venerdì 9 gennaio 2015

Jünger e Genevoix visti da Bernard Maris




Maurice Genevoix






Ernst Jünger




















Bernard Maris





















 
Pierre Pachet
Due del 14
L'Indice

... Pierre Pachet, membro con Jean Lacoste e Tiphaine Samoyault della direzione editoriale della “Quinzaine”, è autore di un’ampia produzione saggistica, che spazia dal pensiero di Baudelaire alle vicissitudini culturali e politiche dell’Europa dell’Est (Pachet è di origine russa) e comprende testi autobiografici di una lucidità appassionata e rigorosa molto particolare. Grecista in origine, è il curatore della più recente e autorevole edizione francese della Repubblica di Platone. Uscito in apertura del primo numero di quest’anno della “Quinzaine” (n. 1096, 1°-15 gennaio 2014) con il titolo Deux de 14, l’articolo commenta il libro di Bernard Maris*, in cui l’esperienza della prima guerra mondiale, nell’occasione del centenario, è rivisitata attraverso le testimonianze, esemplari nelle loro contrapposte sensibilità e visioni, dei due grandi scrittori che si trovarono a combattere sui due opposti fronti in una medesima battaglia: Maurice Genevoix (1890-1980), autore di varie memorie e racconti pubblicati tra il 1916 e il 1923, poi raccolti nel volume Ceux de 14 (1949) ed Ernst Jünger, autore di Tempeste d’acciaio (1920; Guanda, 1990).

Con stupefacente delicatezza (trattandosi delle atrocità di massa della grande guerra) e con un costante sforzo d’imparzialità, in questo libro (L’homme dans la guerre. Maurice Genevoix face à Ernst Jünger, pp. 80, € 16,Grasset, Paris 2014) Bernard Maris rimette uno di fronte all’altro questi due combattenti in campi opposti, feriti lo stesso giorno sulla cresta di Les Éparges, nella Mosa, il 25 aprile 1915, per mettere a confronto il modo in cui hanno vissuto e descritto situazioni simmetriche. In realtà, sono anche due scrittori notevoli, benché Maurice Genevoix abbia paradossalmente un po’ sofferto del successo dei suoi racconti sulla Sologne e sugli animali, e degli infiniti dettati scolastici tratti da Raboliot e da Rroû, dettati divenuti, temo, troppo difficili per gli alunni di oggi. Bernard Maris li ha amati: prima Jünger, poi Genevoix (i due d’altronde non si sono mai né conosciuti né letti), ed ecco che li mette a confronto tra loro.
A meno di sedici anni, Jünger, dandy e scrittore nato, si arruola per un breve periodo nella legione straniera, poi parte a diciannove anni per il fronte. È fortunato: “Ferito quattordici volte, mai gravemente, salvato dalla ferita riportata a Les Éparges (la sua unità viene decimata), salvato da un’altra ferita agli inizi della battaglia della Somme, alla quale non partecipa nei primi giorni (la sua unità è totalmente annientata, non sopravvive nessuno)”. Nel 1918, riceve la croce “al merito”; sarà l’ultimo tedesco a portarla quando morirà, a 102 anni, divenuto “il sopravvivente” nel senso sinistro che Elias Canetti dà a questo termine in un capitolo di Massa e potere. Il suo libro magnifico e spaventoso, Tempeste d’acciaio, più volte riscritto, dal 1918 al 1978 (“i suoi curatori nella “Pléiade” rilevano 2500 varianti”), è uno dei più belli e dei più veri su quello che fu la prima guerra mondiale.
Nel 1915, Genevoix ha ventiquattro anni. È uno studente brillante (primo in graduatoria all’École normale supérieure), noncurante e seduttore; la guerra ne fa uno scrittore e un guerriero, un capo preoccupato di far cessare il panico e di risparmiare le vite dei suoi uomini. Incidentalmente, Bernard Maris confuta la frase “stupida” di Barbusse, che in Le Feu scrive: “Non ci sono quasi intellettuali, artisti o ricchi che durante questa guerra abbiano rischiato la vita nelle trincee, se non di sfuggita, né kepi gallonati”. Maris: “I gallonati, dell’École normale o della scuola militare di Saint Cyr si son fatti massacrare più degli altri... Quattrocento normaliens mobilitati, duecento uccisi”. L’enorme e ammirevole libro di Genevoix Ceux de 14 non fu riscritto. Fu censurato perché descriveva “le scene di panico, le violenze fatte alla popolazione, ai prigionieri… la stupidità degli ordini.” La sua prima parte, Sous Verdun, non ebbe il premio Goncourt nel 1916 perché scritta “con troppa semplicità, senza il velo del pacifismo o della lezione a posteriori che lo fecero ottenere a Barbusse. Anche Genevoix scampò alla morte grazie alla terribile ferita riportata a Les Éparges.
Jünger e Genevoix uccidono entrambi, spesso con gioia. Ma nel combattimento Genevoix, a differenza di Jünger, quando cade uno dei suoi soldati, avverte con pietà e dolore la scomparsa di un individuo, e il vuoto che quella morte apre nella catena umana, nella catena della vita. Li guarda sfilare, con uno sguardo che si fa acuto: “Commessi, contabili, ortolani di periferia, vignaioli della Champagne, eccoli, bruni o biondi, come lo si era qualche tempo fa, alcuni brutti, altri sporchi, altri rimasti belli e consapevoli di esserlo. Eccoli che arrivavano da tutte le parti, sradicati, ammucchiati. Si scorgeva ancora, su di loro, qualche brandello di quella che era stata la loro vita”. Il suo sguardo si affina ancora, scende nei particolari, si attarda su quel che sarà distrutto: “Uno alto, ossuto, con la pelle conciata dal sole e gli occhi quasi febbrili sul naso con una gobba, l’altro piccolo, grassoccio, con gli occhi ridenti, le guance rosee, la barba bruna ricciuta…”.
Anche Jünger sa soffermarsi sugli uomini, ma troppo spesso le sue idee sulla storia e sul destino delle civiltà vengono in primo piano: “Meglio sprofondare come una meteora in un nugolo di scintille che spegnersi vacillando a fuoco lento”, scrive a vent’anni. E anche: “La morte per una convinzione è il supremo compimento. In questo mondo imperfetto è qualcosa di perfetto”. Nel tessere il suo commento, Maris evidentemente riabilita Genevoix, e non soltanto perché ne ha sposato la figlia, Sylvie. Si schiera dalla parte dell’amore per la vita, della compassione per coloro che soffrono e presto moriranno, ricollegandosi esplicitamente alle riflessioni di Simone Weil sulla bellezza dell’Iliade (L’Iliade ou le poème de la force, 1941). Adolescente, Maris si era esaltato alla lettura di Avvicinamenti. Droghe ed ebbrezza (ed. orig. 1970, Multhipla, 1982), nonché a quella di Boschetto 125. Una cronaca delle battaglie in trincea nel 1918 (ed. orig. 1925, Guanda, 1999) e dell’inquietante Der Kampf als inneres Erlebnis (1922, “La lotta come esperienza interiore”). Nella maturità, lui che fu un economista, per usare le sue stesse parole, “in crisi”, si corregge senza rinnegarsi.
Due scrittori paralleli, combattenti diversi, amici, in modo diverso, della vita e delle bestie (cavalli, insetti, animali della foresta). E una strana situazione: Jünger (grazie all’ammirazione di Julien Gracq, e forse anche a quella di François Mitterrand) è celebre in Francia anche più che in Germania. Julien Hervier, che ha tradotto parecchie sue opere, pubblica ora presso Fayard una biografia molto completa (Ernst Jünger dans les tempêtes du siècle), ricca di puntualizzazioni precise su questo personaggio, contestato nel suo paese per il suo militarismo, il suo nazionalismo e le sue amicizie a volte compromettenti. Jünger ora è nella “Pléiade”. E Genevoix, che non fu mai un ideologo, ma seppe osservare e descrivere incomparabilmente gli esseri viventi minacciati dalla morte, che fu stimato da de Gaulle e a cui Gaston Gallimard aveva promesso di pubblicare le sue opere in quella stessa collezione? Genevoix dovrebbe esserci anche lui, nella “Pléiade”. La sua opera merita di essere letta e amata.
(Trad. dal francese di Mariolina Bertini)

(*) Bernard Maris

Ber­nard Maris, nato a Tolosa nel 1946 e assas­si­nato il 7 gen­naio nell’agguato alla redazione di Charlie Hebdo che ha fatto 12 vit­time, era un eco­no­mi­sta molto noto, capace di comu­ni­care con stile e iro­nia anche i con­cetti più com­pli­cati. Oncle Ber­nard, come si fir­mava su Char­lie Hebdo di cui era un pila­stro, aveva delle rubri­che in tv e alla radio pub­blica France Inter. Con melan­co­nia, difen­deva l’idea di un’economia alter­na­tiva alla “furia del capi­ta­li­smo”, dove la gra­tuità e il dono hanno il loro spa­zio importante.
Pro­fes­sore all’università e autore di romanzi, ha dedi­cato un libro a Key­nes (Key­nes ou l’économiste citoyen, 1999) e i sue due Anti­ma­nuels d’économie (2003, 2006) sono dei punti di rife­ri­mento. Ha par­te­ci­pato a Attac, poli­ti­ca­mente aveva un retro­terra socia­li­sta ma ulti­ma­mente di era avvi­ci­nato ai Verdi. Guar­dava con disin­canto i socia­li­sti, ridotti a “gestori” il cui unico pro­getto era diven­tato quello di “farci uscire dal defi­cit di bilancio”.
Ulti­ma­mente, aveva uno sguardo disin­can­tato sull’euro, di fronte a un’Europa sem­pre più “bal­ca­niz­zata”. Incro­ciava l’economia con la let­te­ra­tura, amava Bal­zac, Zola, e di recente, sor­pren­den­te­mente, aveva apprez­zato Houel­le­becq che, ne La carte et le ter­ri­toire, secondo lui era “riu­scito a cogliere il males­sere eco­no­mico che incan­cre­ni­sce la nostra epoca”. Il key­ne­siano ico­no­cla­sta dal 2011 era nel con­si­glio gene­rale della Ban­que de France. (Anna Maria Merlo)

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