sabato 11 gennaio 2014

La sconfitta del terrorismo rosso

Gian Carlo Caselli
Il pentito storico
“Roby il pazzo” che annientò Prima Linea


 Il Fatto, 10 gennaio 2014

La notizia delle morte di Roberto Sandalo riporta alla memoria la sconfitta del terrorismo “rosso”, iniziata nel 1980 quando – tra le giostre di piazza Vittorio – finisce in manette Patrizio Peci, capo della colonna torinese delle Brigate Rosse. Con le sue rivelazioni, Peci consente di individuare i responsabili di tutti gli omicidi, gambizzazioni”, rapine e sequestri commessi a Torino (e non solo) dalla sua banda. Innesca inoltre una reazione a catena che porta ad un’infinità di altri pentimenti, determinando il crollo verticale delle Br. Una banda armata non meno sanguinaria era “Prima linea”. Peci parla anche di un “piellino” torinese aspirante brigatista ed in pochi giorni costui viene identificato in Roberto Sandalo, detto “Roby il pazzo”, ex membro del servizio d’ordine di Lotta Continua. Peci sa tutto perché è un capo. Sandalo no, ma è ugualmente a conoscenza di informazioni decisive. Pl infatti era un’organizzazione più movimentista, più slabbrata rispetto alle verticistiche e catacombali Br. Per questo anche un quadro non di vertice come Sandalo è in grado di fornire informazioni che disarticolano da cima fondo l’organizzazione fino a disintegrarla. E al pari di Peci, Sandalo ebbe il merito di essere il primo anello di una catena infinita di altre collaborazioni.
Tra le migliaia di notizie fornite, Sandalo rivelò anche che fra i capi di Pl vi era un tal Comandante Alberto, presto identificato in Marco Donat Cattin, figlio del senatore e ministro Carlo. Sandalo parlò anche di alcuni suoi incontri con il senatore, che gli aveva riferito di colloqui con il presidente del consiglio Cossiga in ordine alla posizione del figlio Marco. Nell’adempimento dei nostri doveri istituzionali inviammo gli atti alla Camera (Commissione per i procedimenti di accusa). L’ipotesi era di violazione del segreto per consentire la fuga di un terrorista.
ALLA FINE di un tormentato iter il Parlamento bocciò la proposta di messa in stato d’accusa davanti alla Corte costituzionale con 535 voti contro 370 e il caso venne chiuso. In una intervista rilasciata anni dopo ad Aldo Cazzullo (7 settembre 2007), Cossiga dirà che aveva tenuto (essendosi saputo che Peci aveva fatto il nome di Marco Donat Cattin) questo comportamento: “Presi su di me la grana. Verificai la notizia e avvertii il mio ministro che suo figlio era ricercato. Va detto che non sapevo di quanti e quali reati si fosse macchiato il ragazzo; ignoravo che fosse nel gruppo che aveva assassinato il giudice Alessandrini. E chiesi a Donat-Cattin di dire al figlio di consegnarsi e raccontare tutto quanto sapeva”. Ora, poiché – lo ripeto – inviare il fascicolo al Parlamento era stato semplicemente doveroso (gli estremi per farlo c’erano proprio tutti, che poi gli elementi non siano stati considerati sufficienti in sede politica, è ovviamente un altro discorso), francamente non sono mai riuscito a capire perché Cossiga se la sia presa così tanto con me e non abbia mai nascosto di avermela giurata.
Va ancora ricordato che i segretissimi verbali di Patrizio Peci, comprese le parti in cui si racconta del “piellino” Sandalo e di Marco Donat Cattin, finirono sui giornali (il vice capo dei Servizi di allora fu incarcerato). In forma integrale il 3,4 e 5 maggio 1980 su Il Messaggero. In parte il 7 maggio su Lotta Continua, dove mancavano però alcune pagine, segnalate con la scritta: “A questo punto nel verbale manca un foglio”. Ma per la pagina di Marco Donat Cattin (n. 50 del verbale Peci), la scritta inserita da Lotta continua era diversa, perché – fingendo un refuso – si parlava ironicamente di mancanza di... “un figlio”. E tuttavia, questi venne individuato a Parigi dagli uomini del generale Dalla Chiesa, uno dei quali (un investigatore eccezionale, nome di copertura “Trucido”) si era appostato per giorni e giorni in metropolitana fingendosi suonatore ambulante. Arrestato ed estradato per gli omicidi commessi, Donat Cattin deciderà di collaborare ampiamente. E dire che all’inizio, ascoltando il racconto di Sandalo sul senatore Donat Cattin e Cossiga, confesso che restammo perplessi.
TUTTO SEMBRAVA un po’ surreale, in particolare il fatto che il senatore (ricevendo in vestaglia, nella sua casa torinese, il Sandalo) gli avesse indicato un suo segretario – tal Fantasia – a cui fare riferimento. A quel nome, “Fantasia”, mi si chiuse lo stomaco, perché temevo che “Roby il pazzo” stesse proprio lavorando di fantasia, prendendosi gioco di noi. E invece no, il segretario Fantasia esisteva davvero, così come erano vere tutte le altre circostanze riferite da Sandalo. Certo è che avvertimmo fin da subito nubi cupissime all’orizzonte a fronte di ipotetici scarsi vantaggi per le indagini. Perché, oltrepassare certi limiti fa sì che il cordone sanitario del potere scatti inesorabile ogni volta che ci si inoltra lungo sentieri “scomodi”, dove chi indaga seriamente rischia. Il potere in genere non è molto sportivo, accetta a fatica di essere chiamato in causa. Ma sono cose che imparerò ancor meglio quando deciderò, come procuratore di Palermo, di occuparmi senza sconti di mafia e politica.

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