domenica 8 giugno 2014

Cavour sul letto di morte

I napoletani, la corruzione e la libertà 


Mercoledì 29 maggio 1861 Cavour rientrò in casa esausto e preoccupato. La notte si sentì male e il mattino seguente gli furono praticati tre salassi. Di giorno in giorno il peggioramento divenne evidente. La malattia di Cavour era una malaria perniciosa con accessi di febbre intermittente accompagnati da delirio.
Il martedì sera, 4 giugno, essendosi diffusa in Torino la notizia della gravità della malattia, il palazzo Cavour fu come assediato dalla popolazione e si dovette tenerlo aperto tutta la notte. Fuori, per le strade adiacenti, vegliava in silenzio una folla
cupa e desolata, a tratti minacciosa per il timore che il clero rifiutasse i sacramenti al presidente del Consiglio.
Il 5 giugno, verso le nove, il sovrano venne a visitare l'ammalato. Il conte lo riconobbe e gli chiese subito se fosse giunto dalla Francia il riconoscimento del Regno d'Italia. E aggiunse: «Sire, ho tante cose da comunicarvi, ma sono troppo malato». Le sue parole passarono allora alla questione che più lo assillava: il Meridione o, com'egli diceva, i napoletani, cioè gli ex-sudditi del regno di Napoli.
Quando Vittorio Emanuele si fu accomiatato, Cavour cominciò a delirare. Le sue parole furono raccolte e messe poi per iscritto dalla nipote Giuseppina Alfieri, che assisteva amorevolmente lo zio; William de La Rive le riporta nel penultimo capitolo del suo Le comte de Cavour, la biografia apparsa nel 1862, l'anno seguente alla morte dello statista, a Parigi (traduzione italiana 1911 e, con il titolo Vita di Cavour, 1951, Rizzoli-Bur). Ecco le parole estreme di Cavour: 

"L'Italie du Nord est faite, il n'y a plus ni Lombards, ni Piémontais, ni Toscans, ni Romagnols: nous sommes tous Italiens; mais il y a encore les Napolitains. Oh! Il y a beaucoup de corruption dans leur pays. Ce n'est pas leur faute, pauvres gens, ils ont été si mal gouvernés! C'est ce coquin de Ferdinand. Non, non, un gouvernement aussi corrupteur ne peut être restauré, la Providence ne le permettra pas. Il faut moraliser le pays, élever l'enfance et la jeunesse, créer des salles d'asile, des collèges militaires, mais ce ne sera pas en injuriant les Napolitains qu'on les modifiera... Pas d'état de siège, pas de ces moyens des gouvernements absolus. Je les gouvernerai avec la liberté... Dans vingt ans ce seront les provinces les plus riches d'Italie. Non, pas d'état de siège"...

L'Italia del Settentrione è fatta, non vi sono più né Lombardi, né Piemontesi, né Toscani, né Romagnoli, noi siamo tutti italiani; ma vi sono ancora i Napoletani. Oh! vi è molta corruzione nel loro paese. Non è colpa loro, povera gente: sono stati così mal governati! E quel briccone di Ferdinando! No, no, un governo così corruttore non può essere più restaurato: la Provvidenza non lo permetterà. Bisogna moralizzare il paese, educar l'infanzia e la gioventù, crear sale d'asilo, collegi militari: ma non si pensi di cambiare i Napoletani ingiuriandoli. Essi mi domandano impieghi, croci, promozioni. Bisogna che lavorino, che siano onesti, ed io darò loro croci, promozioni, decorazioni; [ma soprattutto non lasciar passargliene una: l'impiegato non deve nemmeno esser sospettato.] Niente stato d'assedio, nessun mezzo da governo assoluto. Tutti son capaci di governare con lo stato d'assedio. Io li governerò con la libertà, e mostrerò ciò che possono fare di quel bel paese dieci anni di libertà. In venti anni saranno le provincie più ricche d'Italia. No, niente stato d'assedio...

Ettore Passerin d'Entrèves, L'ultima battaglia politica del conte di Cavour. I problemi dell'unificazione, Ilte, Torino 1956. 

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