venerdì 26 gennaio 2018

Oblomov







Ivàn Gonciàrov, Oblomov, traduzione di Laura Simoni Malavasi, Rizzoli, Milano 1966, incipit


In via Goròchovaja, in uno di quei grandi edifici, i cui inquilini sarebbero bastati essi soli a popolare tutta una cittadina distrettuale, nel suo appartamento, Ilià Ilic' Oblomov stava passando la mattinata a letto.
Era questi un uomo di circa trentadue anni, di media statura, di aspetto piacente, con occhi di un grigio scuro, ma sui tratti del suo volto non v'era segno di un'idea ben definita, né di una qualunque forma di concentrazione mentale. Il pensiero gli passava sul volto come un libero uccello nell'aria, svolazzava negli occhi, si posava sulle labbra socchiuse, si nascondeva tra le rughe della fronte, per sparire poi completamente, e allora su quel volto splendeva soltanto la tranquilla luce dell'indolenza. Dal volto, l'indolenza si comunicava all'atteggiamento di tutta la persona e perfino alle pieghe della vestaglia.
Di tanto in tanto, lo sguardo gli si offuscava in un'espressione come di stanchezza o di noia, ma né la stanchezza né la noia potevano cancellare, non fosse che per un attimo, la dolcezza che era l'espressione abituale e dominante, non soltanto del volto, ma di tutta l'anima; e l'anima splendeva limpida e aperta negli occhi, nel sorriso ein ogni moto del capo e delle mani.




Nessun commento:

Posta un commento