lunedì 30 settembre 2013

Serve il coraggio dei moderati

Emanuele Macaluso
l'Unità 30 settembre 2013

 L’AVVENTUROSA INIZIATIVA BERLUSCONIANA CHE HA MESSO IN CRISI IL GOVERNO E COLPITO INTERESSI VITALI DEL PAESE, ha un risvolto su cui riflettere: lo sconcerto tra le forze produttive, lo sbandamento dell’area politica del centro-destra e anche lo smascheramento di quei gruppi di «sinistra» (Grillo e il Fatto) che avevano bollato l’opera del presidente della Repubblica come copertura e sostegno alle magagne del Cavaliere.
C’è da aggiungere che anche nel centro-sinistra, dopo tanti giuochi tra le correnti-non correnti, è scoccata l’ora della verità. Anzitutto un’osservazione che dà un senso preciso alle cose cui ho accennato: tutti i giornali, anche il Fatto, hanno qualificato l’iniziativa berlusconiana come una pugnalata al Paese. Il che significa che il governo Letta, con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni, nella realtà italiana esprime una verità: uno stato di necessità dovuto alla drammatica situazione economica e sociale, alla nostra precaria collocazione in Europa e alla impossibilità di tornare a votare con una legge elettorale infame e sotto giudizio della Corte Costituzionale. Questa verità non può essere cancellata dall’ira del Cavaliere e dei suoi scudieri che non vogliono prendere atto di una sentenza irrevocabile, di una sconfitta che non è solo giudiziaria, ma politica perché ha messo in forte evidenza che un certo modo di fare politica ha toccato il fondo.
Nei prossimi giorni vedremo come si svilupperà il dibattito parlamentare e quali processi politici si apriranno anche nei gruppi parlamentari che hanno sostenuto o avversato il governo Letta. Un’attenzione particolare deve essere data all’«area moderata», dove forze sociali (non solo la Confindustria), gruppi cattolici e laici che avevano apprezzato l'impegno del Pdl in un governo di emergenza con il Pd e Scelta Civica, non sono disposti a subire passivamente l’avventurismo berlusconiano. E anche nel gruppo parlamentare del Pdl le critiche di Cicchitto e la decisione degli onorevoli Quagliariello e Lorenzin di dimettersi da ministri ma non di aderire a Forza Italia rivela più che disagio una determinazione politica di non accettare un regime di partito che ignora le regole più elementari della democrazia e della collegialità. Un partito in cui c’è un «segretario» che non ha partecipato né alla demenziale decisione di fare dimettere tutti i parlamentari (pezzi di carta inutili in mano a Schifani e Brunetta), né a quella di mettere in crisi il governo.
Il tema di oggi è, a mio avviso, chiaro. Dal momento in cui formalmente si apre la crisi il Capo dello Stato, seguendo la Costituzione e la prassi, dovrà verificare se nel Parlamento c’è una maggioranza in grado di esprimere un governo. Ma per questa possibilità occorre lavorare con iniziative politiche o bisogna rassegnarsi ad accettare quel che vorrebbe Berlusconi? La questione riguarda soprattutto il Pd, dove non mancano gruppi che, per motivi correntizi, privilegiano le elezioni: una parola chiara e iniziative limpide sono necessarie per capire dove si vuole andare a parare. In ogni caso si tenga ben presente il fatto che il presidente della Repubblica ha più volte detto che è assurdo tornare a votare dopo pochi mesi e ancora più assurdo farlo con una legge che tutte le forze politiche - almeno a parole - dicono di non volere e che il 3 dicembre subirà un giudizio della Corte Costituzionale.
Su questo nodo è bene che i dirigenti di tutte le forze politiche rileggano l’applauditissimo discorso di Napolitano pronunciato alle Camere dopo la sua rielezione, per capire che non ci sono spazi: con questa legge non si voterà. Il Paese nella situazione di oggi ha bisogno di un governo che intanto faccia l’essenziale in tutti i campi, soprattutto in quello economico-sociale e anche per cambiare la legge elettorale. Solo dopo questa fase si potrà valutare il futuro, non solo del governo ma della politica italiana.

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