domenica 25 gennaio 2015

Leopardi e la prosa del mondo





Emanuele Trevi
Leopardi
Il più grande prosatore (e non solo) dell’800
Era uno di noi? No

Corriere della Sera La Lettura, 25 gennaio 2015



Senza mezzi termini, Nietzsche definì Leopardi «il più grande prosatore del XIX secolo». Credo che non si trattasse di una provocazione. Riconosceva in Leopardi qualcosa che gli assomigliava in maniera profonda e vincolante. Una prodigiosa capacità di sovvertire i luoghi comuni e le abitudini del pensiero in entrambi si era sviluppata nella più severa e conservatrice delle palestre mentali: la filologia classica. Un’indefessa attenzione al significato delle parole li aveva trasformati in eretici e in fin dei conti in emarginati. Furono talmente soli che la loro solitudine risalta più sul metro delle amicizie che delle inimicizie, perché anche coloro che li compresero e li ammirarono rimasero molto al di sotto delle vette che avevano raggiunto. Si può immaginare che Nietzsche, quando parla del «prosatore» Leopardi, non lo voglia contrapporre all’amato Stendhal, incapace di scrivere versi, né voglia dichiarare una preferenza per le Operette morali a scapito dei Canti . Il «prosatore», in qualunque maniera si esprima, è colui che antepone la verità dei fatti della vita a ogni forma di consolazione.



Questo amore della verità gli impedisce ogni forma di compromesso con il mondo, nel quale non ha chiesto di nascere e che di sicuro non è stato creato per lui. Ma soprattutto, l’esistenza, se considerata con occhi spogli da illusioni e ottimistiche chimere, non prevede nessun tipo di progresso. La vita naturale è cieca ripetizione, così come tutte le ideologie politiche che aspirano a una felicità collettiva poggiano su una premessa illogica. Come si può immaginare una «massa» di uomini felici, scrive Leopardi in una famosa lettera, se quella «massa» è composta da singoli individui, che non possono che essere infelici? Il 5 dicembre 1831, quando scrive queste parole a Fanny Targioni Tozzetti, Leopardi ha raggiunto il vertice della sua consapevolezza umana e filosofica. È davvero il più grande «prosatore», e pensatore, del suo tempo: un uomo che punta i piedi, che sa che il male è il male e che mai si potrà mischiare al bene in un’improbabile sintesi, religiosa o politica che sia. Che cosa resta da fare? Le soluzioni non possono che variare a seconda dei singoli caratteri.

Quanto a lui, ha deciso di imitare «i Turchi» con la loro sana abitudine «di sedere sulle loro gambe tutto il giorno, e guardare stupidamente in viso questa ridicola esistenza». Bisogna sempre stare attenti all’italiano di Leopardi, così vicino alle più pure sorgenti dei significati delle parole. Così, quando in una poesia definisce la vita «stupenda», significa che la vita suscita stupore. E il contemplare «stupidamente» il ridicolo dell’esistenza sarà tutt’altro che un atteggiamento stupido. Ma come poteva essere tollerato, questo impareggiabile «Turco», finito come un grano di pepe nella marmellata ottimista del suo tempo? E non si tratta solo dell’ingenuo e fervido Ottocento. La realtà è che ancora oggi quell’uomo spietato non lo possiamo tollerare. Continuiamo a interpretarlo tirandolo per la giacca. La gran parte della critica leopardiana è un immane tentativo di razionalizzazione e addomesticamento. In tutte le salse: incredibilmente, non sono mancate la socialista e addirittura la cattolica. Ma non è vero niente: lui non era dei nostri, non era come noi. Non ci teneva minimamente.

 



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Questa è la prosa del mondo quale appare alla propria e all'altrui coscienza, un mondo fatto di finitezza e di mutamenti, inviluppato nel relativo, oppresso dalla necessità, alla quale il singolo non è in grado di sottrarsi. Infatti ogni vivente isolato rimane nella contraddizione di essere a sé per se stesso come questo conchiuso uno, ma di dipendere al contempo da ciò che è altro, mentre la lotta per la soluzione della contraddizione non va oltre il tentativo di questa guerra permanente. (Georg Wilhelm Friedrich Hegel, "Estetica", Torino, Einaudi, 1967, p. 171)

... noi siamo natura, facciamo parte della sua «prosa»; essa non ci sta semplicemente di fronte, pronta ad essere indagata con un metodo piuttosto che un altro. Diego D’Angelo, Maurice Merleau-Ponty e la verità del naturalismo, "Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy" Vol. 1, n. 2 (2013) = Leopardi dà voce a quella prosa, sottraendosi alle illusioni del tempo


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