nell'appeso il nostro giovane biondo: il brigante l'aveva spogliato d'ogni avere, e lasciato a penzolare da un ramo, a testa in giù. 


Nell'ultima carta si contempla il paladino legato a testa in giù come L'Appeso. E finalmente ecco il suo viso diventato sereno e luminoso, l'occhio limpido come neppure nell'esercizio delle sue ragioni passate. Cosa dice? Dice: - Lasciatemi così. Ho fatto tutto il giro e ho capito. Il mondo si legge all'incontrario.



Le città invisibili (1971)
Bersabea

Si tramanda a Bersabea questa credenza: che sospesa in cielo esista un'altra Bersabea, dove si librano le virtù e i sentimenti più elevati della città, e che se la Bersabea terrena prenderà a modello quella celeste diventerà una cosa sola con essa. L'immagine che la tradizione ne divulga è quella d'una città d'oro massiccio, con chiavarde d'argento e porte di diamante, una città-gioiello, tutta intarsi e incastonature, quale un massimo di studio laborioso può produrre applicandosi a materie di massimo pregio. Fedeli a questa credenza, gli abitanti di Bersabea tengono in onore tutto ciò che evoca loro la città celeste: accumulano metalli nobili e pietre rare, rinunciano agli abbandoni effimeri, elaborano forme di composita compostezza.
Credono pure, questi abitanti, che un'altra Bersabea esista sottoterra, ricettacolo di tutto ciò che loro occorre di spregevole e d'ingegno, ed è costante loro cura cancellare dalla Bersabea emersa ogni legame o somiglianza con la gemella bassa. Al posto dei tetti ci si immagina che la città infera abbia pattumiere rovesciate, da cui franano croste di formaggio, carte unte, resche, risciacquatura di piatti, resti di spaghetti, vecchie bende. O che addirittura la sua sostanza sia quella oscura e duttile e densa come pece che cala giù per le cloache prolungando il percorso delle viscere umane, di nero buco in nero buco, fino a spiaccicarsi sull'ultimo fondo sotterraneo, e che proprio dai pigri boli acciambellati laggiù si elevino giro sopra giro gli edifici d'una città fecale, dalle guglie tortili.
Nelle credenze di Bersabea c'è una parte di vero e una d'errore. Vero è che due proiezioni di se stessa accompagnino la città, una celeste e una infernale; ma sulla loro consistenza ci si sbaglia. L'inferno che cova nel più profondo sottosuolo di Bersabea è una città disegnata dai più autorevoli architetti, costruita coi materiali più cari sul mercato, funzionante in ogni suo congegno e orologeria e ingranaggio, pavesata di nappe e frange e falpalà appesi a tutti i tubi e le bielle.
Intenta ad accumulare i suoi carati di perfezione, Bersabea crede virtù ciò che è ormai un cupo invasamento a riempire il vaso vuoto di se stessa; non sa che i suoi soli momenti d'abbandono generoso sono quelli dello staccare da sé, lasciar cadere, spandere. Pure, allo zenit di Bersabea gravita un corpo celeste che risplende di tutto il bene della città, racchiuso nel tesoro delle cose buttate via: un pianeta sventolante di scorze di patata, ombrelli sfondati, calze smesse, sfavillante di cocci di vetro, bottoni perduti, carte di cioccolatini, lastricato di biglietti del tram, ritagli d'unghie e di calli, gusci d'uovo. La città celeste è questa e nel suo cielo scorrono comete dalla lunga coda, emesse a roteare nello spazio dal solo atto libero e felice di cui sono capaci gli abitanti di Bersabea, città che solo quando caca non è avara calcolatrice interessata.

La foresta-radice-labirinto (1981)

La fiaba racconta di un re, Clodoveo, che sta ritornando dalla guerra alla sua città, ma si perde con tutto il suo esercito nell'inestricabile foresta che è cresciuta intorno all'abitato. Una foresta che è come un labirinto con le radici che sembrano rami e i rami che sembrano radici. Altri si perdono insieme a lui e al suo fedele scudiero Amalberto e al suo esercito: la sua seconda moglie Ferdibunda e il ministro Curvaldo, che stanno tramando una congiura contro il re, la buona figlia Verbena e il suo innamorato Mirtillo. 



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