Gabriella Mongardi
Margutte
Donna Anna è la figlia del Commendatore, fidanzata con Don Ottavio, e il padre di lì a poco si batterà in duello per lei con l’ignoto seduttore, rimanendone ferito a morte: ma le prime parole che lei canta non sono proprio l’invocazione di aiuto di una donna che ha subito violenza… Lei cerca di trattenere l’uomo che (dopo averla amata? probabilmente sì, ma non lo sapremo mai con certezza…) vuole fuggire per non rivelarle la propria identità, e lo chiama “traditore”. Perché? Perché lo ha riconosciuto come un amico di famiglia che avrebbe dovuto rispettarla e invece ha tentato di approfittare di lei, o perché lei ama quell’uomo affascinante, che l’ha ‘vivificata’ con le sue parole e le sue carezze come Don Ottavio – ottima ma insipida persona – non ha mai saputo fare, e non vuole essere abbandonata da lui? E la sua “furia disperata” nasce dal sopruso subito o dalla paura di ripiombare nella banalità di una vita prevedibile, scontata? La “persecuzione” che lei minaccia a Don Giovanni è la vendetta di una vittima di violenza o quella di una donna innamorata, a cui la società comunque nega di vivere secondo il suo cuore, di autodeterminarsi?
Né Da Ponte né Mozart danno risposte esplicite a queste domande, che lo spettatore non può non porsi – del resto non possono spingersi molto più in là, siamo ancora nell’Ancien Régime, la mentalità dominante è di un certo tipo, le prime rivendicazioni femministe sono molto di là da venire… Però gli interventi di Donna Anna sono sempre sospesi tra amore e odio. Tra cento affetti e cento / vammi ondeggiando il cor canta alla fine della Scena terza dell’Atto primo, in duetto con Don Ottavio, e non si può escludere che tra questi “affetti” ci sia anche la passione per lo sconosciuto amante di una notte…La versione di Anna è quella ufficiale, l’unica accettabile… per tutti, inclusa lei. Ma le regie moderne (come quella di Claus Guth a Salisburgo nel 2008, con Christopher Maltman Don Giovanni, Erwin Schrott Leporello, Svetlana Doneva Donna Anna, Pavel Breslik Don Ottavio, Ekaterina Siurina Zerlina, Alex Esposito Masetto, Anatoli Kotscherga Commendatore, Dorothea Röschmann Donna Elvira e i Wiener Philharmoniker diretti da Bertrand de Billy) la pensano ben diversamente.
Altre parole sparse di Donna Anna confermano questo sospetto.
Nella scena 19 del primo atto quando, mascherata insieme con Donna Elvira e Don Ottavio, sta preparando un trabocchetto per smascherare Don Giovanni, canta: temo pe ‘l caro sposo / e per noi temo ancor. Chi è il caro sposo? Ottavio o Giovanni? Ma Ottavio, non è già compreso nel “noi”?
Ancora. Perché, vedendo Zerlina durante il ballo alla fine del primo atto (scena 21), dice Io moro? Di gelosia forse? Perché, nel concitatissimo finale del primo atto, dà di nuovo del traditore a Don Giovanni, senza motivo? E quando, nel secondo atto, alla scena 13, Donna Anna canta a Don Ottavio: «Abbastanza per te mi parla amore», siamo sicuri che nel suo cuore pensi a lui e non piuttosto a Don Giovanni? Infine: quando in chiusura, dopo che Don Giovanni è morto, Donna Anna chiede a Don Ottavio, che vorrebbe sposarla in breve tempo, di lasciarle un anno ancora / allo sfogo del suo cor, viene il dubbio che il suo cuore sia in lutto non solo per il padre, ma anche per Don Giovanni…
Con la figura di Donna Anna Da Ponte si rivela un maestro nello sfruttare l’ambivalenza del linguaggio e l’alone di ambiguità che il contesto riverbera sul discorso: un maestro nell’arte del dire-e-non-dire, sulle orme di quel maestro del doppio senso che fu Torquato Tasso. Con una differenza fondamentale: nel “dramma giocoso” del Settecento il dire-e-non-dire è un modo per sfumare, alleggerire, ammiccare; nell’autore controriformista era l’unico modo per ‘dire’, sottraendosi all’opprimente cappa di piombo della censura e, prima ancora, all’auto-censura. Nel suo poema eroico, la Gerusalemme Liberata, i protagonisti sono tutti prigionieri di un sogno impossibile, in perenne conflitto tra essere e dover essere. È sulle labbra di Erminia, la principessa mussulmana innamorata del Crociato Tancredi, che risuona limpidamente questo tema. I Crociati sono arrivati a Gerusalemme, e il sovrano Aladino sale con Erminia sulle mura perché lei gli indichi i comandanti nemici: Erminia infatti era in grado di riconoscerli perché era stata a lungo prigioniera nel campo cristiano. Proprio durante la prigionia si era innamorata di Tancredi. Queste le sue parole, quando scorge le insegne di Tancredi (Gerusalemme Liberata III, ott. 19-20):
“Oimè! bene il conosco, ed ho ben donde
fra mille riconoscerlo deggia io,
ché spesso il vidi i campi e le profonde
fosse del sangue empir del popol mio.
Ahi quanto è crudo nel ferire! a piaga
ch’ei faccia, erba non giova od arte maga.
Egli è il prence Tancredi: oh prigioniero
mio fosse un giorno! e no ’l vorrei già morto;
vivo il vorrei, perch’in me desse al fero
desio dolce vendetta alcun conforto.”
E il narratore commenta:
Così parlava, e de’ suoi detti il vero
da chi l’udiva in altro senso è torto.
Che Da Ponte avesse presente questi versi lo provano le parole cantate da Donna Anna nel finale del secondo atto, in cui è chiaramente avvertibile un’eco tassesca: Solo mirandolo / stretto in catene, / alle mie pene / calma darò.
Al di là delle differenze di tono, il doppio senso in entrambi gli autori non è un modo per simulare o ingannare, ma l’unico strumento per dar voce a un Desiderio altrimenti indicibile, il desiderio erotico femminile – è quindi, per le due donne, l’unico modo per esprimere l’autenticità profonda dell’Io…
Edda Moser |
Wolfgang Hildesheimer, Mozart, Rizzoli, Milano 1982, pp. 247-249.
... se ci chiedessimo come sarebbe questa musica nel caso Mozart avesse voluto rappresentare la passione di Donna Anna per Don Giovanni arriveremmo alla conclusione che sarebbe esattamente com'è.
https://operaomniablog.blogspot.com/2014/01/don-giovanni-17-donna-anna-lambivalenza.html
Il primo ad accorgersi, o per lo meno ad esplicitare l'ambiguità dei sentimenti di Donna Anna, è stato il grande Puškin, che nel microdramma “Il convitato di pietra” rimaneggia la vicenda rendendola inequivocabile. Del resto è stato lo stesso Puškin a sdoganare nel suo “Mozart e Salieri” la versione dell'avvelenamento di Mozart da parte del compositore rivale, cosa sicuramente non vera a livello storico ma di grande pregnanza e valore a livello immaginale e psicologico, perché ha colto tutto il lato terribile e distruttivo dell'invidia e il dramma di chi vive la genialità, che è sempre uno stato di grazia e un dono assoluto, come una terribile ingiustizia rispetto alla fatica e ai sacrifici di una vita spesa unicamente per raggiungere una meta impossibile al comune talento.
... Il conflitto che lacera l'animo di Donna Anna è quello tra il sentimento nobile, nutrito da una lunga “affinità elettiva” coltivata con Don Ottavio, e il coinvolgimento erotico-sessuale, che Don Giovanni le ha fatto conoscere in modo del tutto inatteso, anche brutale, ma che ha indubbiamente fatto riecheggiare una corda vitale, per quanto rimossa, anzi proprio perché rimossa più pronta ad esplodere e sentita come colpevole ed inconfessabile.
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