lunedì 3 febbraio 2014

Storia di Caterina che si faceva passare per Giovanni

Michele Smargiassi
Caterina e le donne. Storia della ragazza che nel Settecento viveva come un uomo
la Repubblica, 1 febbraio 2014
a proposito di Marzio Barbagli, Storia di Caterina, Il Mulino, Bologna 2014, pagg. 243

A dispetto dei suoi ingenui sedici anni di figlia d’un falegname delle borgate romane, Caterina sapeva bene quel che voleva: amare le donne come lei. Ebbe anche il coraggio di farlo, e del come farlo: vestendosi da uomo, cambiandosi nome in Giovanni. Le mancava solo una parola, la parola per dirlo, la parola per dirsi: gay, lesbica, omosessuale. Ma quelle parole, a metà del Settecento, nessuno le aveva ancora inventate, e Caterina-Giovanni morì così, a ventiquattr’anni, dopo otto di travestimenti, senza il conforto di un’identità, forse proprio perché non lo aveva mai avuto. Un uomo cercò di trovare per lei quelle parole, e ci andò molto vicino: un medico, un laico coraggioso, che se ne fregò dei pregiudizi e delle teorie “scientifiche” della sua epoca, ed ebbe pietà, forse anche simpatia, per quella giovane donna che non volle piegare la testa.
La Storia di Caterina (Il Mulino, pagg. 243, euro 16) che ci narra un analista attento e molto esperto della famiglia contemporanea, Marzio Barbagli, ha la forma di una classica case history della sociologia: prendi una vicenda individuale, ben documentata, e ne fai il centro focale di un affresco, in questo caso sulla considerazione sociale, morale e culturale dell’amore fra donne negli ultimi tre secoli. Ma nella storia che Barbagli ha scovato e scavato dagli archivi, quei due personaggi prendono di potenza la scena, non si fanno ridurre a simboli o esempi, e senza smettere di essere un saggio scientifico, ecco che il libro diventa il romanzo poetico di un incontro fra due esseri umani in contrasto col loro tempo, un incontro mancato in vita, ma realizzato nel pensiero.
Fu forse per il rimorso di non essere accorso subito al suo capezzale che Giovanni Bianchi, cattedratico illustre dell’Università di Siena, s’incuriosì della sorte di quel povero corpo di uomo, tale Giovanni Bordoni, maggiordomo, spirato il 16 giugno del 1743 sui pagliericci dell’ospedale di Santa Maria della Scala a Siena, che una volta spogliato dai becchini aveva rivelato, sorpresa, di essere il corpo d’una giovane donna. Qualche indagine svelò la sua storia: donna era nata, Caterina Vizzani, ma appena adolescente non lo volle più rimanere, fu quando s’innamorò della compagna di cucito Margherita, e dovette fuggire e travestirsi per scampare alle ire del padre di lei. Diventò così Giovanni, e si trovò un lavoro da cameriere, eccellente ed espertissimo cameriere, di cui gli aristocratici padroni furono sempre più che soddisfatti, tanto da perdonargli l’unico difetto, quel suo vizio di «donnajuolo » impenitente. Ma una delle dongiovannesche sue avventure, il rapimento della nipote del parroco di Montepulciano, alla fine gli (o le) fu fatale: fuga, inseguimento e un letale colpo di archibugio.
Una svelta benedizione, la vergogna seppellita assieme al corpo avrebbero potuto far finire tutto qui, e oggi nulla sapremmo di Caterina. Ma il professor Bianchi non s’accontentò. Dentro di lui lo scienziato proto-illuminista non riuscì a non cercare una risposta alla domanda: perché? Perché una donna ama le donne? Indagò. Si fece sociologo e antropologo ante-litteram. Esaminò il corpo. Lesse libri. Ebbe il coraggio di scartare una per una le risposte correnti della scienza e della morale del suo tempo.
Perché questo è assodato: che ci fossero donne che amavano vestirsi da uomo, per mille ragioni non solo sessuali, da Giovanna d’Arco a Moll Flanders, lo si sapeva da secoli. E anche che esistessero donne che amano le donne. Lo sapevano l’artista e il letterato, lo sapeva il moralista ecclesiastico, lo sapeva lo scienziato. Ma sul perché, le risposte erano diverse. Sostanzialmente due: l’errore della natura, la depravazione dell’animo. L’ermafroditismo, o comunque l’abnorme dimensione del clitoride, ritenuta produttrice (ma anche conseguenza) di famelici desideri proibiti nelle famigerate “tribadi”, mostruose nel corpo e prostitute per vocazione. Oppure la satanica e colpevole deformazione dell’immaginario e del desiderio (benché ritenuta, perfino dall’Inquisizione, inferiore per gravità alla sodomia maschile).
Ma Bianchi ebbe l’onestà di riconoscere che Caterina non era vittima né dell’«anatomia indiscreta» né della volontaria perversione, che il suo corpo era “normale”, che era cresciuta in un ambiente moralmente sano. Semplicemente: amava le donne, le aveva sempre amate, e amava solo loro. Caterina, riconobbe il professore tracciando una precoce, confusa ma modernissima distinzione fra sesso, genere e orientamento, apparteneva a un genere di esseri umani, di cui la poetessa Saffo fu la prima a osare quel che oggi chiameremmo un coming out.
E il libro che alla fine scrisse a suo rischio, sotto falso nome e «alla macchia», ma che suscitò interesse in tutta Europa, fu forse proibito per questa laica, inedita, pioniera. Caterina Vizzani «s’infingeva uomo», ma non voleva essere uomo. Spirando, chiese di essere seppellita in abiti femminili e ghirlande, da «pulcella» ancor vergine qual era. A chi le voleva bene aveva svelato il suo segreto. I genitori, dettaglio commovente, lo accettarono, e quando poterono la protessero e la aiutarono. Per l’univocità e il coraggio della sua scelta Caterina, osserva Barbagli senza riuscire a nascondere un sorriso di simpatia, somiglia in molti tratti alle lesbiche moderne, magari a quelle degli anni Cinquanta, quando adottare abbigliamento e atteggiamento mascolini erano la condizione di un mimino di accettabilità sociale. Ma non aveva parole per riconoscersi. Non conosciamo i suoi pensieri: probabilmente, come la Fiordispina dell’Ariosto innamorata della guerriera Bradamante, si sentiva unica al mondo: «Sola son io / che patisco da te sì duro scempio». Non lo era: ma dovevano passare almeno due secoli prima che le sue consorelle, con gran fatica, conquistassero il diritto di dare un nome alla libertà del loro amore.

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