mercoledì 29 gennaio 2014

Pete Seeger, in memoria

Gino Castaldo
Scompare Pete Seeger “padre” di Dylan e Springsteen
È morto a 94 anni. Tra i suoi successi “If I had a hammer” e la rielaborazione di “We shall overcome”

la Repubblica, 29 gennaio 2014

Addio a Pete Seeger, vecchio guerriero del folk, morto nel sonno a 94 anni nell’ospedale di New York dove era ricoverato da alcuni giorni. Il buon caro vecchio Pete era una figura molto prossima all’idea che potremmo farci di un santo laico. O almeno questo è quello che emanava: purezza, integrità, dedizione, empatia con tutti gli esseri viventi che soffrono. Era un uomo dolce ma determinato, amabile ma feroce nella sua convinzione estrema, uno di quegli uomini che non riescono a stare in pace sapendo che da qualche parte qualcuno sta male e con questo principio aveva iniziato a far musica, lasciando studi e agiatezza della colta borghesia del New England in cui era nato per schierarsi a fianco dei diseredati. Era il suo modo di cercare giustizia in un mondo che di giustizia ne offriva poca, lui stesso ripetutamente vittima del furore maccartista, processato, condannato, boicottato in ogni modo per le sue simpatie di sinistra. Cosa che non gli ha impedito di essere una delle più influenti e carismatiche figure del Novecento americano.
Il suo verbo era il folk, la musica del popolo, e fu spinto a cantarlo dal pioniere della ricerca sul campo Alan Lomax, a fianco di Leadbelly, Woody Guthrie, Burl Ives. Con la sua voce gentile e persuasiva, è stato probabilmente il massimo divulgatore di cultura popolare e non solo di quella americana. Era già attivo negli anni Quaranta, ma arrivò al successo quando creò il gruppo dei Weavers, con i quali raggiunse un clamoroso successo di classifica nel 1950 con Goodnight Irene. Ma, tanto per capire che tipo era, i Weavers li lasciò quando gli altri membri accettarono di incidere un jingle pubblictario per una marca di sigarette. Divulgatore ma anche autore o coautore di altri pezzi celebri come Turn turn turn, Where have all the flowers gone, If I had a hammer (conosciuto in Italia come Datemi un martello, anche se la versione di Rita Pavone l’aveva trasformato in un pezzo frivolo, privo del senso originale). Fu anche lui, sempre grazie a Lomax e a una visione internazionalista del folklore, a scoprire quella che sarebbe diventata una delle più famose canzoni di tutti i tempi, ovvero The lion sleeps tonight. Era un canto zulu, di Solomon Linda (che morì povero e ignaro del successo planetario che la sua composizione aveva avuto), e Pete Seeger la ripropose come Wimoweh, anche se la sua versione, grazie alle purghe maccartiste, non ebbe alcun riscontro, come accade invece ai Tokens che col titolo di The lion sleeps tonight ne fecero un singolo vendutissimo.
Ma il momento di massimo fulgore toccò a Seeger quando la sua musica incontrò il movimento dei diritti civili nei primi anni Sessanta. La sua versione di We shall overcome (uno spiritual tradizionale, di cui si vantava di aver cambiato la frase We will overcome nella più cantabile We shall overcome), diventò l’inno della marcia su Washington di Martin Luther King nel 1963. La fede nella sua missione non l’aveva mai persa e quando qualche anno fa l’andammo trovare nel suo eremo tra i boschi di Beacon, a nord di New York, ci aveva raccontato che quando qualcuno gli chiedeva se una canzone era buona o no, lui continuava a ripetere: «Buona per cosa?». Era il periodo in cui la sua figura era tornata al centro dell’attenzione del mondo della musica grazie all’omaggio di Bruce Springsteen e le sue “Seeger Sessions”. Ma lui rimase schivo. «Springsteen?» diceva, «un brav’uomo». E nulla di più. Era insieme alla moglie Toshi, dalla quale dal 1944 non si era mai separato, e che è scomparsa poco prima di lui, nel luglio dello scorso anno.

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