Thomas Mann, Tonio Kröger, parte finale, trad. di S.T. Villani, Garzanti, Milano, 1992 [1903]
pagine conclusive
pagine conclusive
Tonio Kröger si trovava al nord, e scrisse a Lisaveta Ivanovna, la sua amica, come le aveva promesso.
Cara Lisaveta che ve ne state laggiù nell’Arcadia dove presto
ritornerò, scrisse. Eccole, allora una specie di lettera, ma ne resterà
delusa, perché intendo tenerla un po’ sulle generali. Non che non abbia
niente da raccontare, non che non abbia vissuto, a modo mio, questa o
quella esperienza. A casa, nella mia città natale, mi si voleva persino
arrestare… Ma di questo riferirò a voce. A volte, ora, ho dei giorni in
cui preferisco dire, con buone maniere, qualcosa di generale, piuttosto
che raccontare storie.
Si ricorda ancora, Lisaveta, di avermi definito, un giorno, un
borghese sviato? Lei mi definì cosi in un momento in cui io, trasportato
da altre confessioni che poco prima m’ero lasciato sfuggire, le
confessai anche il mio amore per quanto io chiamo «vita»; e mi domando
se lei sapesse di cogliere nel segno, se sapesse che la mia borghesia e
il mio amore per la «vita» sono una sola e medesima cosa. Questo viaggio
mi ha dato l’occasione di rifletterci sopra…
Mio padre, lei lo sa, aveva un carattere nordico: contemplativo,
profondo, corretto per puritanismo e tendente alla malinconia; mia madre
era di sangue esotico indefinito, bella, sensuale, ingenua, negligente e
al tempo stesso passionale, e d’una trascuratezza impulsiva. Senza
dubbio, certo, era una mescolanza questa, piena di possibilità
straordinarie… e pericoli straordinari. Ed eccone il risultato: un
borghese che s’è smarrito nell’arte, uno scapigliato nostalgico della
buona educazione giovanile, un artista con la coscienza sporca. In
quanto è proprio la mia coscienza borghese che mi fa scorgere in tutta
la vocazione artistica, in tutta la straordinarietà e in tutto
l’ingegno, qualcosa di profondamente ambiguo, profondamente malfamato,
profondamente dubbioso, che mi ricolma di debolezza innamorata per il
semplice, il candido, il piacevolmente normale, l’antigeniale e
decoroso.
Io sto tra due mondi, in nessuno sono di casa, e per tale motivo mi
trovo un po’ in difficoltà. Voi artisti mi chiamate borghese, e i
borghesi son tentati d’arrestarmi… non so quale delle due cose mi
addolori di più. I borghesi sono stupidi; voi adoratori della bellezza,
invece, voi che mi chiamate flemmatico e incapace d’idealità, dovreste
ricordarvi che c’è un modo di essere artisti così profondo, dall’inizio e
per destino, da non trovare ambizione più dolce e più delicata di
quella per le delizie della mediocrità.
Ammiro coloro che, fieri e impassibili, spregiando l'”uomo” si
avventurano sul sentiero della bellezza grande e demoniaca… ma non li
invidio. In quanto se c’è un che, in grado di fare d’un letterato uno
scrittore, quello è il mio amore borghese verso le cose umane, viventi e
mediocri. Tutto il calore, tutta la bontà, tutto il brio vengono da
quell’amore, e son quasi convinto sia lo stesso di cui sta scritto che
può parlare con lingua umana e angelica, senza però essere solo un
bronzo sonante o un tintinnante campanello.
Quanto io ho fatto non è nulla, non molto, quasi niente. Farò
qualcosa di meglio, Lisaveta… è una promessa. Mentre scrivo il mormorio
del mare arriva fin qui da me, e io chiudo gli occhi. E vedo un mondo
non ancora nato, allo stato di abbozzo, che vuole essere ordinato e
assumere forma, vedo brulicare ombre di figure umane, che fanno cenni a
me perché le esorcizzi e le redima: alcune tragiche, alcune ridicole e
certe che sono l’uno e l’altro allo stesso tempo… e a queste sono molto
affezionato. Ma il mio amore più profondo e più segreto è per i biondi,
per quelli dagli occhi azzurri, per i felici puri, per i fortunati, per
gli amabili e gli ordinari.
Non biasimi questo amore, Lisaveta; è buono e fecondo. Di desiderio
è fatto, e d’invidia malinconica e d’un certo sprezzo e d’una
grande, casta, beatitudine .
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