mercoledì 18 giugno 2014

Mazzini sulla musica di Rossini



E venne Rossini.

Rossini è un titano. Titano di potenza e d' audacia. Rossini è il Napoleone d' un' epoca musicale. Rossini, a chi ben guarda, ha compíto nella musica ciò che il romanticismo ha compìto in letteratura. Ha sancito l' indipendenza musicale: negato il principio d'autorità che i mille inetti a creare volevano imporre a chi crea, e dichiarata l' onnipotenza del genio. Quand' egli venne le vecchie regole pesavano sul cranio all' artista, come le teoriche d'imitazione, e le viete unità aristoteliche del classicismo inceppavan la mano a qualunque s' attentava di scriver drammi, o poemi. Ed egli si pose vendicatore di quanti gemevano, ma non osavano d' emanciparsene, di quella tirannide; gridò rivolta, e osò. Codesta è lode suprema; forse s' ei non osava -- se ai vecchi che gracchiavano: non fate, ei non si sentiva l' animo di rispondere: fo -- non rimarrebbe a quest'ora speranza di risorgimento alla musica, dal languore che minacciava occuparla ed isterilirla. Rossini, ispirandosi ad un bel tentativo di Mayer, e al genio che gli fremeva nell'anima, ruppe i sonni e l' incanto. Per lui la musica è salva. Per lui, parliamo oggi d' iniziativa musicale europea. Per lui, possiamo, senza presumere, aver fede che questa iniziativa escirà d'Italia e non d'altrove. Non però giova esagerare o frantendere la parte che spetta a Rossini ne' progressi dell' arte; la missione ch'egli s' assunse, è missione che non esce da' confini dell'epoca ch'oggi gridiamo spenta o vicina a spegnersi. È missione di genio compendiatore, non iniziatore. Non mutò, non distrusse la caratteristica antica della scuola italiana: la riconsacrò. Non introdusse un nuovo elemento che cancellasse o modificasse potentemente l' antico: promosse l' elemento dominatore al piú alto grado di sviluppo possibile; lo spinse all'ultima conseguenza: lo ridusse a formola, e lo ricollocò su quel trono d' onde i pedanti l'avevan cacciato senza pur pensare, che chi strugge un potere, ha debito di sostituirne un migliore. E i molti che guardano anch'oggi in Rossini, come in un creatore di scuola e di epoca musicale, come nel capo di una rivoluzione radicale nella tendenza e ne' destini dell'arte, travedono, dimenticano le condizioni nelle quali, poco innanzi a Rossini, si stava la musica, commettono lo stesso errore che s' è commesso intorno al romanticismo letterario da quanti han voluto trovarvi una fede, una teorica organica, una nuova sintesi di letteratura, e -- quel che è peggio -- perpetuano il passato, pur gridando avvenire. Rossini non creò, restaurò. Protestò -- ma non contro l' elemento generatore, non contro il concetto primitivo fondamentale della musica italiana; bensì a favore di quel concetto obliato per impotenza, contro la dittatura de' professori, contro la servilità dei discepoli, contro il vuoto che gli uni e gli altri facevano. Innovò, ma piú nella forma che nell' idea, piú ne' modi di sviluppo e d' applicazione che nel principio. Trovò nuove manifestazioni al pensiero dell' epoca; lo tradusse in mille guise diverse; lo incoronò di cosí minuto intaglio, di tanta fecondità d'accessorii, di tanto fiore d' ornato, che taluno potrà forse sederglisi a fianco, non superarlo: lo espose, lo svolse, lo tormentò fin che l' ebbe esaurito. Non lo varcò. Piú potente di fantasia che di profondo pensiero, o di profondo sentimento, genio di libertà e non di sintesi, intravvide forse, non abbracciò l' avvenire. Fors'anche privo di quella costanza e di quell'alterezza d' animo che non guarda, se non dietro le esequie, alle mille generazioni vegnenti, anziché a quell' una che si spegne con noi, cercò fama, non gloria; sacrificò all' idolo il Dio; adorò l' effetto, non l' intento, non la missione; però gli rimase potenza a costituire una setta, non a fondare una fede. Dov' è in Rossini l' elemento nuovo? Dove un fondamento di nuova scuola? Dove un concetto unico, dominatore di tutta la sua vita artistica, che armonizzi a epopea la serie delle sue composizioni? Chiedetelo ad ogni scena, o meglio ad ogni pezzo, ad ogni motivo delle sue musiche; non al sistema, non all'opere, non ad un' opera intera. L' edificio ch'egli ha innalzato, come quel di Nembrotte, ferisce il cielo; ma v' è dentro, come in quel di Nembrotte, confusione di lingue. L' individualità siede sulla cima: libera, sfrenata, bizzarra, rappresentata da una melodia brillante, determinata, evidente, come la sensazione che l' ha suggerita. Tutto in Rossini è appariscente, definito, saliente; l'indefinito, lo sfumato, l'aereo, che parrebbero appartenere piú specialmente all'indole della musica, han dato luogo, quasi fuggenti dinanzi all'invasione d' uno stile avventato, tagliente, d'una espressione musicale positiva, risentita, materialista. Diresti le melodie rossiniane scolpite a basso-rilievo. Diresti fossero sgorgate tutte dalla fantasia dell'artista sotto un cielo d' estate di Napoli, in sul meriggio, quando il sole inonda su tutte cose, quando batte verticalmente, e sopprime l' ombra de' corpi. È musica senz'ombra, senza misteri, senza crepuscolo. Esprime passioni decise, energicamente sentite, ira, dolore, amore, vendetta, giubilo, disperazione -- e tutte definite per modo che l' anima di chi ascolta è interamente passiva: soggiogata, trascinata, inattiva: -- gradazioni d' affetti intermedi, concomitanti, non sono o poche: aura del mondo invisibile che ci circonda, nessuna. Spesso l'istrumentazione accenna un eco di questo mondo e par si affacci all' infinito; ma quasi sempre retrocede, s' individualizza, e diventa anch' essa melodia - Rossini, e la scuola italiana di che egli ha riassunto e fuso in uno i diversi tentativi, i diversi sistemi, rappresentano l' uomo senza Dio, le potenze individuali non armonizzate da una legge suprema, non ordinate a un intento, non consacrate da una fede eterna.



Filosofia della musica, 1836

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