lunedì 6 gennaio 2025

Lo sblocco


Marco Galluzzo, L'apertura Usa sul caso Sala. La premier: è andata bene
Corriere della Sera, 6 gennaio 2025

ROMA «È andata bene, sono più che soddisfatta, siamo pronti a lavorare insieme in modo costruttivo e con un clima di reciproca fiducia». Dal muro di riserbo che Palazzo Chigi ha eretto sulla visita lampo di Giorgia Meloni in Florida, nella residenza privata di Donald Trump, filtra comunque il sollievo e il giudizio positivo del capo del governo. È stata poco meno di cinque ore a una cerimonia che aveva lei come ospite d’onore, accolta con tutto il rispetto che si deve ad un Paese alleato, ma fra decine se non centinaia di ospiti che erano lì nello stesso momento per una serata privata in cui si è proiettato anche un film, ovviamente sui difetti della giustizia americana.
I
l rientro a Roma di Giorgia Meloni è accompagnato dallo stesso clima che ha contraddistinto la missione americana: la regola del silenzio, una regola che ha stressato non poco anche il sistema istituzionale del nostro Paese. [...]
Uno schema che appare dettato anche dalle esigenze del caso di Cecilia Sala. E se pochissimo filtra come consuntivo della visita, il bilancio che affiora è positivo. A Palazzo Chigi rimarcano diverse cose, e in primo luogo che il confronto ha avuto un taglio esclusivamente politico e generale, visto che esistono ragioni legali per le quali un presidente eletto non può affrontare con capi di Stato stranieri, o con altri interlocutori, dossier concreti di politica interna o estera prima del giuramento. Per gli americani è un regola aurea, e per averla violata ci ha rimesso la testa, nel 2017, Michael Flynn, che ammise di aver trattato con la Russia prima ancora che Trump si insediasse. Una lezione che nel team di transizione americano hanno imparato, e sul quale la delegazione italiana è stata caldamente consigliata.
Ma se la cornice è questa non è comunque di buon senso immaginare che Meloni abbia trascorso poco meno di cinque ore a casa di Trump senza un confronto su diversi dossier. Sicuramente ci sono stati anche momenti di un faccia a faccia, lontano dalla delegazioni. Se Meloni e Trump non si sono chiusi nello studio di lavoro del presidente eletto, risulta al Corriere che hanno trascorso non poco tempo da soli. Ed è plausibile che un’eco di alcuni temi affrontati in modo generale di fronte ai rispettivi team ci sia stato, e siano stati approfonditi argomenti specifici: il primo in cima alla lista è il caso Sala, forse la ragione principale, anche se non l’unica, per la quale la premier ha deciso di compiere una visita quasi top secret. Almeno sino a quando non è diventata pubblica.
E proprio sul caso Sala, senza rivelare dettagli particolari, si coglie nel governo un moderato ottimismo. Le istruttorie in corso nella nostra amministrazione, alla Giustizia e agli Esteri, e nelle interlocuzioni con gli americani, autorizzano a nutrire un’aspettativa su una linea non radicale da parte degli Stati Uniti. Formalmente e sino al 20 gennaio il dossier è gestito dall’amministrazione Biden, che sarà a Roma in visita al Papa e alla stessa Meloni fra pochi giorni, ma una valutazione incrociata delle carte è in corso e la visita lampo di Meloni sembra aver confermato le impressioni che circolano ai vertici del nostro sistema. Abedini, l’ingegnere iraniano arrestato dalla nostra magistratura, ragione del ricatto politico che Teheran ha messo in piedi con la detenzione della giornalista italiana, non sembra una pedina di primo piano o imprescindibile, anche secondo la valutazione del team di transizione fra le due amministrazioni degli Stati Uniti. Un punto che appare consolidare una fiducia maggiore, nel governo, sull’intera vicenda.


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